Istruzione

“Basta ricatti sociali agli insegnanti”, la denuncia di Alfredo Palomba: “Regolamenti carta straccia e reclutamento al collasso. La scuola ha bisogno di certezze, non di algoritmi” [INTERVISTA] – Orizzonte Scuola Notizie


Un sistema al collasso o un laboratorio per il futuro? Alfredo Palomba, docente e scrittore, nel suo libro “Il cuore dell'uragano” (ed. Bompiani) ci porta dentro la scuola italiana, tra difficoltà croniche e inaspettate scintille di vitalità.

Dalle GPS alla burocrazia asfissiante, dalle classi difficili alla forza dirompente degli studenti, Palomba analizza le contraddizioni di un mondo complesso, rivelando cosa lo spinge a continuare a lottare, “con rabbia e con amore”, per una scuola migliore.

Parla di “enorme, invisibile potenziale” della scuola, eppure il suo libro è ricco di esempi di difficoltà e carenze. Dove si nasconde questo potenziale in un sistema che sembra spesso al collasso? Quali segnali concreti le fanno credere in un futuro migliore per la scuola italiana?

“La scuola è un sistema umano, che per sostenersi dignitosamente e adempiere ai suoi compiti necessita di enormi risorse e dell'impegno costante e condiviso dell'intera società; perché diventano risorse elargite, c'è bisogno di fiducia e riconoscimento: tanto del valore intrinseco del sistema finanziato quanto delle singole figure professionali che vi lavorano. Almeno in parte, le difficoltà in cui si trova la scuola dipendono da una cronica e diffusa mancanza di fiducia nella sua effettiva utilità. È impossibile parlare di scuola senza menzionare anche le sue tantissime carenze, ma non si deve cedere ai de profundis—magra valvola di sfogo che spesso, purtroppo, accompagna la figura dell'insegnante. Il potenziale, come sopra, è umano. I ragazzi sono il potenziale, la loro giovinezza, la virtualità degli adulti che diventeranno e che siamo chiamati ad accompagnare”.

Dalle GPS alla burocrazia asfissiante, lei non risparmia critiche al sistema scolastico. Se potesse cambiare tre cose nella scuola italiana, quali sceglierebbe e perché?

Nell'imbarazzo della scelta, pesco qualcuno degli spunti del capitolo “Lettera a un ministro dell'istruzione”, da cui il sottotitolo del libro. In questi giorni un argomento di cui si dibatte molto è l'ingolfamento delle GPS e del famigerato algoritmo in seguito agli inserimenti di ruolo e con riserva uniti alle mortificanti abilitazioni-non abilitazioni, mentre concorsi sempre più deludenti dal punto di vista della dignità e del merito sono svolti, non svolti, lasciati a metà per essere ripresi chissà quando, chissà se. Il sistema di reclutamento è evidentemente al collasso e ne è ormai dato per associato il meccanismo disfunzionale: servirebbe una piattaforma nazionale utile a stabilizzare le immissioni in ruolo, che dovrebbero tener conto soprattutto degli anni di esperienza maturati sul campo, non di ridicoli crediti formativi che di formativo non hanno un bel nulla, se non la “formazione” di ingenti quantità di denaro estorto nella forma dell'umiliante ricatto sociale a una classe di lavoratori già svantaggiati e tenuti sempre meno in considerazione.

I regolamenti di istituto sono carta straccia: esistono ma sono applicati in maniera arbitraria, timorosa, il che alimenta un senso di insicurezza sia negli alunni che negli stessi docenti. Gli istituti di ogni ordine e grado dovrebbero avere regole chiare, comunicate senza possibilità di fraintendimento a famiglie e alunni ma, prima ancora, ai professori: sono all'ordine del giorno comportamenti diversi dei docenti di fronte a infrazioni più o meno gravi, e per me è impensabile. Si dovrebbe garantire a tutti la certezza che siano rispettate le regole e queste vanno applicate sempre con buon senso, intelligenza, tenendo conto di mille variabili, ma vanno applicate. Ho visto troppo spesso colleghi spaventati dalla prepotenza di chi vorrebbe piegare la comunità al proprio comodo. Non è dignitoso, ma dipende anche da noi. Una scuola – una società – in cui non ci sia chiarezza da questo punto di vista, va avanti con molta fatica.

