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Mont’e Prama, svelata la vera storia dei giganti di pietra


di Roberto Di Diodato e Mary Poliafico

Incontriamo il contadino Battista Meli nella sua casa di Cabras, capoluogo della penisola del Sinis, Sardegna sud occidentale, terra di bottarga e vernaccia, di muggini e fenicotteri. L’abitazione comprende quattro ampie stanze su un unico piano, linde e ordinate, dove vive da solo. Sua moglie è mancata vent’anni fa.​Vive ritirato in casa, frequentata da molti e fidati amici. Il suo racconto è appassionato e limpido, come la giornata di oggi, dalla quale un benevolo vento di maestralino ha spazzato via la più piccola e stordita nuvoletta. Quest’uomo dallo sguardo mite, seduto di fronte a noi, microfono acceso per registrare la sua voce, è l’unico e vero scopritore dei tesori di Mont’e Prama, checché se ne sia detto e scritto, e se ne continui ancora a scrivere, come ha fatto recentemente la pubblicazione on-line Tiscali Cultura.

Questa località è diventata uno dei siti archeologici più importanti e studiati in tutta l’area del Mediterraneo e ha fatto riscrivere la storia della cultura della Sardegna. Oggi il mondo conosce i misteriosi “Giganti di Pietra”, uno dei quali, il cosiddetto Pugilatore, lo scorso anno è stato per alcuni mesi esposto al Metropolitan Museum of Art di New York.Ciò che racconta Battista è incontrovertibilmente vero. Non ci sono testimoni che lo possano smentire.

 “Ero da solo sulla collina chiamata Mont’e Prama quel giorno di novembre del 1973 ad arare il mio terreno; mio per modo di dire, perché era di proprietà della Curia Arcivescovile di Oristano, che me lo aveva concesso in affitto”.

 Un appezzamento di 16 ettari, suddivisi in un certo numero di particelle, che egli lavora insieme al suo socio e amico Peppino Piras. Nonostante i 50 anni trascorsi dal ritrovamento, ogni tanto il tono della sua voce s‘incrina per un sussulto di emozione.

Nei giorni precedenti, precisa Battista, c’erano state abbondanti piogge, che avevano causato dei profondi solchi nel terreno mettendo a vista alcune pietre e dei grossi frammenti di lastre. In quella parte del podere era del tutto consueto trovare dei pezzi di calcare e degli ammassi pietrosi che lasciavano vedere dei disegni eseguiti dalla mano dell’uomo. Prima della semina però venivano raccolti e portati via. Battista non ci fa caso più di tanto e continua il lavoro. Dopo un paio d’ore, dall’alto della collina vede correre verso di lui una persona che grida: “Cosa mi ha fatto, cosa mi ha fatto!”. Sorpreso, il contadino si ferma. L’uomo, piuttosto agitato, una specie di capellone come ce n’erano tanti in quegli anni, lo raggiunge e lo rimprovera perché, a suo dire, gli aveva cancellato e distrutto dei punti di riferimento. Battista è ancora più stupito. Quando però il tizio gli mette sotto il naso il tesserino della Soprintendenza, comprende che è un ricercatore che stava lì, sul suo terreno, facendo rilievi archeologici con una più che evidente passione. E’ l’occasione per prendersi una pausa e fare quattro chiacchiere con lo studioso di antichità, che alla fine gli assicura che può riprendere a lavorare il campo senza problemi. Confessa Battista:

“Solo molto più tardi sono venuto a sapere che quel giovane era Alessandro Bedini, noto archeologo che appena qualche anno dopo sarebbe stato incaricato di condurre lo scavo di Mont’e Prama”.

Passa un anno, senza che accada nulla di nuovo. Ma il destino è in agguato. Battista prosegue il suo racconto:

“Una mattina di novembre del 1974 sono di nuovo da solo su Mont’e Prama, il Monte della Palma, alla guida del mezzo agricolo, sto arando per preparare il mio pezzo di terra alla prossima semina di barbabietole da zucchero. Non avevo mai più pensato allo strano incontro con quel tale che scendeva vociando dalla collina. La giornata si prospetta bella e tranquilla. Ma all’improvviso sento che il trattore subisce un forte e insolito sobbalzo. Incuriosito ma anche piuttosto contrariato, scendo dal mezzo e scopro che un grosso masso è la causa dell’inconveniente, un pezzo di pietra calcarea molto ingombrante. In dieci anni che coltivo quella campagna non mi è mai capitato di trovarne uno così. Allora decido di togliergli dattorno la terra in cui è mezzo nascosto. Un po’ per volta, mano a mano che vado avanti, si rivela essere un prototipo di uomo di pietra senza mani, senza gambe, senza testa”.

