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L’Italia e lo spettro dazi, una vittoria di Trump ci costerebbe oltre sei miliardi


Abbiamo provato a prendere sul serio la propaganda di Donald Trump. In particolare una delle vaghe ed eclatanti promesse con cui cerca di tornare alla Casa Bianca: imporre dazi al 10% su tutte le importazioni verso gli Stati Uniti. Se vincesse, e davvero la mantesse, il conto per l'Italia e le sue imprese sarebbero salatissimo. Nello scenario peggiore il peso delle tariffe salirebbe di circa 6,5 miliardi di euromettendo le aziende di fronte a un bivio: farsene carico o rischiare di uscire dal mercato. Ma sarebbe addirittura devastante l'effetto di una guerra tariffaria: all'Europa costerebbe un punto di Pil, con i maggiori esportatori come l'Italia a pagare di più. Costo che vari esponenti della maggioranza sovranista, che tifano più o meno apertamente Trumpnon sembrano da considerare.

Dazi al 10% per tutti

Premessa necessaria: presa alla lettera la proposta del candidato repubblicano sfiora l'assurdo. Già oggi, per dirne una, quasi 550 prodotti sui circa 5.600 che passano le dogane americane fronteggiano dazi superiori al 10%, dallo yogurt ai vestiti: finirebbero per scendere, se la cifra annunciata da Trump fosse applicata in modo orizzontale a tutto l'import . C'è poi una bella quota di beni intermedi che le aziende Usa importano per le loro lavorazioni, e diventerebbero più costose. Impossibile poi che l'eventuale incasso possa finanziare una significativa riduzione delle tasse per le famiglie, visto che il gettito è molto inferiore. «Una strada difficile, anomala e controproducente, che contraddice l'idea di una politica commerciale modulata sugli interessi nazionali ed è in definitiva impraticabile», sintetizza Claudio Colacurcio, economista e partner di Prometeia che ha curato le simulazioni.

Le simulazioni: oltre 6 miliardi di dazi extra sul Made in Italy

Immaginiamo allora una cosa più razionale: alzare di altri 10 punti i dazi sui 3 mila prodotti che già oggi sono sottoposti a tariffe. In questo scenario i costi fronteggiati dalle imprese italiane, che nel 2023 sono stati 1,9 miliardi di dollari, salirebbero a 6 (circa 5,4 miliardi in euro). Un impatto considerevole, visto che lo scorso anno il valore complessivo del nostro export è stato di 67 miliardi di euro. C'è poi un'ipotesi più estrema e meno razionale, ma parliamo di Trump: cioè che oltre a questo imponga un 10% anche su tutti gli altri beni che oggi passano liberi la dogana. In questo caso il costo per le imprese italiane supererebbe i 9 miliardi di dollarioltre sette in più. Tra le maggiori economie europee, in entrambi gli scenari, la più penalizzata sarebbe la Germania, che pur nelle difficoltà resta corazzata da export, ma l'Italia sarebbe subito dietro. E i settori più colpiti sarebbero alcuni pilastri manifatturieri: la meccanica – con un conto da 2 miliardi -, la moda, l'alimentare, la farmaceutica.

Assorbire o scaricare? Le scelte delle aziende

Come reagirebbero le aziende? Negli ultimi anni gli Stati Uniti si sono consolidati seconda destinazione del Made in Italy dietro la Germania, e con crescita ben superiore: +5,8% tra gennaio e maggio, andamento che a fine anno punta verso uno storico sorpasso. Pochissime multinazionali hanno la mole per produrre negli Stati Uniti e aggirare i dazi. Alcuni, con prodotti così unici da essere insostituibili, potrebbe scaricare il costo sui clienti. Ma è anche possibile che una parte delle 44 mila aziende che esportano oltre Atlantico possano assorbire il costo per preservare la propria quota di mercato. «Soprattutto se ritenessero che l'aumento è temporaneo», spiega Colacurcio. «Quelle che però hanno margini a doppia cifra, tali da poterselo permettere, sono una minoranza, circa una su tre». Le altre dovrebbero scegliere tra alternative dolorose: esportare in perdita o spedire i loro beni a un indirizzo nuovo.

Il costo dell'incertezza

Fin qui il solo impatto diretto e immediato. Ma si può immaginare che una levata di dazi porti a ritorsioni, con effetti a catena ben maggiori. Un rapporto di Goldman Sachs per esempio ipotizza che l'Europa risponda con tariffe uguali e che l'incertezza commerciale si impenni ai livelli del 2018, epoca del primo assalto tariffario di Trump ad avversari e alleati: l'area euro subirà una botta da un punto di Pil ei Paesi più colpiti sarebbero ancora Germania e Italia.

Al di là della forma della nuova offensiva allora, sono proprio questi costi di incertezzamolto più di quelli alla dogana, che inquietano gli esportatori d'Italia. E dovrebbero inquietare i politici che tifano Trump, magari scommettendo – bell'azzardo – che alla fine prevalga il buon senso: «A preoccupare – dice Colacurcio di Prometeia – non è tanto di quanto alzerebbe i dazi, ma una visione del mondo che apre molte incognite sul futuro del commercio».



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