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L’assassino di Sharon non c’entra nulla con lo ius scholae


Il post di Matteo Salvini.

La cattura dell'assassino di Sharon Verzeni, la giovane di Terno d'Isola barbaramente uccisa durante una passeggiata, non allevierà il dolore straziante dei genitori e del fidanzato. Quella di Sharon è una tragedia che esige la nostra preghiera. Tuttavia, non possiamo ignorare che, anche in un Paese tanto travagliato come il nostro, la giustizia non si ferma, nemmeno di fronte agli omicidi più brutali. L'Italia, nonostante i suoi mille difetti, dimostra ancora di essere uno Stato di diritto, dove chi sbaglia paga, grazie alla professionalità di inquirenti e forze dell'ordine che, anche in questo caso, hanno saputo fare la differenza. Eppure, scorrendo i social e ascoltando certe voci politiche, emerge il sospetto che questa tragedia venga subito strumentalizzata, piegata alle logiche di una polemica sterile e divisiva, come quella contraria allo ius scholae. E perché? Perché l'assassino ha origini straniere, è un italiano nato da genitori extracomunitari. E così, si prende questo singolo atomo, un caso isolato, per gettare ombre su un intero pianeta: quello dei milioni di nuovi italiani, nati qui, figli di immigrati. È il solito gioco di chi sa bene come manipolare la realtà, alimentando paure e pregiudizi.

I giornali devono fare il loro mestiere, certo. Informare, dare i dettagli, come l'anagrafe e la storia dell'assassino. Ma quando la politica si infila in questi discorsi, il rischio di una retorica pericolosa è dietro l'angolo. Il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, per esempio, non si esime dal chiedere una “punizione esemplare, senza sconti”, sottolineando che l'omicida “ha origini nordafricane e cittadinanza italiana”. Ma che c'entra la politica in tutto questo? Le pene non sono forse già esemplari per tutti gli omicidi? La giustizia farà il suo corso, come sempre. Non c'è bisogno di suggerimenti, di strizzate d'occhio all'opinione pubblica su “quale esempio” si deve dare. La parlamentare leghista Laura Ravetto, che si domanda: «L'uomo sospettato di aver ucciso Sharon è stato identificato come un 31enne nato a Milano, di origine straniera, e con problemi psichici accertati. La giovane donna avrebbe perso la vita per mano di questo presunto assassino, apparentemente senza motivo. Un episodio tragico che deve farci riflettere. Davvero sono questi i nuovi italiani a cui aspiriamo?». Come se non bastasse, il senatore leghista Claudio Borghi, su X, affonda con l'ironia: «Oh, abbiamo i giornali che per una volta ci dicono la nazionalità di un criminale. È ITALIANO (tutto maiuscolo nel testo). Si chiama Moussa Sangaré». Come se quel nome, Moussa Sangaré, non fosse già sufficiente a infliggergli una doppia condanna: quella per il crimine commesso e quella per l'origine diversa.

È inaccettabile, in questo contesto, il tentativo di far passare l'idea che esiste un legame tra etnia e femminicidio. È una visione mia, pericolosa. Il maschio non ha colore, non conosce confini, non appartiene a una singola classe sociale oa una particolare provenienza geografica. E troppo spesso, quel male si annida dentro le mura domestiche, con il volto del marito, del compagno, del partner. Oltretutto ad aiutare i carabinieri a scovare l'assassino sono stati due testimoni volontari di origine nordafricana. Generalizzare in questo modo non è solo sbagliato, ma profondamente ingiusto. Sarebbe come ignorare i crimini commessi dagli italiani all'estero, dalla mafia che abbiamo esportato in America in poi. E chi oserebbe negare il contributo straordinario che milioni di italiani hanno dato alla democrazia americana? In un Paese normale, di fronte a una tragedia come quella di Sharon, ci si fermerebbe a riflettere sul male, sulla giustizia, sulla fragilità della vita. Non certo a puntare il dito contro milioni di ragazzi, figli di gente onesta, che ogni giorno contribuisce al progresso di questo Paese.

Nella foto Ansa, la conferenza stampa nella Procura di Bergamo sulla cattura dell'uomo accusato di omicidio di Sharon, che ah confessato.





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