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«Chiediamo insieme il dono della pace»



Ascolto, custodia reciproca e umiltà. Sono le parole chiave che il Papa chiede di tenere in considerazione durante i lavori del Sinodo. E poi chiama i partecipanti e tutti quelli che potranno ad accompagnarlo, domenica prossima, nella basilica di Santa Maria maggiore per chiedere a Maria di intercedere per il dono della pace. Francesco unisce l'impegno della Chiesa nel camminare insieme a quello concreto di illuminare i cuori del mondo. Non citare l'attacco dello scorso sette ottobre ai danni di cittadini israeliani, ma invita «tutti di vivere una giornata di preghiera e di digiuno per la pace nel mondo». Nell'amessa di apertura dell'Assemblea sinodale il Pontefice sprona chiaramente: «Camminiamo insieme, mettiamoci in ascolto del Signore e lasciamoci condurre dalla brezza dello Spirito». Nella giornata in cui si celebrano gli angeli custodi parte proprio da questa immagine per dire che Dio ci invita ad ascoltarne la voce come fece con il popolo di Israele durante l'Esodo. «È un'immagine che ci tocca da vicino», spiega, «perché anche il Sinodo è un cammino, in cui il Signore mette nelle nostre mani la storia, i sogni e le speranze di un grande Popolo: di sorelle e fratelli sparsi in ogni parte del mondo, animati dalla nostra stessa fede, mossi dallo stesso desiderio di santità, affinché con loro e per loro cerchiamo di comprendere quale via percorrere per giungere là dove Lui ci vuole portare. Ma come possiamo, noi, metterci in ascolto della “voce dell'angelo”?». Una via è quella di avere rispetto e attenzione per i contributi che sono stati raccolti nei tre anni preparatori all'assise. «Si tratta, con l'aiuto dello Spirito Santo, di ascoltare e comprendere le voci, cioè le idee, le attese, le proposte, per discernere insieme la voce di Dio che parla alla Chiesa. Come abbiamo più volte ricordato, la nostra non è un'assemblea parlamentare, ma un luogo di ascolto nella comunione». E, dunque, non si tratta di battersi a colpi di maggioranza e minoranza, ma di capire cosa Dio ci sta dicendo, docili allo Spirito che sa fare armonia dalle nostre diversità.

«Non è in grado di sentire la voce del Signore chi con arroganza presume e pretende di averne l'esclusiva», mette in guardia Francesco. «Ogni parola invece va accolta con gratitudine e semplicità, per farsi eco di ciò che Dio ha donato a beneficio dei fratelli. Nel concreto, badiamo a non trasformare i nostri contributi in puntigli da difendere o agende da imporre, ma offriamoli come doni da condividere, pronti anche a sacrificare ciò che è particolare, se ciò può servire a far nascere insieme qualcosa di nuovo secondo il progetto di Dio. Altrimenti finiremo per chiuderci in dialoghi tra sordi, dove ciascuno cerca di “tirare acqua al proprio mulino” senza ascoltare gli altri, e soprattutto senza ascoltare la voce del Signore». Le soluzioni non le abbino noi, ma Lui «e ricordiamoci», dice il Papa, «che nel deserto non si scherza: se non si presta attenzione alla guida, presumendo di bastare a sé stessi, si può morire di fame e di sete, trascinando con sé anche gli altri. Mettiamoci dunque in ascolto della voce di Dio e del suo angelo, se davvero vogliamo procedere sicuri nel nostro cammino al di là dei limiti e delle difficoltà».

Ma 'angelo, oltre che rimandare alla voce, rimanda anche al rifugio, all'immagine delle ali che portano in alto, ma che si chiudono anche a protezione dei piccoli. «Questo è un simbolo di ciò che Dio fa per noi, ma è anche un modello da seguire, in particolare in questo momento assembleare. Tra noi, cari fratelli e sorelle, ci sono molte persone forti, preparate, capaci di sollevarsi in alto con i movimenti vigorosi di riflessioni e intuizioni geniali. Tutto ciò è una ricchezza, che ci stimola, ci spinge, ci costringe a volte a pensare in modo più aperto e ad andare avanti con decisione, come pure ci aiuta a rimanere saldi nella fede anche di fronte a sfide e difficoltà». Bisogna essere capaci, però, anche di «rilassare i muscoli e di chinarsi, per offrirsi gli uni agli altri come abbraccio accogliente e luogo di riparo: per essere, come diceva San Paolo VI, “una casa”. […] di fratelli, un'officina d'intensa attività, un cenacolo di ardente spiritualità”».

Francesco richiama alla capacità di poter dire qualunque cosa, di sentirsi liberi e parlare spontaneamente se ci si sentirà tra amici che «vogliono bene e che rispettano, apprezzano e desiderano ascoltare ciò che ha da dire». Non è solo una tecnica di facilitazione del dialogo, ma il modo stesso di essere Chiesa «abbracciare, proteggere e prendersi cura cura è infatti parte stessa dell'indole della Chiesa, per sua vocazione luogo ospitale di raccolta, dove “la carità collegiale esige una perfetta” armonia, da cui risulta la sua forza morale, la sua spirituale, la sua esemplarità bellezza”». Ritorna il tema dell'armonia. «Quella parola è importante, armonia, non c'è maggioranza e minoranza, quello che è fondamentale è l'armonia che soltanto può farla lo Spirito santo che è il maestro dell'armonia, tra tante differenze creare una sola voce, lo Spirito crea l'armonia nelle differenze».

Infine il Papa presenta l'immagine del bambino, che Gesù mette al centro per spiegare chi è il più grande. Lo mostra «ai discepoli, invitandoli a convertirsi ea farsi piccoli come lui. Loro gli avevano chiesto chi fosse il più grande nel regno dei cieli: Lui rispondendo incoraggiandoli a farsi piccoli come un bambino. Ma non solo: aggiunge anche che accogliendo un bambino nel suo nome si accoglie Lui. E per noi questo paradosso è fondamentale. Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” – nella mente, nel cuore, nelle vedute –, perché sono “grandi” e delicate le questioni da trattare, e ampi, universali gli scenari entro cui esse si collocano. Ma proprio per questo non possiamo permetterci di staccare gli occhi dal bambino, che Gesù continua a mettere al centro delle nostre riunioni e dei nostri tavoli di lavoro, per ricordarci che l'unica via per essere “all'altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarsi, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà. Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più».





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