Serve maggiore personale di supporto nelle scuole: insegnanti di Sostegno, insegnanti di Potenziamento per i ragazzi che, pur senza handicap certificati, hanno grosse difficoltà di apprendimento, professionisti sanitari e sportelli psicologici sempre attivi ea disposizione degli alunni (e, volendo, del personale scolastico ). Dice: “Ma servono molte più risorse economiche”. Rispondendo: “Eh, infatti”.

Definisce la scuola “il laboratorio del futuro”, ma molti insegnanti, studenti e famiglie la vivono come un luogo di frustrazione e disillusione. Come si può trasformare questo laboratorio in un luogo di reale crescita e opportunità per tutti, e non solo per pochi “eroi contemporanei”?

“Al netto delle complessità fisiologiche dell'universo educativo, anzitutto trasformando gli ambienti, rendendoli più accoglienti, meno “frontali”, più tecnologici, senza però diventare schiavi delle tecnologie o sentirsi costretti a inventarsene una più del diavolo per catturare l'attenzione degli studenti , “perché ormai non riescono a concentrarsi per più di dieci minuti”. Gli insegnanti devono essere anche “intrattenitori” ma non diventare saltimbanchi o abbassare il livello delle lezioni per assecondare una presunta, diminuire la capacità di concentrazione, anzi: possono semmai lavorare in senso opposto. Riempire le aule di libri e trasmettere l'amore per la lettura mi sembra un buon inizio, da insegnante di Lettere. Avere ben chiara in mente la dignità del nostro lavoro e comunicarla fin da subito ad alunni e famiglie, senza paura. Non lasciare mai indietro nessuno, cercare di governare la classe appianando i contrasti, mostrando obiettivi chiari, raggiungibili a patto di lavorare, singolarmente e in gruppo. Guidarli col sorriso e con la gentilezza, scherzare molto, prenderli e prendersi in giro; ma pretendere anche sforzi dagli studenti, non regalare niente, abituarli all'impegno, ad assumersi responsabilità, a porsi obiettivi e meritarne il raggiungimento, già dalle medie. Lasciare che inciampino e aiutarli a rialzarsi, non evitare che inciampino. Considerare che le intelligenze sono tante, cercare di valorizzarne il più possibile, nel miglior modo che ci riesce, con ciò che abbiamo, che spesso non è molto”.

“Dalla parte della scuola italiana, con rabbia e con amore”: una frase potente che rivela un legame profondo e complesso. Cosa la fa arrabbiare di più del sistema scolastico italiano, e cosa invece continua ad amare, nonostante tutto?

“Devo precisare che si tratta di uno strillo editoriale, che però ben riassume i toni del libro (nel quale, in verità, ci si affida molto anche all'ironia): non si può non provare rabbia di fronte alle tante critiche che ogni insegnante incontra sul suo cammino quotidiano né si potrebbe svolgere questo mestiere – che, a scanso di equivoci, giova ricordare: è un mestiere, non una “missione”, come a volte leggo o sento dire – senza amore. Tra gli esergo che iniziano il volume c'è una frase di William T. Vollmann tratta da L'atlante, un suo libro di racconti: “Per un attimo ricordò vagamente le estati degli adolescenti, che si credeva sul punto di cambiare per sempre” . Forse non c'entra troppo, ma questa breve immagine della giovinezza, così vitale, così impressionante nella sua tensione a mutare, è qualcosa da guardare come un mistero, con stupore e gratitudine. Quando l'abbiamo, quando siamo giovani noi, non la sappiamo riconoscere. E di fronte a tale privilegio detesto la rinuncia che caratterizza in parte il sistema scolastico, la rinuncia a custodirlo al meglio delle nostre possibilità: per pigrizia, per inerzia, per incompetenza, perché senza accorgercene siamo diventati vecchi”.

A chi si rivolge principalmente con questo libro: ai suoi colleghi, agli studenti, alle famiglie oa chi ha responsabilità politiche? Quale messaggio spera di trasmettere a ciascuno di loro?

