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Jannik Sinner, il difficile tempo sospeso, il caso non è chiuso


Dopo il torneo più importante della stagione, un Us Open vinto con sugli spalti personaggi arcinoti del calibro di Taylor Swift, John Bon Jovi, parterre per il quale, quand’anche avessero tifato per l’avversario americano Taylor Fritz, (ma non è il caso di Seal, cantante inglese, fan di Sinner e suo amico personale) ci sarebbe a 23 anni di montarsi un filo la testa, verrebbe da immaginarsi per celebrare una festa super glamour, a base di champagne e cene stellate, senza badare a spese e a orari, fino a concedersi una notte almeno un po’ brava. Potrebbe starci, se si è il numero uno del mondo del tennis, sport che ai vertici rende cifre da capogiro e regala notorietà planetaria.

Poi arriva Jannik Sinner e quando gli chiedono come ha festeggiato il secondo slam della stagione, doppietta che lo mette di diritto nel gotha dei migliori della storia del tennis, racconta qualcosa che somiglia più alla festa di compleanno per gli 11 anni di un bambino qualunque: cena in albergo, davanti al MoMa, super riservata, se non proprio con la famiglia, che a New York non c’era, con le poche persone fidate che ne fanno le veci per il mondo: gli allenatori Simone Vagnozzi, Darren Cahill, Anna Kalinskaja, collega e fidanzata di Jannik, menù anti ortoressico, a base di hamburger, patatine e cocacola. Non inganni il rifugio nell’idea platonica del confort food preadolescenziale: Jannik Sinner, in questi mesi è cresciuto parecchio, come giocatore e come uomo.


UNA CONSAPEVOLEZZA PESANTE


A 23 anni ancora da compiere ha dimostrato di saper gestire con solidità di roccia dolomitica, non solo per provenienza ma anche per sostanza, la velenosa vicenda della positività al clostebol emersa in due controlli ravvicinati del marzo scorso: Sinner, il suo staff e i suoi legali conoscevano la positività da allora con tutte le implicazioni anche emotive del caso, da quando è stata loro notificata, ma per il mondo è emersa a metà agosto, quando lo stesso Sinner su instagram ha pubblicato il comunicato in cui i suoi legali spiegavano che la vicenda si era risolta con la decisione di un Tribunale arbitrale indipendente che, nella controversia tra la Federazione internazionale del Tennis e Jannik Sinner, aveva riconosciuto l’innocenza del giocatore, inconsapevole di una contaminazione indiretta accidentale, di fronte alla quale al tennista non potevano essere imputate né consapevolezza, né negligenza nel vigilare sui comportamenti dello staff, di cui ogni tennista è responsabile. Dal comunicato si evinceva che Sinner aveva scontato solo pochi giorni di sospensione cautelare in due tranche, perché i suoi ricorsi, tempestivi, erano stati subito accolti, con conseguente nullaosta a giocare.

DAVANTI AL MONDO, TRA CRITICHE E SOLIDARIETà

  

La notizia è stata comprensibilmente accolta con inevitabile clamore: non sono mancate le critiche, non tanto alle motivazioni che le 33 pagine di sentenza hanno con dovizia argomentato, sono stati pochi anche tra gli avversari a sospettare una spiegazione di comodo, maggiori sono state le critiche al sistema antidoping: diverse voci hanno avanzato il sospetto di più pesi e più misure, lasciando intendere che altri in situazioni simili avevano scontato, a differenza del numero 1 del mondo, lunghe sospensioni cautelari in attesa della decisione che poi li avrebbe scagionati.