Proprio così si esprime, letteralmente, Battista per narrare l’incredibile scoperta e per descrivere il reperto archeologico più straordinario mai rinvenuto in tutta la parte occidentale del Mediterraneo, sicuramente il più misterioso e affascinante mai trovato in Sardegna. Data l’insolita mole, intuisce che il moncone di statua potrebbe avere un valore e quindi suscitare un certo interesse.

 “Come fa il mercante di perle, protagonista della parabola evangelica, ricopro il busto con uno strato di terra. E lì mi fermo”.

Passano alcuni giorni. Ma quando Battista torna nel campo non può fare a meno di accorgersi subito che la statua è sparita. Non c’è più.

“E’ successo che qualcuno, passando nei pressi del mio campo arato, nota quel prototipo. Poiché ha qualche infarinatura di cose archeologiche, decide di impossessarsene. Chiede aiuto a un suo mezzadro e insieme trafugano il reperto. Il paese è piccolo, la gente chiacchiera… Bastano pochi giorni a me e al mio socio Peppino per scoprire gli autori del fattaccio”.

Inoltre, si viene a sapere che i due “compari” l’hanno consegnato a un terzo uomo, il quale comprende subito la straordinarietà e l’unicità del reperto e sa quali passi fare in questi casi. Si rivolge alla Guardia di Finanza. Scattano i primi provvedimenti.Il terreno viene messo sotto sequestro e interviene la Soprintendenza.

L’anno dopo, 1975, per la prima volta, con la forza dirompente di una deflagrazione, scoppia la bomba che rivela al mondo intero il nome di Mont’e Prama e dei suoi misteriosi “abitanti”, che diventano protagonisti di un fenomeno internazionale grazie ai numerosi articoli che compaiono sulle pagine della stampa nazionale ed estera. Inizia subito una campagna di scavi che si protrae, con alcune interruzioni, fino al 1979.

Battista ricorda bene:

“Nel primo periodo i due autori del furto si tengono lontani dal terreno dei lavori, assumono un profilo basso, forse pentiti dell’irrispettosa azione compiuta o piuttosto perché la locale Società agricola deplora l’incauto gesto che ha causato il sequestro del terreno, un bene irrinunciabile per ogni agricoltore”.

Invece Battista è curioso e va spesso ad osservare ciò che gli archeologi stanno facendo, affascinato da tutto quello che estraggono giorno dopo giorno dal terreno da lui arato e coltivato per dieci anni, senza che si accorgesse mai di nulla. Facciamo dire a Battista le sue sensazioni:

“E’ come se il busto di statua si fosse stancato di sentir passare aratri e zappe sopra i suoi fianchi e avesse deciso di saltar fuori… Vorrei dire che non sono stato io a scoprire il gigante ma che lui ha trovato me… E’ stato proprio un caso fortuito, anche se qualcuno pensa, senza però nessun fondamento, che sia un gesto di ‘balentìa’ averlo ritrovato”.

Intanto cominciano a correre molte voci incontrollate che non sembrano avere più fondamento delle chiacchiere da bar – non si sa messe in giro da chi – secondo cui il moncone di statua possa avere il valore di 700 milioni di lire. Battista e il suo socio contadino Peppino vengono inoltre a sapere attraverso il prof. Ferruccio Barreca, archeologo nato a Roma ma sardo d’adozione, che allo scopritore di reperti antichi spetta per legge una percentuale del 10% circa del valore che viene attribuito all’oggetto trovato. E’ chiaro che la notizia invoglia i due a sperare in un qualche ritorno economico dal ritrovamento, anche se un certo scetticismo, tipico dei contadini, vieta loro di coltivare troppi sogni. Decidono allora di contattare un noto avvocato di Oristano. Il suo consiglio è di rivolgersi direttamente ai vertici della Soprintendenza con una lettera raccomandata in cui chiarire per filo e per segno come erano davvero andate le cose. Loro non si sarebbero dovuti preoccupare di nulla, li rassicura l’avvocato, perché egli stesso avrebbe pensato a redigerla e ad inviarla alla giusta destinazione. Con una certa dose di ingenuità i due contadini si fidano ciecamente di quanto afferma il leguleio. E allora succede che:

“Nessuna risposta, né allora né mai, è giunta a noi mittenti della raccomandata. Due sono le possibilità: o che quell’azzeccagarbugli non ha mai spedito la lettera oppure che la Soprintendenza ha snobbato la nostra missiva… Grave la nostra noncuranza dimostrata in questa circostanza. E dire che il consulto ci era costato 10mila lire, una somma considerevole per l’epoca”.

