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“Gli smartphone non sono antitetici alla scrittura: penna e cellulare, tablet e libro possono convivere”. INTERVISTA al professore Simone Digennaro – Orizzonte Scuola Notizie


La ricerca dell’Università di Cassino contribuisce alla riflessione sull’uso dei social tra i ragazzi. Ne abbiamo parlato con il professor Simone Digennaro, Pedagogista ed Educatore Professionale presso l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

Professor Digennaro, voi avete effettuata una ricerca sulla diffusione dei social tra i ragazzi di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, quindi al di sotto dei 14 anni che è l’età minima per accedere alle piattaforme social. Cosa è emerso dalla vostra ricerca e quali sono i social più diffusi?

Noi abbiamo provato a conoscere meglio la cosiddetta generazione Alpha, la generazione delle ragazze e dei ragazzi che sono nati dopo il 2010 e che hanno delle prerogative molto particolari. In precedenza ci eravamo concentrati sulla generazione Z, ma ci siamo accorti che nel breve volgere di pochi anni le cose sono cambiate in maniera molto repentina. La generazione Alpha è la prima generazione ad essere nata in un mondo completamente digitale e appartengo a famiglie, pur con le dovute differenze a carattere sociale e culturale, che permettono una facilità di accesso alla tecnologia.

Per questo abbiamo provato a capire meglio le prerogative di questa generazione e in modo particolare il loro rapporto con i social media che sono una delle espressioni più potenti ed evidenti del mondo digitale. Sono emerse tante cose interessanti che provo a riassumere brevemente, innanzitutto, ma c’era da aspettarselo, è una generazione che ha una grande dimestichezza con l’accesso alla tecnologia. Fin dalla più tenera età, da quando hanno 9/10 anni, possiedono già uno smartphone e quindi hanno una certa indipendenza nell’accesso al mondo digitale, un mondo molto ricco di stimoli e anche di opportunità che loro cercano di cogliere in maniera diffusa e frequente.

Quello che abbiamo potuto notare è che da un certo punto di vista, soprattutto nella fase preadolescenziale, emerge un utilizzo passivo, nel senso che loro utilizzano questi strumenti per comunicare con i propri compagni e familiari, ma sostanzialmente, nella maggior parte del tempo, ne fanno un utilizzo passivo, tant’è vero che i social media più utilizzati sono TikTok e YouTube, che da un po’ di tempo ha lanciato degli short video che sono dei video molto brevi dove si possono vedere tutta una serie di contenuti, alcuni a carattere scherzoso mentre altri a carattere divulgativo, che sono fruiti da queste nuove generazioni.

Questo utilizzo passivo fa sì che loro ricevano passivamente tutta una serie di stimoli e di input, quindi la domanda che ci siamo posti è stata di capire qual è l’effetto di questo tipo di utilizzo, in modo particolare abbiamo concentrato l’attenzione su due aspetti: l’intelligenza emotiva e l’immagine corporea, o comunque le influenze socio-culturali che si generano da questo tipo di utilizzo.

Abbiamo voluto scegliere questi due aspetti perché sono due elementi fondamentali nel processo di crescita e di maturazione dei preadolescenti, l’intelligenza emotiva e l’immagine corporea sono centrali per il benessere e la salute dei preadolescenti e del loro processo di crescita e maturazione, ma poi abbiamo provato a cercare di capire se alcuni dei giudizi delle valutazioni che vengono fatte da pedagogisti ed esperti nel settore rispetto alle nuove generazioni siano vere oppure no.

Spesso sentiamo dire che le nuove generazioni non sono capaci di emozionarsi, di vivere le emozioni, di provare sentimenti e entrare in relazione con l’altro. Invece quello che abbiamo visto è che andando a misurare l’intelligenza emotiva delle nuove generazioni, nel collettivo che abbiamo analizzato di quasi 1000 preadolescenti, l’intelligenza emotiva è pari a quella delle generazioni precedenti, quindi loro hanno sviluppato questo tipo di intelligenza in maniera sana, corretta e appropriata.

Ci sono poi degli effetti negativi sull’intelligenza emotiva che sono legati ad un certo tipo e frequenza di utilizzo, che magari spiegherò meglio in un secondo momento, ma rispetto all’intelligenza emotiva, come collettivo in generale, loro sono in grado di emozionarsi, di comprendere le emozioni, di saper gestire le relazioni con gli altri. Evidentemente quello che stiamo percependo noi come vecchie generazioni non è una regressione ma un’evoluzione, cioè sta cambiando il modo in cui loro realizzano questo tipo di attività.

Rispetto all’immagine corporea abbiamo notato che in effetti i messaggi che vengono veicolati attraverso i social media possono impattare negativamente sul giudizio che loro hanno rispetto al livello di considerazione della bellezza della percezione che hanno di loro stessi, quindi da un certo punto di vista possono generare degli effetti negativi nella formazione della loro identità e nell’autostima che loro sviluppano rispetto al proprio aspetto fisico, elementi che andrebbero approfonditi più nel dettaglio.

