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Alessandro Greco: «La mia devozione alla Madonna di Medjugorie»



«Quando prego, ho sempre nella mente il ricordo del mio primo pellegrinaggio a Medjugorje. Salii sul Monte Podbrdo, dove c'è la statua della Madonnae mi inginocchiai aggrappandomi alla ringhiera che la attornia. Poi, alzai lo sguardo verso di Lei. Era un'immagine bellissima: in quel cielo terso il volto di Maria svettava più luminoso che mai». Sono trascorsi circa dieci anni dalla sua prima visita alla Madonna venerata in Bosnia-Erzegovina, eppure nella testa e nel cuore di Alessandro Greco, impegnato in questi giorni nella conduzione delle ultime puntate di Unomattina Estateil ricordo è più nitido che mai. Nel corso degli anni, è tornato diverse volte, l'ultima la scorsa Settimana Santa, assieme alla moglie Beatrice, con un gruppo di amici tra i quali Francesco Villa, del celebre duo comico Ale & Franz.

«Ogni volta il pellegrinaggio assume significati diversi, perché siamo noi diversi per primi rispetto al passato», spiega il conduttore: «Spesso si arriva con un “deserto” nell'animo, per poi venire via con una rigogliosità interiore che prima non c' epoca. Questo è l'effetto che Medjugorje ha avuto su di me, ma penso che valga per qualsiasi luogo mariano. Quando si nutre una devozione autentica nei confronti della Madre Celeste, accostandosi a Lei con una sincera apertura d'animo e disponibilità di cuore, attraverso la preghiera, possiamo ricevere dei “segni” della sua presenza, che si traducono poi in messaggi o risposte nel quotidiano. Ma non bisogna partire con questo intento: occorre partire anzitutto alla ricerca di noi stessi, per fare ancora più spazio a Dio nella nostra vita».

Nei suoi pellegrinaggi a Medjugorje, in questi anni, qual è la cosa che l'ha colpita di più?

«Senza dubbio le testimonianze. Ogni volta è una scoperta, perché s'incontrano persone nuove con una storia affascinante da raccontare. Ed è proprio questa la bellezza dei pellegrinaggi: capisci che la vita, pur nella usa complessità e, a volte, durezza, è un dono davvero straordinario».

Ci fa capire che l'ascolto è una parte fondamentale del pellegrinaggio.

«Esattamente. È bello ascoltare le storie degli altri, che spesso ti spingono poi a pregare chiedendo alla Vergine di intercedere per tutte le persone in difficoltà. Ma soprattutto, attraverso l'ascolto, possiamo riflettere sul fatto che ciò che sembra opprimerci nella quotidianità ea cui, magari, diamo eccessiva importanza, non è nulla rispetto alle prove che tanti fratelli e sorelle sono costretti ad affrontare ogni giorno».

Questa sua devozione alla Madre Celeste come la ispira nel quotidiano, anche sul lavoro?

«Proprio in quest'ultima edizione di Unomattina Estate abbiamo dedicato uno spazio alle presunte apparizioni di Medjugorje, che proseguono ormai da 43 anni. Alla riunione di redazione, nella scelta dell'assegnazione dei vari spazi della puntata e, neanche a farlo apposta, è toccato a me: una “Dioncidenza” la chiamo io. Chiaramente, in veste di conduttore, sono stato super partesaccantonando il mio legame personale con questo luogo, perché comunque si trattava di informare i telespettatori riguardo un tema su cui la Chiesa non ha ancora espresso una posizione definitiva. Il Signore dice che l'albero buono si vede dai frutti. Questo albero sono più di quarant'anni che continua a crescere ei frutti che dà mi sembrano buoni».

Da dove nasce questo suo attacco alla Vergine? È un'“eredità” familiare, oppure è frutto di un percorso di fede?

