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Il Papa ai timorensi: «Siete un Paese giovane, con tanti bambini segno di accoglienza e speranza»



In 600 mila hanno atteso il Papa per partecipare alla messa nella spianata di Taci Tolu, a Dili. Papa Francesco, che prima, incontrando il clero aveva ammonito a non «approfittare del ruolo» ea non cedere alla tentazione del potere, per essere, invece, sempre «ministro di compassione e segno della misericordia di Dio», si rivolge ai fedeli per metterli in guardia contro la ricchezza.

Spiega il Vangelo e parla di Gerusalemme che era «in un momento prospero per la città, caratterizzato però, purtroppo, anche da una grande decadenza morale. C'è tanta ricchezza», dice il Papa, «ma il benessere acceca i potenti, li illude di bastare a sé stessi, di non aver bisogno del Signore, e la loro presunzione li porta ad essere egoisti e ingiusti. Per questo, anche se ci sono tanti beni, i poveri sono abbandonati e soffrono la fame, l'infedeltà dilaga e la pratica religiosa si riduce sempre più a pura formalità. La facciata ingannevole di un mondo a prima vista perfetta nasconde così una realtà molto più oscura e triste, dura, crudele, in cui c'è tanto bisogno di conversione, di misericordia e di guarigione».

È quello che accade anche oggi. Il Pontefice, che parla in spagnolo in un Paese dove la lingua ufficiale è il portoghese, sottolinea che, così come il profeta Isaia parla della nascita di Gesù aprendo «ai suoi concittadini un orizzonte nuovo, che Dio aprirà davanti a loro: un futuro di speranza e di gioia, dove la sopraffazione e la guerra saranno bandite per sempre» anche noi, quando nasce un bambino, viviamo «un momento luminoso, di gioia e di festa, che infonde in tutti desideri buoni, di rinnovamento nel bene, di ritorno alla purezza e alla semplicità».

Il cuore si scalda, tornano la speranza e la voglia di sognare. «La fragilità di un bambino porta con sé un messaggio così forte da toccare anche gli animi più induriti, riportandovi propositi di armonia e di serenità. È quello meraviglioso che succede alla nascita di un bambino!», dice ancora Francesco. La nascita di un bambino ci rivela l'amore di Dio. «Non solo, ma in Cristo, Dio stesso si è fatto uomo, bambino, per stare vicino a noi e per salvarci. L'invito, allora, davanti a questo mistero, è non solo a stupirci ea commuoverci, ma anche ad aprirci all'amore del Padre ea lasciare plasmare, perché possa guarire le nostre ferite, ricomporre i nostri dissensi, rimettere ordine nella nostra esistenza, fino a diventare il fondamento della nostra vita personale e comunitaria, a tutti i livelli».

Ricorda quanto sia giovane questo Paese, quanti bambini ci siano a Timor Leste, quanta energia dia questa presenza. Un dono, un segno, «perché fare spazio ai piccoli, accoglierli, prendersi cura di loro, e farci anche noi, tutti, piccoli davanti a Dio e gli uni di fronte agli altri, sono proprio gli atteggiamenti che ci indicano all'azione del Signore. Facendoci piccoli permettiamo all'Onnipotente di fare in noi cose grandi, secondo la misura del suo amore, come ci insegna Maria nel Magnificat, e anche in questa celebrazione». In questa celebrazione, spiega Francesco, si celebra la Madonna come regina, perché madre di Gesù che è re, ma la ricordiamo anche come «una giovane mamma fragile e povera» che ha saputo dire, però, il suo «sì». Maria, però, non ha ceduto alla superbia, ma «ha scelto di rimanere piccola per tutta la vita, anzi di farsi sempre più piccola, servendo, pregando, scomparendo per lontano posto a Gesù, anche quando questo le è costato molto, anche quando non comprendeva bene tutto quello che le stava succedendo attorno». Sul suo esempio, dunque, non dobbiamo avere «paura di farci piccoli davanti a Dio, e gli uni di fronte agli altri, di perdere la nostra vita, di donare il nostro tempo, di rivedere i nostri programmi, rinunciando a qualcosa perché un fratello o una sorella potrà stare meglio ed essere felice. Non abbiamo paura di ridimensionare quando necessario anche i nostri progetti, non per sminuirli, ma per renderli ancora più belli attraverso il dono di noi stessi e l'accoglienza degli altri, con tutta l'imprevedibilità che questo comporta. Perché la vera regalità è quella di chi dona la vita per amore: come Maria, e come Gesù, che sulla croce ha dato tutto, facendosi piccolo, indifeso, debole per far posto a ciascuno di noi nel Regno del Padre».

Spiega anche due gioielli tradizionali che il popolo indossa, il Kaibauk e il Belak. «Tutti e due sono di metallo prezioso. Vuol dire che sono importanti!». L'uno, che si mette in testa, ma anche sulle sommità delle case, simboleggia «le corna del bufalo e la luce del sole, e si mette in alto, a ornamento della fronte, come puro sulla sommità delle abitazioni, attraverso la forma dei tetti. Esso parla di forza, di energia e di calore, e può rappresentare la potenza di Dio, che dona la vita. Ma non solo: posto a livello del capo, infatti, e in cima alle case, ci ricorda che, con la luce della Parola del Signore e con la forza della sua grazia, anche noi possiamo cooperare con le nostre scelte e azioni al grande disegno della salvezza». L'altro, il Belak, «che si mette sul petto, è complementare al primo. Ricorda il chiarore delicato della luna, che riflette umilmente, nella notte, la luce del sole, avvolgendo ogni cosa di una fluorescenza leggera. Parla di pace, di fertilità e di dolcezza, e simboleggia la tenerezza della madre, che coi riflessi delicati del suo amore rendono ciò che tocca luminoso della stessa luce che riceve da Dio».

Insieme, dunque, Kaibauk e Belak, sono la «forza e la tenerezza di Padre e di Madre: così Il Signore manifesta la sua regalità, fatta di carità e di misericordia»





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