Sedotti e bidonati, verrebbe da dire.

Ad un certo punto Battista, all’intero di tutto il clamore mediatico che quotidianamente si rinnova e cresce attorno alla scoperta, rimane sotto un cono d’ombra, forse un po’ volutamente, a causa dell’innato riserbo e riservatezza che contraddistinguono la sua figura. Ma anche perché uno dei contadini, che avevano preso parte alla sottrazione del reperto, non si lascia sfuggire nel frattempo l’occasione per scendere in campo. Dopo il suo inziale e apparente disinteresse per quanto avviene a Monte’e Prama, egli, stimolato comunque dalla possibilità di ricavare un guadagno dal reperto trovato su quel terreno, inizia a inventare e a diffondere una narrazione nella quale lui si attribuisce il ruolo e il merito di scopritore unico, novello Schliemann, della rarità archeologica di Mont’e Prama. Ne parla apertamente in ogni occasione che si presenti, anche davanti ai giornalisti. Personaggio invadente e presenzialista, riesce, sgomitando, a farsi spazio e a costruirsi una certa credibilità negli ambienti che gravitano attorno al settore dell’archeologia sarda.

La parola torna a Battista:

“Conscio però della sua scarsa preparazione in questo ambito, il contadino comincia con assiduità, da bravo scolaretto, a frequentare i cantieri, le riunioni e le assemblee che hanno per oggetto Mont’e Prama. E’ anche vero che io, più di un a volta e con un evidente fastidito e disagio, cerco di dissuaderlo dal diffondere false verità e tristi bugie. Ma senza ottenere nessun risultato.  E’ stato come se, a forza di ripetere la falsità, egli stesso si fosse convinto che ciò che diceva era vero”.

Dopo il terreno, Battista corre serio pericolo di esproprio anche della titolarità e della gloria del ritrovamento. Egli commenta con una punta di amara ironia:

“E pensare che ho continuato a pagare l’affitto alla Curia di Oristano anche dopo che il terreno mi era stato sequestrato”.

Riflette realisticamente Battista:

“Intanto anche per Mont’e Prama si profila lo stesso destino che è capitato a molti siti archeologici, il momento cioè in cui finiscono i finanziamenti. Gli scavi vengono sospesi. Senza soldi non si smuove più nemmeno un centimetro di terra. Allora la meravigliosa Collina delle Palme un po’ per volta scompare. Si trasforma in una foresta di erbacce alte qualche metro e diventa terreno di caccia per scaltri tombaroli”.

Battista parla con tono accorato perché sente che la sua “creatura” giace colpevolmente abbandonata e negletta, buttata lì come una cosa senza valore. Un’incuria sconfortante durata 35 anni. Possiamo immaginare che lui abbia la sensazione che un ineluttabile e crudele fato si accanisca a nascondere la verità e che lo voglia spingere ad abbandonare ogni rivendicazione di “paternità” su Mont’e Prama.

Lo stato di precarietà dura fino al 2014, quando, in concomitanza con l’arrivo nel Museo Civico di Cabras di sei “Giganti di Pietra” provenienti dal centro di restauro e conservazione de Li Punti a Sassari, vengono stanziati altri fondi, riprendono gli scavi nel sito e si riaccendono, con grande intensità, le luci su Mont’e Prama. Per accogliere degnamente le sei statue, patrimonio più prezioso e atteso, viene aperta una Sala nello stesso Museo dedicata esclusivamente al complesso statuario dei “Giganti di Pietra”. E’ il mese di marzo 2014. Ora finalmente ci sono le condizioni perché il Museo cittadino, benché non accolga tutte le statue di Mont’e Prama, diventi un polo di attrazione per un numero considerevole di studiosi, esperti, turisti e curiosi. La stampa nazionale e internazionale, specializzata e non, decreta a questi “Guerrieri di calcare” lo status di “stelle di prima grandezza” nel cielo dell’archeologia mediterranea.

Ricorda Battista:

“Tra i visitatori non mancano politici e personaggi famosi, tutti accolti con particolare cordialità, all’insegna dell’ospitalità sarda; sono avvenimenti cultural-mondani che la città di Cabras non può lasciarsi sfuggire. Per chi ha portato via la statua si tratta di un affare da leccarsi i baffi… eventi che gli fanno salire l’adrenalina a mille”.