«Certamente la mia famiglia mi ha dato un imprinting, si andava a Messa insieme alla domenica e alle feste comandate. Poi, la vita mi ha portato a intraprendere questo cammino di fede in cui mi sono voluto mettere alla ricerca di Gesù come persona e non come “personaggio”. E in questo la Madonna è stata fondamentale. Io sono un tipo piuttosto “sanguigno”, a volte un po' rigido, e Lei è in grado di smussare questo mio lato caratteriale, sfruttandomi a praticare quella dolcezza e quella tenerezza di cui è Maestra. L'amore materno che riesce a infondere mi dà la sensazione di essere accovacciato sotto il suo manto e godere del suo abbraccio e della sua protezione. Una sensazione davvero bellissima».

C'è qualche particolarmente santo a cui è devoto?

«Il mio santo del cuore è padre Pio: ho avuto la fortuna di condurre per due volte Una voce per Padre Pio in prima serata su Rai 1. È sempre bello poter raccontare delle figure che sento vicine, è come se parlassi di un qualcosa che mi appartiene intimamente. Come ritrovarsi in famiglia e scambiare due chiacchiere coi parenti».

Immagino, dunque, che anche il legame col santuario di San Giovanni Rotondo sia molto forte…

«Assolutamente, ed è proprio quell'approccio familiare di cui sopra che mi aiuta a vivere appieno la spiritualità del luogo. L'unicità dei santuari mariani sta proprio in questo: riuscire a farti sentire a casa, come uno di famiglia. Quello di San Giovanni Rotondo è solo uno, ma poi c'è quello dell'Amore Misericordioso a Collevalenza, la “Lourdes italiana”, dove vado spesso».

Ci sono altri luoghi particolarmente mariani che sente vicini, o dove le piacerebbe andare?

«Un santuario speciale, peraltro vicino a dove vivo, è quello della Verna, dove san Francesco si ritirò nel 1224 in un momento di profonda crisi spirituale. San Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi, scrisse: “Quando sono debole, è allora che sono forte”. Lì c'è una bellissima cappella dedicata a Santa Maria degli Angeli, voluta proprio dallo stesso Poverello d'Assisi, e in tutto il tempio non mancano effigi che raccontano la vita di Maria: dall'Annunciazione alla sua Assunzione al Cielo. Un luogo dove mi piacerebbe andare, invece, è il santuario di Nostra Signora di Fatima. Un giorno vorrei andare anche in Terra Santa. Purtroppo la situazione al momento non lo consente, ma in questo ho grande fiducia nel Santo Padre».

A proposito, cosa non pensa di Francesco?

«Per me è un grande: quando lo guardo, vedo la nuova evangelizzazione, fatta di azioni concrete e non solo di parole. Ho avuto l'onore di incontrarlo nel dicembre del 2018, pochi giorni dopo la festa dell'Immacolata. Lo immaginavo molto più alto, ma forse la vera grandezza è quella interiore, la santità. Era la stessa cosa che si diceva di padre Pio, del resto: uomini piccoli di statura, ma con una gigantesca spiritualità. In Sala Nervi, quando passò davanti a me e mia moglie, non ho più sentito né visto nulla: il mio sguardo era fisso su di lui. E anche nei suoi occhi capii che non si trattava di un passaggio fugace, di quelli formali d'obbligo in queste circostanze. Si fermò a parlare con noi ed era presente non solo fisicamente, ma anche col cuore, quasi a dire: “Ho piacere a stare con te, voglio stare qui con te e dedicarti tutto il mio tempo perché sei importante”. La stessa cosa che Dio fa con noi».

Un'ultima domanda: qual è il ricordo più bello del suo ultimo viaggio a Medjugorje?

«Sicuramente la visita alla comunità “Gesù confido in Te”, un'associazione di Vigonza, in provincia di Padova, che ha una casa d'accoglienza lì. Sono stati loro a organizzare questo pellegrinaggio e, personalmente, è sempre un piacere poter dare una mano non soltanto a livello economico, ma anche concretamente come volontario. Ecco, penso che in questo piccolo esempio ci sia tutto il significato dei pellegrinaggi di cui parlo. Andare alla scoperta di noi stessi, senza “spettacolarizzare” la fede, come invece, purtroppo, accade sempre più spesso».





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