Abbiamo appenda detto che la vostra ricerca si è focalizzata sulla fascia di preadolescenza, quella al di sotto dei 14 anni, per i quali anche le politiche dei vari social media vietano di avere un account personale. Meta ha addirittura annunciato che ci saranno ulteriori restrizioni creando in automatico degli “account teenager”. Siamo sulla strada giusta?

Riguardo alla strada che abbiamo preso credo che abbiamo un problema di quantità e qualità, mentre dobbiamo assolutamente risolvere il fraintendimento su utilizzo e non utilizzo. Cerco di spiegarmi meglio, sempre più ricerche ci dicono che se utilizzati in una certa maniera, con gli strumenti adatti, con i giusti approcci, con i giusti contenuti, le risorse del mondo digitale possono diventare un potente strumento per l’educazione delle nuove generazioni.

Questo ce lo dice la ricerca ma ce lo dice anche tutta una serie di sperimentazioni di tipo educativo e pedagogico che anche noi come università abbiamo sviluppato e che vanno esattamente verso questa direzione. Con questi strumenti posso sviluppare tutta una serie di processi educativi che possono sostenere la crescita e la maturazione delle nuove generazioni, ma dobbiamo concentrarci ovviamente sulla qualità, ovvero la tipologia dei contenuti, dei messaggi e degli stimoli che noi diamo attraverso questi strumenti.

Poi abbiamo l’altro tema che è quello della quantità, cioè dobbiamo cercare di capire entro quale livello di utilizzo abbiamo un effetto positivo e quando superato una certa soglia si determina un effetto negativo. Per ricollegarmi a quello che dicevo in precedenza rispetto alla nostra ricerca, noi abbiamo notato che oltre una certa soglia di utilizzo, che abbiamo quantificato intorno all’ora e mezza/due ore di social media, superata questa soglia subentra tutta una serie di effetti legati alla dipendenza e alle forme di disagio, con degli impatti negativi sul loro livello di benessere.

Come possiamo notare ancora una volta si parla di quantità, sotto quella soglia gli effetti non sono assolutamente negativi e possono essere anche positivi, superata una certa soglia, invece, noi abbiamo questi effetti negativi. Allora il quesito che ci dobbiamo porre non è sull’utilizzo o non utilizzo, ma su come utilizzare questi strumenti. Per quanto riguarda le scelte di queste grandi aziende da un certo punto di vista agevola questo ragionamento, sui motivi che hanno indotto le società ad adottare queste misure ci sono diverse opinioni, ma ciò che conta è provare a capire in che modo questi strumenti possono essere utilizzati in una maniera sana.

Molti genitori non capiscono perché ci sia una così forte resistenza sull’uso dei dispositivi digitali personali tra i ragazzi, tanto da portare il Ministro Valditara a vietarne espressamente l’uso fino alla scuola secondaria di primo grado. Ci aiuta a capire se è corretto vietare questi strumenti in preadolescenza?

Devo dire in tuta sincerità che non sono d’accordo con la scelta che è stata fatta da Ministro Valditara. L’abbiamo detto in precedenza, noi stiamo entrando in relazione con delle generazioni che sono nate digitali, che hanno una facilità di utilizzo e di accesso a questi strumenti, che probabilmente fin dalla nascita hanno interazioni con la tecnologia attraverso i vari dispositivi come il cellulare, il tablet o gli strumenti che quotidianamente utilizziamo, perfino la televisione, che sono collegati con il mondo digitale.

Probabilmente avrei fatto una scelta in direzione opposta, cioè sarei partito dal chiedermi dove i ragazzi possono imparare l’utilizzo corretto, adeguato, appropriato di questi strumenti, dove possono imparare a gestire i rischi e imparare ad utilizzare questi strumenti in proprio favore e non contro sé stessi. È la scuola il luogo dove questo può avvenire e quindi probabilmente io andrei proprio in una direzione opposta, la scuola non dovrebbe chiudere ma aprire e accettare questa sfida.

Immagino una situazione che non è assolutamente contraddittoria, ad esempio potremmo avere sul banco di un nostro alunno il cellulare e attraverso questo strumento fare tutta una serie di ricerche e di attività, al contempo sullo stesso banco abbiamo la penna, il quaderno e il libro, in modo da poter utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, io non vedo una contraddizione. Noi abbiamo posto il cellulare e il tablet come antitetici alla scrittura, invece noi dobbiamo entrare in una logica che è generativa, cioè che questi sono strumenti che possono aumentare le possibilità e aumentare le opportunità di tipo educativo, quindi penna e cellulare possono tranquillamente convivere, il quaderno può tranquillamente convivere con il tablet così come fa il libro.

Ritengo che vietarne l’uso sia stata una scelta sbagliata perché preclude uno spazio dove si possono sperimentare queste cose al di fuori del contesto familiare e quindi da un certo punto di vista abbiamo lasciato e stiamo lasciando le nuove generazioni con degli strumenti senza le giuste indicazioni di tipo educativo su come poterli utilizzare, è una scelta che probabilmente potremmo pagare in maniera piuttosto cara.