Allora il contadino torna a pavoneggiarsi per rilanciare la sua candidatura di vero scopritore della preziosa statua, che ha dato il via ad una tra le avventure archeologiche più rilevanti del secolo. Battista questa volta lo anticipa e gli lancia una minaccia:

“Io non andrò all’inaugurazione che si farà al Museo; ma se tu ci parteciperai e dirai cose non vere, ti giuro che l’indomani convocherò io una conferenza stampa con giornalisti seri e farò sapere al mondo intero che tu sei un bugiardo patentato”.

Sorpresa. L’intimidazione sortisce il suo effetto. Sisinnio non presenzia alla kermesse. Ma quando l’allora Ministro della Cultura Dario Franceschini fa visita al Museo, egli interviene ed ottiene un incontro col politico, al quale chiede che gli venga riconosciuto il compenso spettante allo scopritore di Mont’e Prama. La richiesta viene ignorata.

L’uomo è solito girare per il paese vestito con una tuta di lavoro, come fosse un operaio addetto agli scavi, nell’intento di darsi un ruolo più appropriato e congeniale. Tenta un approccio anche con Vittorio Sgarbi in occasione di una sua apparizione al Museo, ma il famoso critico d’arte non gli presta ascolto. Sembra che vada meglio il tentativo che fa con il noto giornalista Paolo Brosio; ma ottiene soltanto una promessa che non avrà nessun esito.

A questo proposito, Battista racconta con molta naturalezza:

“Inaspettatamente un giorno Sisinnio mi viene a trovare a casa. Sediamo tutti e due davanti al camino. Sembra che la visita sia un gesto di pacificazione, forse un riavvicinamento. Ma il suo intento è quello di spiegarmi che sono stati i giornalisti a travisare le sue dichiarazioni e a creare grossi malintesi; e che non è colpa sua. Per un po’ lo ascolto. Poi a un certo punto gli dico che se un giorno fossi venuto a sapere che aveva ricevuto una sola lira per la falsa attribuzione, lo avrei denuncio ai carabinieri per appropriazione indebita”.

In verità quelle sono solo parole. Battista non avrebbe mai fatto un passo del genere. Una lunga amicizia, che lui però definisce “spicciola”, lo lega a quel contadino millantatore. E’ una frequentazione che dura da 60 anni, fatta di cose realizzate insieme, di lavori, di scontri e incontri, di cene in compagnia e di uscite insieme con le fidanzate. Una relazione compromessa dalla smania di protagonismo “dell’amico” e dalla sua testardaggine nell’attribuirsi, immeritatamente, la scoperta. Battista, che evita come fosse una peste ogni forma di pubblicità, confessa con sorprendente sincerità:

“Devo però riconoscergli il merito di aver contribuito, raccontando cose vere e cose false, a mantenere accese le luci dell’attenzione pubblica sulla vicenda di Mont’e Prama”.

Se il contadino non ottiene un guadagno in denaro, consegue invece un notevole riconoscimento pubblico, tanto che qualcuno suggerisce all’allora Amministrazione di Cabras di intitolare una via o una piazza o una statua o un murale all’onorato concittadino. Per fortuna, non viene fatto “santo subito”. Ottiene però una targa al merito affissa all’ingresso del Museo cittadino, ma soprattutto che uno dei “Giganti di Pietra” esposti venga chiamato col suo nome.

Anche Battista viene insignito di una targa, un riconoscimento comunque limitante e limitato, che lui non va nemmeno a ritirare. Per diversi anni il cimelio rimane dimenticato in qualche angolo del Museo. L’attuale sindaco di Cabras, che ha potuto conoscere la vera storia, ha fatto giungere nelle mani di Battista l’onorificenza di bronzo, che gli era stata dedicata. Lui oggi la tiene quasi nascosta in casa e ce la mostra malvolentieri. Cinque righe per un testo scarno e scarso per commemorare un evento memorabile, di cui il signor Meli è stato protagonista unico.

L’Amministrazione Comunale ringrazia

Il Signor Battista Meli

per il contributo reso alla conoscenza della

storia, nella scoperta di un patrimonio culturale

di valore inestimabile.

 

Cabras, 22 marzo 2014

L’Assessore alla Cultura Fenisia

Il Sindaco Cristiano Carrus

 

Eppure, nonostante questa ultima “verità dimezzata” incisa sulla targa a perpetua memoria, Battista nutre sentimenti di grande umanità per chi gli ha sempre conteso il suo merito, una delicatezza che non è venuta meno neanche con la morte:

 

“Ogni volta che vado per una visita al cimitero, non dimentico mai di fare un gesto di saluto sulla sua tomba e di rivolgergli due parole”.

        Questo è Battista. Un uomo contento e appagato di quello che è e di quello che ha fatto

 

foto di Nicola Castangia, courtesy of Mont’ePrama.it

 

 

      





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