Tutto questo è stato per mesi un peso notevole sulle spalle di Sinner, dapprima nell’attesa del verdetto, e dopo al momento di fronteggiare l’incognita della pubblicità della notizia e le inevitabili conseguenze: occorre dire che, al netto di qualche reazione scomposta come quelle di Kurgyos, che ha le sue ragioni molto personali, legate a rivalità sentimentali, ci sono state più difese che critiche dirette, segno che l’atteggiamento pacato e non elusivo con cui Sinner ha risposto, con sicurezza da veterano, alla prima conferenza stampa, la più spinosa, e le argomentazioni legali hanno perlopiù convinto. In qualche modo ha certo inciso la reputazione, pressoché universale di serietà personale di cui Jannik Sinner gode nell’ambiente del tennis, e qualcosa ha fatto la solidità, segno di sicurezza in sé, che ha mostrato negli ultimi tornei vinti con la spada di Damocle sulla testa. Tanto che al termine del Us Open, domenica 8 settembre, con la vicenda ancora sub judice (lo sarà ancora per qualche settimana), nella stragrande maggioranza dei casi, con rare voci dissenzienti, anche sulla stampa estera l’ammirazione e la fiducia hanno finito per prevalere sui dubbi. Senza che questo conti nei Tribunali, a livello di reputazione generale può aver avuto un ruolo il fatto che sui media italiani, diversi scienziati, tra loro il decano dei farmacologi Silvio Garattini, si sono esposti a spiegare che il clostebol funziona come doping solo a dosaggi molto elevati. (mentre nei campioni di Sinner il valore era un milardesimo di grammo).

Forse un poco incide anche l’aspetto fisico di Sinner, il più filiforme del circuito, l’ultimo cui verrebbe da pensare in fatto di muscoli gonfiati, ma questa è solo una percezione estemporanea che non vale nei Tribunali.


Vediamo com’è andata

La controversia, seguita ai due test positivi vicini alla stessa sostanza, è stata decisa in primo grado da un Tribunale arbitrale indipendente, i contendenti erano: Itia (International Tennis integrity agency), l’agenzia antidoping competente per il tennis e Jannik Sinner.

Le regole prevedono, che in caso di analisi positiva, tocchi al giocatore e all’ufficio legale che lo rappresenta dare una spiegazione plausibile di come la sostanza sia entrata nel suo corpo e dimostrare di non aver agito con volontarietà o negligenza, va ricordato che il giocatore è ritenuto responsabile, ed è per tanto squalificabile, anche per gli errori e le omissioni del suo staff, per cui l’affermare di essersi affidati a persone competenti e di non aver saputo non è di per sé una giustificazione ritenuta accettabile.

La spiegazione che Sinner ha prodotto è che lo steroide anabolizzante in questione sarebbe entrato nel suo corpo attraverso uno spray cicatrizzante contenente clostebol, in Italia venduto senza ricetta medica, presente per uso per personale nel necessaire del preparatore atletico Ferrara, che lo aveva acquistato in Italia dove è un farmaco da banco, e che lo avrebbe dato al fisioterapista Naldi, per aiutarlo a gestire una ferita a un dito che si era procurato. La contaminazione sarebbe avvenuta in modo indiretto: nessuno ha somministrato lo spray direttamente al giocatore, ma la sostanza sarebbe passata nel suo corpo dal contatto attraverso le mani contaminate del fisioterapista, nel corso di massaggi, che normalmente si praticano senza guanti, passaggi di cui il giocatore non aveva ragione di sospettare.

 

Perché la spiegazione è stata ritenuta verosimile

  

Certamente nella decisione del Tribunale arbitrale hanno pesato più fattori, di sicuro: la concordanza dei pareri di tre diversi consulenti scientifici, due dei quali non conoscevano – lo scrive il Tribunale – chi fosse il giocatore su cui si decideva e quindi non a rischio di subire condizionamenti e il fatto che esistesse uno studio scientifico del 2020, che ha dimostrato che un esito positivo di controlli per contaminazione indiretta anche dopo «una dopo una singola somministrazione transdermica di 5 mg di clostebol acetato e un contatto transitorio con l’area di applicazione» è scientificamente possibile, tanto che si legge nelle conclusioni dell’abstract della ricerca che «Non è irragionevole stabilire un livello di segnalazione per l’M1, magari creando alcuni falsi negativi ma escludendo scenari di doping non intenzionale».


Ma vediamo i pareri dei tre esperti estratti dalla sentenza

Il professor Jean-François Naud, direttore del laboratorio accreditato Wada di Montreal, Canada, ha ritenuto la plausibilità della spiegazione di Sinner sia «realmente alta e che una concentrazione stimata a fatica di 100pg/ml» sia «una concentrazione piccola e potrebbe essere il risultato di una contaminazione incrociata come pubblicato in letteratura scientifica» e che, riguardo alla positività in due controlli ravvicinati, è «possibile che il risultato del secondo controllo venga dalla stessa contaminazione che ha generato il primo».

