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‘Caro Presidente, ti scrivo’: il Paese raccontato dai cittadini


Indro Montanelli diceva che gli italiani hanno bisogno dei guai per tirarsene fuori. E di guai, nei suoi 78 anni di Repubblica, l'Italia ne ha passati molti: il terrorismo degli anni di piombo, le stragi di mafia, le crisi economiche e persino una pandemia. Tutto questo è raccontato, dando voce direttamente ai cittadini, da Michela Ponzani nel libro Caro Presidente, ti scrivouna formidabile e precisa raccolta delle lettere inviate dagli italiani al colle più alto, il Quirinaleche ripercorre le tappe più significative del cammino repubblicano intrapreso dal Paese il 2 giugno 1946.

Un Paese che, come scrive l'autrice stessa, ha saputo superare sempre ogni difficoltà mettendo al riparo anzitutto la democrazia, senza mai lasciare spazio a svolte anticostituzionali o autoritarie. Nonostante il fascino del leader – o, peggio, dell'uomo solo al comando – che in più di un'occasione ha pervaso gli italiani. Si parla spesso di lontananza delle (e dalle) istituzioni. A differenza però dei partiti che, per dirla con Giorgio Gaber, scelgono un candidato che tu non sai chi è, ma deleghi comunque a rappresentarti e quando lo incontri ti dicemente giustamente «lei non sa chi sono io», la figura del Capo dello Stato in questi decenni è sempre stata vista come una sicurezza.

Va da sé che non tutti hanno raccolto le stesse percentuali di gradimento. Pertini, Ciampi e da ultimo Mattarella, in questo, rappresentano forse i migliori interpreti di quell'unità nazionale al centro del mandato di ogni Presidente. Non a caso, le prime pagine di questo libro si patriottico si aprono proprio col Presidente per antonomasia: Sandro Pertini. Il più amato dagli italiani, un uomo delle istituzioni che non ha mai temuto il confronto – talvolta duro – con le medesime, qualunque esse fossero, rappresentante di una politica in mezzo alla gente. Dalle assemblee operaie all'Italsider di Genova dopo l'assassinio di Guido Rossa il 24 gennaio 1979 alla strage di Bologna del 2 agosto 1980quando con la voce rotta dal dolore Pertini dichiara: «Ho visto adesso dei bambini, laggiù nella sala di rianimazione, due stanno morendo. È una cosa straziante». Fino alle drammatiche ore tra il 12 e il 13 giugno 1981, nel tentativo di salvare Alfredino Rampi, il bimbo di sei anni caduto in un pozzo a Vermicino. Mentre l'Italia è col fiato sospeso per il destino di quel povero piccolo, Pertini è lì sul posto per dare supporto morale ai soccorsi e qualche parola di conforto ai familiari del povero Alfredino.

Oltre a rappresentare l'unità nazionale, il Presidente della Repubblica è anche garante della Costituzione. Dal 1999 al 2006 è Carlo Azeglio Ciampi a ricoprire questo ruolo. L'ex capo del Governo, già presidente della Banca d'Italia, è stato pioniere di una pedagogia «patriottica» che, partendo dalla Liberazione, col ricordo di tutti coloro che sacrificarono la vita in nome della libertà, arriva fino ai giorni della sua presidenza, durante la quale l'Italia adotta la moneta unica. Proprio l'Europa sarà uno dei capisaldi del suo mandato. Quell'Europa che, nata dal sangue della Resistenza al nazifascismo, di cui lo stesso Ciampi fece parte, arrivò nel tempo alla condivisione di un mercato comune e, successivamente, della stessa moneta. Senza dimenticare il Trattato di Schengen, per ridurre al minimo i controlli alle frontiere nello spazio dell'Ue, consentendo così ai cittadini europei la massima libertà di circolazione. Di questo, ma non solo, Ciampi fu interprete di un dialogo anzitutto con le nuove generazioni. «Sono un bambino di quarta elementare e vorrei esprimere la mia opinione su cambiamento dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori» recita una delle tante lettere indirizzate a Ciampi. «Io ei miei compagni di classe siamo contrari perché consideriamo a quanti padri/madri non avranno la certezza di mantenere i propri figli e il proprio lavoro». È solo una delle tante testimonianze di come Carlo Azeglio Ciampi riuscì a risvegliare le coscienze civili di tanti, a cominciare dai più piccoli, i cittadini del domani.

Una delle pagine più buie che il Paese ha vissuto è certamente quella legata alla pandemia. Tra guanti, mascherine e saluti col gomitolo, ancora una volta il Presidente della Repubblica – in questo caso, Sergio Mattarella – si rivela un alleato essenziale contro la paura e lo sconforto che accompagnato hanno gli italiani in quei mesi difficili. Memorabile il fuorionda durante la di un videomessaggio in cui, rispondendo ironicamente al consigliere per la stampa e la comunicazione, Giovanni Grasso, che gli faceva cenno di sistemarsi i capelli, il Capo dello Stato rispose: «Eh Giovanni, non vado dal barbiere nemmeno io…». Una semplice battuta, diventata immediatamente virale, che riuscì a strappare un sorriso a milioni di italiani. Nonostante la lontananza imposta dalle misure restrittive di allora, il Presidente era più che mai vicino a loro, anche nelle piccole cose quotidiane.

Durante quei drammatici mesi, Mattarella non mancò di sottolineare lo straordinario ed esemplare lavoro degli operatori sanitari che giorno e notte lavorarono per salvare vite, mettendo a rischio anzitutto la loro, mentre fuori dalle mura ospedaliere c'erano milioni di cittadini impauriti che vollero condividere con la massima autorità del Paese le proprie ansie. Come Carolina, 17enne figlia di un carabiniere bloccata nella Basilicata a più di 600 chilometri di distanza dal padre che aveva contratto il Covid. «Nel giorno del mio compleanno ci chiamò per salutarci mentre lo portavano in rianimazione per intubarlo. Il senso di quella telefonata l'ho colto nelle lacrime di mia madre che – solo dopo – mi ha confessato di aver pensato che quella poteva essere l'ultima volta che avrei visto mio padre». Nonostante tutto, Mattarella ha continuato a infondere sicurezza, invitando tutti a rispettare le norme per il contenimento del contagio, riuscendo ancora una volta, mentre qualcuno gridava alla “dittatura sanitaria”, a tenere il Paese in quell'alveo democratico di cui rimane esemplare interpreta e garante.





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