Ricette

Grano tenero in crisi: l’import supererà il 65% del fabbisogno


Meno grano e meno buono. Le piogge incessanti a Nord Ovest a ridosso della trebbiatura hanno falciato non solo le rese ma anche la qualità del raccolto 2024 di grano tenero. Così, dopo il crollo della produzione di grano duro compromessa dalla siccità al Sud e giunta quest'anno ai minimi storici, anche le stime sul raccolto di frumento tenero, inizialmente previste in linea con quello dello scorso anno a parità di investimenti, virano in negativo .

Secondo Italmopa, l'associazione che rappresenta l'industria molitoria nazionale, la produzione effettiva di frumento tenero è calata dell'8% a 2,85 milioni di tonnellate, soprattutto a causa della riduzione delle rese. L'importazione, strutturalmente intorno al 65% del fabbisogno, arriverà dunque a superare i due terzi dei consumi, con un aumento della quota di produzione italiana declassata a uso mangimistico.

Il nuovo raccolto, conferma il presidente di Italmopa, Andrea Valente, «presenta sotto il profilo qualitativo alcuni problemi rispetto alle esigenze dell'industria molitoria, dovuti soprattutto al clima sfavorevole a ridosso della raccolta. La produzione nazionale dovrebbe nuovamente scendere sotto tre milioni di tonnellate rispetto a un fabbisogno interno, considerando tutte le destinazioni d'uso, di oltre 8 milioni di tonnellate, di cui 6,5 destinate ai molini. Inoltre – aggiunge – una parte significativa del raccolto, per via delle sue caratteristiche qualitative e, talvolta, sanitarie, non potrà purtroppo essere trasformata dall'industria molitoria ma dovrà essere necessariamente declassata e destinata ad uso zootecnico o ad altri usi».

Il bilancio è stato particolarmente pesante, sottolinea Valente, nelle regioni del Nord Ovest, Piemonte e Lombardia, «a causa delle continue piogge nei mesi precedenti il ​​raccolto. Solo alcune aree produttive dell'Emilia Romagna e del Centro hanno fatto registrare risultati apprezzabili in un contesto nazionale, comunque, fortemente negativo e preoccupante».

Le importazioni, che già storicamente costituiscono il 65% del fabbisogno nazionale e che provengono in genere essenzialmente da paesi comunitari, sono dunque inevitabilmente destinate ad aumentare ancora. Anche la geografia dell'import è destinata a cambiare «con la produzione francese scesa da 35 a 25 milioni di tonnellate e con una qualità panificabile inferiore al solito – spiega Valente – ci sarà un raddoppio dell'import dal Nord America, con i grani di forza da Canada e Stati Uniti necessari per compensare la scarsa qualità proteica della produzione europea», mentre l'Italia non importa grano russo, «anche per un problema di dazi Ue che non si applicano solo sui grani con oltre il 15% di proteine. Quello che ci preoccupa – conclude Valente – è la grande percentuale di grani foraggeri che determinano per l'industria rese produttive inferiori fino al 5%».



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