Xavier de la Torre, vicedirettore scientifico del laboratorio accreditato Wada di Roma, tra le firme dello studio specifico condotto proprio dal suo laboratorio sulla contaminazione accidentale da clostebol: Detection of clostebol in sports: Accidental doping? Drug Test Anal. 2020; 12:1561–1569 de la Torre X, Colamonici C, Iannone M, Jardines D, Molaioni F, Botrè F, ha citato dati secondo i quali «considera plausibile che la positività al primo e al secondo controllo sia “l’esito di una contaminazione provocata dagli atti del fisioterapista”, che stava trattando il giocatore nel periodo del controllo”. Il professor David Cowan, professore emerito nel dipartimento di Scienze analitiche, ambientali e forensi del King’s College di Londra, ha dichiarato la ricostruzione di Sinner “Interamente plausibile in base alle spiegazioni date e alla concentrazione identificata in laboratorio. Anche se la somministrazione fosse stata intenzionale non avrebbe avuto alcuna rilevanza dopante e di miglioramento delle prestazioni, sul giocatore». Inoltre, non ha trovato evidenze: “che supportino alcun altro scenario».

Alla luce di questi pareri e dell’analisi dei precedenti giurisprudenziali, il Tribunale arbitrale ha stabilito che al giocatore non si potesse imputare né colpa né negligenza, che la sospensione sarebbe stata cancellata e che nessuna squalifica gli sarebbe stata inflitta, restava in piedi soltanto la revoca dei punti e dei guadagni acquisiti nei tornei durante i quali è avvenuto il controllo secondo le regole vigenti (articolo 98.1 del TADP).

Più pesi e più misure?

  

È stata la critica più dibattuta in queste settimane, più di uno anche tra i grandi giocatori ha insinuato il sospetto di una giustizia ingiusta: nella velocità di risposta ai ricorsi. È andata davvero così? La questione è da dimostrare, nel senso che non sempre i casi simili possono essere ritenuti uguali: per esempio riguardo al clostebol esistevano studi scientifici specifici che hanno dimostrato la possibilità di una contaminazione accidentale indiretta, non per tutte le sostanze è disponibile una simile base scientifica, ed è possibile che in presenza di sostanze diverse i ricorsi sarebbero andati meno spediti.

Riguardo al clostebol esistevano anche precedenti giuridici: uno in particolare quello, recente di Marco Bortolotti, all’epoca del controllo attorno al numero 130 del mondo, ha evidenziato una vicenda identica a quella di Sinner anche nei tempi e nelle conseguenze. Altre sono state più accidentate: sta infatti anche al giocatore produrre la documentazione e dimostrare di aver impiegato tutte le precauzioni possibili, per evitare incidenti casuali.

Nel caso di Sinner, come ha spiegato lo stesso giocatore, è stato molto rapido risalire alla causa addotta della positività ed è stato possibile produrre anche della documentazione, a sostegno. E probabilmente ha avuto un peso anche il fatto che i collaboratori di Sinner «sono stati formalmente ingaggiati con contratti professionali, cosa che non sempre avviene – si legge nella sentenza – , contratti che a loro volta richiedevano di adempiere ai loro obblighi al massimo livello, il che secondo il giocatore includeva il rispetto delle regole pertinenti», a riprova della serietà con cui il giocatore aveva assunto la responsabilità della vigilanza.

Difficile valutare da confronti sommari, se davvero ci siano stati pesi e misure diverse, lo si potrebbe valutare solo studiando e comparando a fondo i singoli casi uno a uno. Quanto alla critica ricorrente per cui ci sarebbe un “privilegio” nel potersi permettere un valente studio legale, è questo uno dei fattori di sperequazione di tutti i sistemi giudiziari al mondo, che nei casi in cui c’è uno stato sociale possono garantire ai non abbienti al massimo un gratuito patrocinio, senza che questo incida sulla differenza di qualità tra difese tecniche ingaggiate dalle singole parti: ci sarà sempre qualcuno che può permettersi principi del foro a fronte di qualcuno che non può. È questo fattore a suggerire che l’unico vero antidoto sia conservare a tutti i livelli giudici il più possibile autonomi e indipendenti.

