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Alziamo il capo e guardiamo a un orizzonte più alto



Cari amici lettori,

vi presentiamo in questo numero due servizi a carattere “ecclesiale”: il racconto del viaggio di papa Francesco in Lussemburgo e Belgio (pag. 12) e il racconto di una vivace parrocchia in Uganda (pag.24).

Il contrasto non potrebbe essere più netto: in Africa una Chiesa “giovane” in tutti i sensi, promettente, ricca di vitalità, ancorata all'essenziale del Vangelo, gioiosa, capace di attrarre; in Europa una Chiesa più “anziana”, un po' spesa, ripiegata su sé stessa, spesso gravata da scandali, situata in Paesi di secolarizzazione avanzata.

Di fronte a questa situazione di “desolazione”, che è un po' anche la nostra, papa Francesco ne ha utilizzato le immagini “verticali”: se il fronte “laico” delle autorità del Lussemburgo, chiamate a governare i difficili processi in atto, è stato invitato ad «alzare lo sguardo verso l'alto», animato da «alti e profondi valori spirituali», ai vescovi e ai preti del Belgio ha invece indicato un quadro di René Magritte, L'atto di fedeche rappresenta una porta chiusa dall'interno, ma sfondata al centro e aperta sul cielo:

«È uno squarcio, che ci invita ad andare oltre, a volgere lo sguardo in avanti e in alto, a non chiuderci mai in noi stessi». E ha lasciato questa immagine «come simbolo di una Chiesa che non chiude mai le porte, che a tutti offre un'apertura sull'infinito, che sa guardare oltre».

Una Chiesa che vive dell'essenziale, che evangelizza, vive la gioia del Vangelo, pratica la misericordia. Per non concentrarsi sul proprio ombelico, occorre evangelicamente «alzare il capo» e guardare a un orizzonte alto, di speranza, che abbiamo un po' smarrito.

Francesco ha parlato anche della sfida di essere Chiesa in una società secolarizzatasottolineando una parola importante: evoluzione. Proprio in un mondo “senza Dio” la Chiesa «evolve, matura, cresce. Non si ripiega su sé stessa, triste, rassegnata, risentita, no; accetta piuttosto la sfida, nella fedeltà ai valori di sempre, di riscoprire e rivalorizzare in modo nuovo le vie di evangelizzazione».

Evangelizzazione che oggi passa soprattutto per la logica della testimonianza di vita, come quella della beata Anna de Loberaricordata nella Messa di domenica 29 settembre, che con la sua comunità di suore carmelitane era diventata una “calamità spirituale” per tantissime persone.

Infine, il Papa ha aggiunto la possibilità di una lettura diversa della situazione di “crisi”, parola ricorrente anche nei nostri discorsi. I cambiamenti epocali e la crisi della fede in Occidente, ha affermato, «ci spingono a ritornare all'essenziale, cioè al Vangelo», e «la crisi – ogni crisi – è un tempo che ci è offerto per scuoterci, per interrogarci e per cambiare. È un'occasione preziosa».

Non viviamo più un «cristianesimo sistemato in una cornice ecclesiale ospitale» ma «un cristianesimo “di minoranza”, o meglio, di testimonianza» e questo richiede il coraggio di una conversione ecclesiale per avviare le trasformazioni pastorali necessarie per evangelizzare.

Atteggiamento che è il contrario della pauradell'immobilismo, del pensare che “tutto è finito”. Quelli accennati sono passaggi epocali che viviamo anche qui in Italia. Di fronte all'insidia della rassegnazione e della chiusura, abbiamo bisogno di un susulto di speranza e di fiducia in Colui che ci parla anche oggi in mezzo alla “desolazione”.





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