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La provocazione di Almodóvar: siamo capaci di stare accanto a chi soffre?


Sopra e in alto, due scene di “La stanza accanto” di Pedro Almodóvar, con Tilda Swinton e Julianne Moore straordinarie protagoniste.

In concorso alla Mostra di Venezia è stato presentato La stanza accanto (titolo originale La stanza accanto) contro Tilda Swinton e Julianne Moore. Si tratta del primo film in lingua inglese per Pedro Almodóvar.

Racconta l'amicizia tra Ingrid e Martha. Nel tempo si sono perse, ma ora tornano a unirsi. Martha scopre di avere un tumore, le restano pochi mesi prima di morire. Decide di togliersi la vita, e chiede a Ingrid di assisterla.

Ne abbiamo parlato con monsignor Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo.

Cosa pensa il film?

«Per il regista spagnolo questo è un film di svolta. Rispetto alla ricchezza e agli eccessi della sua poetica, narrativa e iconografica, troviamo qui essenzialità e sottrazione, intimità e discrezione: scelte, prese insieme, inedite per lui. I suoi attori feticcio non ci sono, gira per la prima volta in inglese e negli Stati Uniti… Ha il coraggio di entrare in un territorio nuovo, aiutato da due attrici straordinarie che regalano un'interpretazione magistrale. C'è una grande intesa fra loro, in una storia che si regge tutta sugli sguardi, sui piccoli gesti. Trasmettono un legame profondo, un'armonia, un amore amichevole autentico».

Quali temi ha voluto affrontare?

«Quelli classici di Almodóvar: la guerra, la questione ambientale, l'amicizia, la morte. E non mancano i graffi verso la Chiesa. Ma l'elemento portante è quello dell'eutanasia. Nel dibattito pubblico spesso – a proposito di temi etici come questo – il tentativo è di elevare il caso singolo drammatico come emblema, per orientare le coscienze e invocare una soluzione generalizzata e universale. Almodovar non usa questo trucco. Il regista ci mostra come il dramma più grande di chi affronta una malattia grave terminale e irreversibile sia la profonda solitudine e di come la compagnia di un amore autentico sia una straordinaria medicina. Tutti hanno abbandonato la protagonista malata: la figlia, gli amici di una vita, i colleghi: ma nella prova troverà una relazione per molti aspetti salvifici, capace di dare dignità anche al fine vita. Il giudizio sull'opera non può essere assorbito totalmente dal gesto finale negativo – rilevantissimo, per carità – che il protagonista sceglie. Intorno a lei, malata, vediamo sorgere una coralità di presenze in aiuto a lei e all'amica che la supporta: tutti sostengono e sostengono per la vita. Da una parte c'è l'eutanasia, dall'altra il tentativo di Ingrid e di chi la sostiene di affermare la vita e di portare speranza. Il film ci provoca: siamo capaci di portare compagnia e vita per dare forza a chi è nel dolore estremo? Abbiamo il coraggio di aiutarlo a vivere i giorni ultimi ea morire con dignità umana e cristiana? Le sbavature del film – non privo di difetti – oltre che nei flashback sono anche in alcuni stereotipi a proposito dei credenti, presentati o come “irregolari” o come oltranzisti. La provocazione di Almodóvar deve essere comunque accolta: è di grande aiuto per non smettere di confrontarci, interrogarci, per comprendere la potenza dello stare con verità e amore accanto a chi soffre una malattia grave. Da prete noto purtroppo come spesso i malati terminali siano lasciati soli con il proprio dramma, la propria sofferenza, i propri dilemmi. Il lavoro straordinario di volontari e medici di tanti Hospice, la presenza in questa fase della vita di molti parenti e amici, sono la traduzione nella realtà di quella presenza d'amore che vediamo nel film».

Vincerà un premio?

«Non penso, ma se accadrà non sarà tra i più ambìti».





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