 A chi gli ha chiesto in questi mesi delle critiche e delle voci contrarie, Sinner ha sempre risposto con la massima pacatezza: «Non sono cose che posso controllare, le devo accettare». Fa pensare alla preghiera della serenità di controversa attribuzione, ma nota in una versione del pastore protestante statunitense Reinhold Niebuhr:«Dammi il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, la forza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza di saperle distinguere».


L’ULTIMO MIGLIO MA IL CASO NON è CHIUSO

Il 9 settembre 2024 a mezzanotte è scaduto il termine per l’ultimo ricorso esperibile alla Corte arbitrale delle sport di Losanna (CAS/TAS,  competente per gli appelli di questo tipo), avrebbero potuto agire Wada, Agenzia mondiale antidoping e Nado. Si sarebbe detto tutto finito quando si è appreso che il ricorso non era arrivato, ma il Corriere della Sera riferisce che: «Da Montreal, sede dell’Agenzia, la Wada fa sapere di considerare «il caso ancora aperto e l’indagine in corso» in base a un comma dell’articolo 13.2 del Codice Antidoping (il 13.2.3.5, riservato alla sola agenzia antidoping internazionale e non ad esempio a Nado Italia) che le permette di far partire il conteggio dei 21 giorni del termine per l’appello dal momento in cui ha ricevuto documentazione aggiuntiva sul caso specificamente richiesta a Itia, l’agenzia indipendente che giudica i casi di doping nel tennis». Questo non significa che il ricorso arriverà, ma per saperlo occorrerà attendere altre due-tre settimane.

In base ai precedenti, tenendo conto degli orientamenti del Cas/Tas (secondo che la sigla sia usata in inglese o in italiano), potrà forse aiutare Sinner il caso Palomino, dove il Tribunale nel respingere il ricorso di Nado Italia aveva affermato che la massima precauzione contro i casi accidentali non poteva spingersi fino a pretendere dall’atleta anche l’onere di una prova in negativo: «Nel caso presente», scriveva il Tribunale nella sentenza pubblicata il 19 dicembre 2023: «NADO Italia mette a carico dell’atleta la prova di un fatto negativo. L’Atleta deve – secondo NADO Italia – spiegare e dimostrare che la sostanza proibita non è stata assunta in altro modo. Tuttavia, ciò è irragionevole. Piuttosto, è dovere di NADO Italia, in un caso come il presente, presentare uno scenario alternativo concreto che permetta poi all’Atleta (su cui grava comunque l’onere della prova) di presentare a sua volta le prove per confutare le affermazioni della controparte».

UNA nuova maturità

  

Certo, si capisce dopo tutto questo il peso portato da Jannik Sinner con ammirevole maturità in questi mesi, ancor più che dal suo sospiro a fine Us Opem vinto con grande autorevolezza, dal pianto di Darren Cahill, che invece di esultare si è lasciato andare a un momento liberatorio in mondovisione, e che dopo ha spiegato: «Forse sto diventando vecchio», e poi più seriamente: «Nel team di Jannik io non sono l’allenatore più importante, che è Simone Vagnozzi, però sono quello che ha più esperienza. Negli ultimi quattro mesi sono successe tante cose all’interno del team e molte di queste sono ricadute sulle mie spalle. Io ho cercato di mantenere il senso delle cose e il focus di Jannik su quelli che erano i nostri obiettivi. Gli ripetevo in continuazione che non aveva fatto niente di sbagliato, quindi qualunque cosa fosse successa lui doveva restare con la testa alta, perché non aveva fatto assolutamente niente di sbagliato. Siamo riusciti ad attraversare questo periodo, non certo senza stress. Probabilmente la mia reazione era dovuta anche a quello».

Tra le cose successe ci sono state anche le decisioni “traumatiche” come quelle di rompere il rapporto con Naldi e Ferrara, a livelli in cui non possono essere ammesse leggerezze: decisione certo difficile anche per un giovane numero 1, che ammette di aver capito in tutto questo cose importanti per la vita, a cominciare dalle persone che lo conoscono da sempre per cui conta un ragazzo di nome Jannik, non i premi o punti che saprà racimolare. Per il resto le prossime settimane non sono nelle sue mani, lo attendono altri giorni sospesi e per questo non facili, tanto più che il momento è complicato come ha rivelato nella dedica per la vittoria all’Us Open da un delicato problema di salute in famiglia.





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