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Tripoli, ucciso Bidja, il trafficante con la divisa della guardia costiera libica


Roma — Il trafficante di uomini in giacca e cravatta seduto attorno a un tavolo del Viminale nel 2017, indicato dall'Onu come uno dei più potenti capi delle organizzazioni criminali che gestiscono i viaggi dei migranti dalla Libia ma che indossava la divisa con le stellette della Marina libica, ha finito ieri la sua corsa crivellato di colpi sul sedile della sua auto blindata davanti all'Accademia navale di Tripoli di cui era stato persino nominato capo.

L'agguato con armi pesanti

Un agguato in piena regola quello portato a termine da un commando con armi pesanti che ha sorpreso le guardie del corpo di Abd al-Rahman Milad, da tutti conosciuto come Bidja. Uomo potentissimo in Libia, cugino di Mohammed Koshalafcapo della brigata di Al-Nasr, che negli ultimi dieci anni è riuscito nel paradosso di scalare i vertici di quella Guardia costiera a cui Tripoli ( e l'Italia che la sostiene finanziandola) ha affidato il contrasto all'immigrazione clandestina che lui stesso gestiva. Non sono bastati ripetuti dossier dell'Onu e della Corte internazionale dell'Aja che, dal 2018, lo indicavano come uno dei più pericolosi trafficanti di uomini, non è servito neanche il mandato di cattura internazionale: Bidja, che era già a capo della guardia costiera di Zawija nel 2015, se l'è cavata con una sospensione dall'incarico per qualche mese nel 2018 e con qualche mese agli arresti nel 2020, poi il governo di Al Serraji lo ha reintegrato ed è tornato ad indossare la divisa. Prima quella verde e poi addirittura quella bianca immacolata di capo dell'Accademia navale di Janzour. E proprio lì davanti, e sicuramente non a caso, Bidja ieri è rimasto vittima di un agguato di stampo mafioso, portato a termine da un commando di professionisti che aveva ben studiato come annientare le sue difese.

Temeva per la sua vita

Che temeva per la sua vita Abd al-Rahman Milad non era un mistero: andava in giro con guardie del corpo e un minivan blindato e dicono disponesse persino di due sosia che mandava avanti in situazioni particolarmente rischiose. Un omicidio, il suo, tutto da decifrare e che non potrà non incidere sui delicati equilibri della Libia. A Zawija la strada costiera è stata chiusa, con decine di veicoli carichi di armi pesanti, e centinaia di persone sono scese per strada.

«Bidja ha costruito un impero sulla sofferenza umana, e la politica europea lo ha reso possibile – spiega Anas El Gommatai, direttore del Sadeq Institute – aveva trasformato i soccorsi in un riscatto: i più vulnerabili intercettati nel Mediterraneo venivano inviati in Libia per essere estorti nei centri di detenzione».

Gli accordi Italia-Libia

Trentacinque anni, padre di un bimbo di due anni, Bidja era il volto del paradosso degli accordi con cui dal 2017 l'Italia prova a fermare i flussi migratori dalla Libia: formando e finanziando quella guardia costiera che intercetta gommoni e barconi riportando indietro decine di migliaia di donne, uomini e bambini e riconsegnandole nelle mani dei trafficanti come Bidja che gestiscono i centri di detenzione in cui i migranti vengono torturati, violentati, uccisi, derubati di tutto e costretti a chiedere ripetuti riscatti alle famiglie nei Paesi d'origine.

La foto che lo ritrae al Viminale

Un paradosso racchiuso in un'immagine nel 2017: una delegazione libica, e tra loro Bidja, in giacca e cravatta, immortalata al Viminale insieme a funzionari del ministero dell'Interno e dell'Oim che avevano organizzato un meeting proprio sulle strategie per il contrasto all'immigrazione clandestina. A rivelare la presenza di Bija in Italia, con tanto di foto, il giornalista di Avvenire Nello Scavo poi sotto finito scorta, così come la giornalista freelance Nancy Porsiaper le pesantissime minacce rivolte loro da Bd al-Rahman Milad a viso scoperto, persino sul suo profilo facebook. Lui stesso, qualche tempo dopo, aveva raccontato così quella missione in un'intervista all'Espresso: «Abbiamo incontrato i membri del ministero dell'Interno . Siamo andati anche alla Guardia costiera, alla Croce rossa, centri di accoglienza, ministero della Giustizia, poi siamo andati al palazzo del ministero dell'Interno». Ministro dell'Interno nel 2017 era Marco Minniti che davanti a quella foto spiegò: «All'epoca su Bija non c'era il warning che successivamente è stato lanciato dall'Onu. Non ho incontrato Bija e non ho incontrato nessuno della delegazione libica».

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