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«Mai le bombe hanno portato diritti», la drammatica testimonianza di padre Toufic


«Un massacro». Parla con le lacrime nella voce e nel cuore padre Toufic Bou Merhi ofm, francescano della Custodia di Terra Santa, parroco latino del sud del Libano e superiore del convento di Sant'Antonio da Padova a Tiro. Ricorda i bombardamenti: «Uscire fuori dal convento ea vedere le ambulanze portare via la gente fatta a pezzi, le donne piene di sangue… Le ho fatte entrare nel convento, ho cercato di fare i primi soccorsi. Non è stato facile. In tanti ci hanno aiutato. Tra questi un padre di famiglia. Da una settimana era con noi ad assistere i circa 200 sfollati a cui stavamo provvedendo, in gran parte musulmani, soprattutto bambini. Ci promette una pizza per la sera, ma mi dice anche che quel giorno andrà a mangiare con la sua famiglia che non vedeva da una settimana. Quando torna a casa vede che il figlio al quale aveva detto di comprare gli ingredienti non lo aveva ancora fatto. Gli grida di uscire subito per andare ad acquistare quello che serviva. Ed è arrivato un missile. Tutta la famiglia è stata sterminata, 12 persone. Si sono salvati soltanto il ragazzo e una bambina che era dalla zia». Dietro alle migliaia di morti, del Libano, di Gaza, della Cisgiordania, dietro all'oltre milione e mezzo di persone in fuga verso Beirut dopo l'ingresso degli israeliani nella Terra dei cedri, ci sono storie come questa. Bambini, donne, famiglie «che vogliono solo vivere, che chiedono il diritto di vivere».

Padre Toufic racconta delle paure della gente, della vita difficile da quello scorso ottobre quando anche il Libano non è stato più al sicuro. «Avevo sede a Tiro», spiega il francescano, che adesso si trova a Beirut«dormivo lì e servivo tre nostre chiese, in particolare il paese di Deirmimas che è interamente cristiano. Non avevamo paura di essere bombardati direttamente, ma attorno sì. Per un po', all'inizio della guerra, la gente era andata via, ma dopo tanti mesi era rientrata perché la situazione economica non permetteva di prendere un affitto a Beirut. Andavo da loro ogni domenica e portavo tutto il necessario. Insieme con l'Eucaristia anche la frutta, la carne con i contenitori frigo e li distribuivo a chi aveva bisogno. Tiro, fino a due settimane fa era sicura. Nessuno temeva che bombardarci. Invece, due sabati fa, con la pioggia di missili la gente è scappata a Tito Vecchia. Questa parte di città, dove si trova il nostro convento non era mai stata toccata. Noi, allora, vedendo la gente sotto gli alberi, sulla spiaggia del mare, senza un tetto, abbiamo aperto le porte e da lunedì ce ne siamo occupati. Non avevamo nulla, ma la provvidenza ci ha davvero sostenuto». Il sacerdote si commuove pensando a tutto quello che è arrivato: materassi, coperte «sono arrivati ​​da dove non ci aspettavamo. Si sono dati da fare anche i giovani musulmani del quartiere. Perché la fama, la paura non hanno religione». Ringrazia «i benefattori che non ci hanno fatto mancare nulla. «Il comitato tecnico militare italiano che ci ha messo a disposizione 250 pacchi alimentari e 250 pacchi di materiale igienico, dai saponi ai pannolini, oltre all'acqua». Una telefonata «è arrivata persino da Aleppo. Sappiamo qual è la loro situazione eppure si sono messi a disposizione, oltre naturalmente alla nostra piccola organizzazione della Pro Terra Santa».

Non immaginavano che anche lì le persone sarebbero state al sicuro. «Qualche giorno fa» ricorda il frate, «è caduto un razzo a pochi metri da noi, ha distrutto nove case dei vicini e le pietre sono cadute dentro il cortile, due bambini sfollati sono stati feriti, uno in modo grave. Qualche pietra è arrivata anche su di me. C'è stato il caos. Il quartiere attorno e anche quelli che avevamo accolto hanno fatto i bagagli per ripartire nuovamente. Domenica erano rimaste pochissime persone, anche quelle però hanno preferito cercare rifugio più a nord. Con le lacrime nel cuore anche io e l'altro mio confratello, rimasti soli in un villaggio senza nessuno, abbiamo chiuso le porte del convento e siamo partizioni. Abbiamo preso con noi la cosa più preziosa che avevamo, il Santissimo e le reliquie. Ci siamo diretti prima a Sidone, dove abbiamo cominciato a vedere un po' di gente e poi a Beirut».