Un’ultima domanda, è stata lanciata una petizione, da molti esperti in ambito educativo e i cui primi firmatari sono Daniele Novara e Alberto Pellai, per vietare il possesso di uno smartphone personale al di sotto dei 14 anni e account sui social al di sotto dei 16 anni. In base anche alla vostra ricerca, cosa pensa di questa proposta?

Devo dire che questa proposta ha tutto il romanticismo e il fascino delle cause perse, se posso metterla in questi termini. Innanzitutto c’è di buono che con questa petizione rimane alta l’attenzione su questo tema importante e aiuta il dibattito e il confronto, che in ambito educativo e sociale è fondamentale. Sicuramente va dato merito a questo processo che è stato avviato da diversi colleghi ed esperti del settore perché pone ancora una volta al centro del dibattito questa questione, però mi dà la sensazione che sia una causa persa per due motivi, il primo è che questa petizione sembra fatta da una generazione vecchia che ha fatto un ragionamento piuttosto limitato basato sul fatto che togliendo lo smartphone si preclude l’accesso a tutta una serie di contenuti.

Questo è un ragionamento di una generazione vecchia, le nuove generazioni sanno che qualsiasi device può avere accesso alle stesse App e contenuti con cui i ragazzi accedono attraverso il cellulare, quindi se non è il cellulare possono utilizzare il tablet, la consolle di gioco o la Smart TV, questo per dire che è un ragionamento che porta a chiudere una porta quando gli altri portoni sono completamente spalancati. Ma mi dà ulteriormente la sensazione di essere una causa persa perché, come abbiamo detto in precedenza, noi non ci dobbiamo concentrare su utilizzo o non utilizzo, ormai l’utilizzo da un certo punto di vista è assodato, ci sono tutta una serie di strumenti che fanno parte del loro quotidiano, ormai attraverso i social media possono entrare in relazione, comunicare, chiedere i compiti, avere delle interazioni addirittura con i docenti, diciamo che sono strumenti che assolutamente devono essere nella loro disponibilità, invece dobbiamo domandarci come utilizzarli, attraverso quali processi educativi possiamo fare in modo che questi strumenti diventino un sostegno per la loro crescita e maturazione e non un impedimento.

Attraverso questa ricerca noi abbiamo provato a mettere a fuoco quali sono i potenziali problemi, però, e voglio superare questo fraintendimento, nel momento in cui individuiamo il problema dobbiamo cercare di capire in che modo quel problema possa essere risolto dentro le opportunità che ci vengono offerte dalla tecnologia del mondo digitale, non dobbiamo poi avviare una caccia alle streghe che rischia di essere controproducente.

Questo è l’auspicio che da un certo punto di vista dobbiamo darci e cercare di perseguire, cioè capire in che modo questa tecnologia e le opportunità che ci dà il mondo digitale possono diventare un alleato nei processi di tipo educativo e come poterli integrare in favore dello sviluppo delle nuove generazioni, soprattutto dobbiamo cercare di evitare, anche attraverso questi processi, di crea dei conflitti di tipo generazionale. Lo dicevo in precedenza, spesso sento dire, anche da esperti e da pedagogisti, tutta una serie di affermazioni riguardo all’incapacità che hanno le nuove generazioni, al fatto che sono una generazione perduta, che sembra che stiano costruendo un mondo che rischia di collassare, ecco, probabilmente questo è un atteggiamento di una vecchia generazione che non riesce a comprendere che tipo di mondo sta costruendo la nuova generazione, ed è controproducente.

C’è del buono della vecchia generazione che dobbiamo cercare di portare e traslare nella nuova generazione, ma allo stesso tempo dobbiamo, come vecchia generazione, accettare il fatto che il mondo che si sta costruendo è un mondo diverso da quello che noi abbiamo proposto, ma che è un mondo diverso anche da quello che abbiamo ereditato dai nostri genitori, è un processo evolutivo che non può essere fermato. L’auspicio è che dobbiamo costruire delle nuove alleanze educative in cui vecchie e nuove generazioni costruiscono un futuro migliore utilizzando le opportunità che ci vengono offerte dallo sviluppo tecnologico.

Una battuta finale, la vostra ricerca è inserita anche all’interno di un libro, ci dà qualche spunto a favore di chi volesse approfondire questo argomento?

Assolutamente, è un libro edito dalla Erickson che si intitola “Io-Corpo perché occorre ripensare il pensiero pedagogico e il modo in cui educhiamo”. In questo testo abbiamo cercato di partire dai dati delle ricerche che si sono svolte qui da noi, ma anche di quelle fatte da altri colleghi da altri istituti universitari, per cercare poi di fare delle proposte concrete di tipo educativo, quindi metterci al servizio della scuola, degli educatori e degli insegnanti affinché queste sfide possano essere vinte e superate.



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