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Basi e siti nucleari di Teheran: l'attacco diretto resta difficile senza l'appoggio militare Usa




«Non c'è posto in Medio Oriente che Israele non possa raggiungere». Le dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu accompagnate da quelle su un «Iran finalmente libero molto prima di quanto la gente pensa» – fanno tremare Medioriente e cancellerie occidentali. Anche perché l'eliminazione di Nasrallah, la decimazione dei suoi luoghitenenti ei colpi messi a segno con il sabotaggio di cercapersone e ricetrasmettitenti fanno capire quanto l'intelligence israeliana abbia penetrato le strutture nemiche. A incominciare da quelle di un Iran capofila dell'asse che tiene insieme Hamas, Hezbollah e le milizie sciite attive in Yemen, Iraq e Siria.

Il grande mistero è come Netanyahu pensa di abbattere il regime di un Paese distante 900 chilometri nel punto più vicino, ma con basi militari e siti nucleari situati a oltre 2mila chilometri. Per non parlare della necessità di sorvolare – in caso di attacco aereo – Paesi apertamente ostili come la Siria o l'Iraq o poco entusiasti – nel caso di Turchia, Arabia Saudita e Giordania – di rendere esplicita la collaborazione con lo Stato Ebraico. Ma il problema non è solo politico. Portare sull'obbiettivo la squadriglia di F15 Ra'am o F35 Adir incaricata sganciare le bombe richiede il dispiegamento, a migliaia di chilometri di distanza, di decine di altri aerei pronti a garantire i rifornimenti in volo, le contromisure elettroniche, la difesa da attacchi nemici e il salvataggio di eventuali equipaggi abbattuti. Immaginare una vera e propria guerra aerea con bombardamenti quotidiani del territorio iraniano appare, insomma, aldilà delle pur considerevoli capacità israeliane. E questo anche aggiungendovi le offerte alternative dall'impiego dei missili balistici Jericho 2 o dei «Popeye» lanciabili dai cinque sottomarini Dolphin in possesso d'Israele. I Jericho 2 dotati di testate da 750 chilogrammi possono colpire fino a 2.500 chilometri di distanza. I Popeye, nonostante una gittata più limitata, possono sfruttare la capacità di avvicinarsi alle coste iraniane sul Golfo Persico. Ma anche aggiungendo a tutto ciò l'ipotesi di attacchi con sciami di droni decollati dalle basi dell'Azerbajan (messe, si dice, a disposizione di Israele) una veloce capitolazione della Repubblica Islamica sembra improbabile.

I piani di guerra di Netanyahu non possono far a meno di una macchina da guerra statunitense capace di dispiegare portaerei nel Golfo Persico e far decollare i propri bombardieri dalle basi del Qatar. Ma per ottenere l'appoggio americano Netanyahu deve scommettere, viste le posizioni di Kamala Harris, su una vittoria di Donald Trump alle prossime presidenziali. Ma quell'appoggio non arriverà prima dell'insediamento alla Casa Bianca della seconda metà di gennaio.

Dunque da cosa derivano le previsioni di Netanyahu? Forse né dalla forza militare israeliana né da quella americana, ma dalle certezze di Mossad capace ormai di penetrare in profondità le strutture politiche e militari iraniane. Strutture attraversate, sembra di capire, da profonde falle e contrapposizioni dietro le quali si muoverebbero quinte colonne pronte a favorire un ribaltamento del regime.



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