Appena arrivato padre Toufic viene raggiunto dalle telefonate. «Alle quattro di notte il paese di Deirmimas è stato colpito, molte case distrutte. La gente ha pensato di partire e io mi sono dato da fare per coordinare la fuga che era molto pericolosa di notte e sotto le bombe. Gruppo per gruppo, macchina per macchina li ho seguiti telefonicamente rassicurandoli e dando le loro indicazioni finché anche gli ultimi sono arrivati ​​a Beirut. Ho gente servito che non conoscevo, di altre religioni, di altre culture, adesso sto seguendo i fedeli della mia parrocchia, che sono raggruppati qui in città in diverse case, tre, quattro famiglie insieme. In tutto circa 200 famiglie. Non sono persone ricche, sono contadini che si apprestano a fare la raccolta dell'olio con cui vivere tutto l'anno. Andare via adesso significa anche rimanere senza sostentamento, ma è l'unica cosa che si poteva fare. In paese sono rimasti 15 giovani volenterosi a custodire un po' le case».

Non è perso d'animo il francescano e ha subito organizzato i giovani per raccogliere le necessità delle diverse zone dove i suoi parrocchiani sono ospiti da parenti e amici. «Il bisogno è gigante, oltrepassa i nostri limiti, è una questione internazionale, però nel nostro piccolo, con l'aiuto dei militari italiani che sono nostri amici e di altri benefattori facciamo quel che possiamo. La terra assettata ha bisogno di gocce, non di diluvio. Queste gocce sono importanti e devono arrivare da qualche parte». E poi è fondamentale che si fermi la guerra. «Il mio grido è basta», ripete il francescano. «Basta massacri. Basta uccisioni fatte in nome della difesa dei diritti. Ma mai la guerra ottiene o genera la pace, mai le bombe ei carri armati hanno portato diritti. E noi chiediamo che sia riconosciuto il nostro diritto di vivere. Non ci sembra di chiedere molto. Solo la vita. Conosco la guerra da quando avevo cinque anni, adesso basta. Vedo, con gli amici musulmani, che la miseria ci ha riuniti, ma credo che potrebbe riunirci anche la prosperità se i grandi del mondo pensassero in un altro modo».

Padre Touric scrive anche alla “bomba” e ricorda la notte in cui il suo amico, che aveva promesso la pizza ai profughi, è stato portato via dai missili. Ecco il brano

Carissima bomba, ti prego, lasciaci in pace.
Carissimo razzo, non esplodere.
Non obbedite alla mano dell'odio
.
Vi esorto perché le altre orecchie si sono tappate, ei cuori dei responsabilità si sono induriti, e la brutalità nel trattare tra le persone si è diffusa, quindi, ascoltatemi voi vi supplico
Vi chiamano bombe intelligenti,
siate più intelligenti di quelli che vi stanno usando.
Non è rimasto chi ammazzare.
Famiglie sterminate.
Sila, bambina di sei anni, non le è rimasto nessuno: né il babbo, né la mamma, né la sorellina di un anno e mezzo, né il nonno, né la nonna, né lo zio con la sua famiglia. L'hanno lasciata in questo mondo così crudele.
Così abbiamo terminato la giornata di ieri.
Un razzo ha distrutto nove case nel povero quartiere di Tiro, a 50 metri dal convento.
Le pietre sono cadute nel cortile dove si trovano gli sfollati. Terrore, grida, pianti, paura si sono mescolati con il sangue dei feriti. Così abbiamo accolto chi è rimasto della famiglia massacrata.
Basta, basta!
Ma a chi grido? Al Signore? Lui non c'entra con l'odio
Lui ha creato l'amore, ma l'uomo l'ha rifiutato per il suo simile.
Quale sia il nostro peccato, che merita una punizione così grave? Forse l'unico nostro peccato è questa terra benedetta dal Signore e profanata dall'uomo.
La nostra colpa è essere nati in questo Paese che soffre da oltre 50 anni, pagando il prezzo per gli altri
.
Cosa rispondere agli sfollati che mi chiedono della buona colazione promessa da Abbas? La mia bocca è rimasta paralizzata e le mie parole vuote. Una lacrima è venuta in mio soccorso per dir loro che Abbas, dal cuore grande e generoso, è partito





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