Il cuore dell'uragano è un libro nato sulla scorta dell'esperienza e delle riflessioni che l'esperienza porta a fare. È un libro politico nella misura in cui, nel raccontare un mondo infinitamente complesso, riconosce questa complessità, la misura senza la presunzione di voler definire soluzioni facili, tentando se non altro di stimolare qualche domanda. Interrogare la realtà e non farsi fagocitare dall'inerzia è il gesto più politico che da scrittore e da insegnante riesco a immaginare ea cui, con fatica, provo a portare i miei ragazzi. Quindi, sì: il lettore ideale di questo strano libro è un collega, uno studente, un genitore, un politico, finanche un ministro, chiunque abbia a che fare in maniera diretta o indiretta col mondo della scuola. Ma – a rischio di sembrare ingordo di lettori e per la gioia dell'editore – non solo. Quando ho accettato di scrivere il libro sapevo, prima di tutto, che impasto ne sarebbe venuto fuori: una narrazione da dentro, in cui racconto la scuola ma anche me, la mia vita che reagisce alla scuola, e sapevo che ne avrei parlato non da tecnico o da pedagogo ma da insegnante, da uomo e da scrittore: preoccupandosi del realismo fino a un certo punto, privilegiando lo stile e l'idea di un lettore non specifico o specialistico ma accarezzando l'ambizione di scrivere qualcosa che si rivolgesse a chiunque sia incuriosito dalle vite degli altri. La scuola è, certo, il campo d'indagine del libro; ma come le dicevo la scuola è un sistema umano e si regge anzitutto sui legami. Insomma, avevo intenzione di scrivere un libro che mi sarebbe piaciuto leggere a prescindere dal mestiere che svolgo e che fosse in stretta continuità stilistica con i miei libri precedenti—che, dunque, anche chi ha letto già qualcosa di mio poteva riconoscere. Del resto, come in precedenza, ho messo nelle pagine de Il cuore dell'uragano tutto ciò che avevo. Infine, se c'è, direi che il messaggio delle cose che scrivo è sempre, più o meno, lo stesso: non coltivare l'indifferenza, provare a essere persone decenti.

Nel suo libro, si definisce “nell'occhio dell'uragano”. Questa posizione le ha permesso di osservare le “macerie” ma anche la “straordinaria vitalità” della scuola. C'è stato un momento specifico in cui ha sentito il passaggio dalle macerie alla vitalità, un episodio che le ha dato speranza per il futuro?

Nel mondo della scuola macerie e straordinaria vitalità sono una monade, sembra quasi si alimentino una vicenda. Le cose migliori, a volte, arrivano proprio dalla necessità di superare un momento difficile. L'ultimo capitolo del libro parla di un uragano vero, un'alluvione che in Romagna, di macerie, ne ha provocate moltissime. E parla dei miei alunni di fronte all'uragano. Forse non ho mai visto una vitalità così irriducibile e commovente di quella scatenatasi in un gruppo di adolescenti davanti a questa sconvolgente quantità di macerie. In quel momento, il passaggio dalle una all'altra l'ho avvertito sulla pelle ed è qualcosa che non potrò mai dimenticare.

Descrive con grande empatia le storie dei suoi studenti, ragazzi che si portano dietro “vite complesse”. C'è un episodio in particolare, un incontro o uno scontro, che l'ha segnato profondamente e che l'ha aiutato a comprendere meglio la realtà dei suoi allievi?

Naturalmente ogni persona ha una storia a sé, per cui non parlerei di una realtà dei miei allievi in ​​senso generale. Spesso, però, i ragazzi che vivono difficoltà socioeconomiche importanti manifestano disagi simili, tra cui una rabbia non facile da arginare. Nel libro racconto diversi alunni “difficili”, tra cui Rocco, un diciassettenne al secondo anno del professionale che io ei miei colleghi abbiamo tentato in tutti i modi di motivare, senza però riuscirci più di tanto. Con lui ho avuto scontri fortissimi perché mi rifiutavo di “lasciarlo in pace”. Quando è andato via da scuola, però, nonostante fossi stato quello che più gli aveva dato filo da torcere, ci siamo abbracciati. Mi sono emozionato perché mi è sembrato che, in qualche modo, Rocco avesse compreso gli sforzi che avevamo fatto per lui.



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