Economia Finanza

Su di me 10 anni di vere barbarie




Gisèle Pélicot, la donna che per anni è stata violentata in casa sua a Mazan, in Francia, da sconosciuti con la complicità del marito Dominique che la drogava ha testimoniato ieri. «Sono stata sacrificata sull'altare del vizio», ha detto davanti alla Corte d'Assise del Vaucluse, ad Avignone, «quando vedete questa donna, drogata, abusata, una donna morta su un letto, naturalmente il corpo non è freddo, è caldo, ma io sono come morta». Lo ha riportato l'emittente Bfmtv. «Questi uomini mi profanano, si approfittano di me. Nessuno di loro pensa che stia succedendo qualcosa», ha aggiunto, ricordando il 2 novembre 2020, giorno in cui ignara fu convocata con il marito al commissariato di Carpentras e dove vide le prove delle violenze ai suoi danni, documentati dal consorte. «Mi mostrano una fotografia. Non ho gli occhiali. Non riconosco la donna sul letto. Il poliziotto mi dice: Signora Pelicot, guardi bene. Faccio fatica a riconoscermi, sono vestita in un certo modo. Sono inerte, addormentata, e mi stanno violentando. Stupro è la parola sbagliata, è una barbarie».

Una volta scoperto quanto commesso da suo marito, Gisèle Pélicot ha ricordato: «Il mio mondo è crollato. Tutto quello che avevo costruito con il signor Pélicot è crollato: 3 figli, 7 nipoti, una coppia innamorata. Anche i nostri amici ci dicevano che eravamo la coppia ideale». La donna, oggi 72enne, ha poi fatto riferimento ai 51 uomini identificati e sotto processo con il marito per averla violentata: «Penso che sia legittimo che ammettano i fatti, qualsiasi altra cosa è insopportabile. C'è già un sentimento di disgusto. Almeno una volta nella vita, dovrebbero avere la responsabilità di ammettere ciò che hanno fatto», ha detto.

Gisèle Pélicot ha poi concluso: «Sto resistendo a questo processo, perché penso che il danno sia stato

fatto. Questo è il motivo principale per cui ho voluto aprire questo processo che inizialmente era previsto a porte chiuse. Lo faccio a nome di tutte quelle donne che potrebbero non essere mai riconosciute come vittime».



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