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Mo Dotti – Opaque


Ed eccolo qui il lungamente atteso esordio dei Mo Dotti, la band di Los Angeles capitanata da Gina Negrini. Li abbiamo seguiti, li abbiamo apprezzati ed eravamo sicuri che avrebbero fatto il fondo. Beh, non ci sbagliavamo. Disco, questo “Opaque” che dimostra l'assoluta vitalità e lo stato di grazia dello shoegaze, che non disegna quelle basi che negli anni '90 si posero a pilastri del genere, ma che, nel frattempo si apre a svariate influenze, riempiendo maggiormente di colori una tavolozza che già si mostra ricca e invitante.

Credito: Bandcamp

Gina e la sua truppa hanno appreso la lezione di Kevin Shields tanto quanto di Marco Gardner (che, tra l'altro, ha messo mano al disco in fase di produzione) e non è certo un peccato dirlo, anzi, ma poi ecco comparire tante altre sfumature che rendono i brani accattivanti, cangianti e ricchi di vitalità? Il lavoro sulle chitarre in questo album è favoloso: hanno un suono purissimo, capace di frastornare e ammaliare nello stesso tempo, saturando alla perfezione l'aria ma senza perdere in definizione e intensità melodica.

I riverberi e le chitarre rumorose la fanno da padrone e la voce di Gina sorvola delicatamente le melodie, sapendo emergere in modo perfetto tanto nel fragore (“Whirling Sad”) quanto in una ritmica che sembra quasi consegnarci una versione shoegaze dei Ciarlatani orchestrata dai MBV (“Ragazzo fortunato”). Se in “Really Wish” vi sembra quasi di sentire gli Smiths non stupitevi, la sagacia dei Mo Dotti tocca veramente un apice qui, con un brano che cita (musicalmente) la band di Morrissey/Marr ma anche gli Stereolab.

Figurarsi se tutto questo ben di Dio musicale non poteva non colpirci. Lo shoegaze di questi ultimi anni ha dimostrato di saper entrare in contatto con mondi musicali nuovi, assorbendo come una spugna tante influenze che poi le formazioni più illuminate (come i Mo Dotti) sanno rielaborare alla perfezione, consegnandoci un prodotto nuovo ma che cita, come dicevo sopra, nella giusta misura i classici, diventando nello stesso tempo continuatore della tradizione e anche nuova strada da percorrere.

Arrivati ​​al termine di “dead to me” non stupitevi se sentirete fortissimo l'impulso di ripartire dalla traccia numero uno: sarà cosa buona e giusta!



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