Cinema

It's What's Inside, la recensione: una metafora geniale che rischia di scappare di mano – Badtaste


Come tanto cinema di genere È quello che c'è dentro vive (e muore) sull'invenzione e la gestione di un'unica idea narrativa: Incubo ha l'impossibilità di addormentarsi. Segue l'inseguimento lento ma inesorabile. Parla con me la mano che richiama i morti. È quello che c'è dentro (che non è un horror ma ci somiglia molto) una macchina in grado di scambiare i corpi delle persone. Otto amici la usano per gioco a una festa e subito la situazione degenera, fra chi ne approfitta per tradimenti e inganni messi in atto con il corpo di qualcun altro.

Questa premessa funziona due volte all'interno di un film che vuole divertire ma anche dire qualcosa: offre un meccanismo narrativo originale, che permette di costruire tensione continuando a creare variazioni su un tema (l'impossibilità di sapere chi si ha di fronte e il brivido di essere scoperti); ed è una metafora capace di dare suggerimenti e possibili letture. È quello che c'è dentro è uno di quei film che possono tranquillamente essere goduti anche solo per il piacere del racconto, ma (senza mai farlo pesare) in realtà ha un sacco da dire sulla società: tramite lo scambio di corpi si parla di comunicazione tra partner, di privilegio razziale , della superficialità e invidia a cui condanna il mondo dei social network.

Se È quello che c'è dentro non è perfetto è per la difficoltà oggettiva che comporta gestire questa premessa per un'ora e quaranta. Per gran parte del tempo l'dei personaggi in scena non aspetto corrisponde con la loro personalità, e siccome la memoria degli spettatori non è infinita i realizzatori sono costretti a inventarsi sempre nuovi modi per segnalazione chi è che si nasconde in questo momento in quel corpo : foto pinzate addosso come un badge, riprese sovraimposte che mostrano la vera identità della persona e così via.

Anche con tutte queste precauzioni alla lunga il racconto diventa complicato da seguire, anche perché – a differenza di quanto facevano in chiave comica i nuovi Jumanji curiosamente gli scambi non attraversano mai le linee di genere: gli uomini sono sempre uomini, le donne sempre donne. Che sia per evitare l'effetto comico di quando Jack Black interpretava Karen Gillen, o per una certa “normatività”, questo porta il film a rinunciare a un elemento di riconoscimento che poteva aiutare a orientarsi meglio nel suo mondo paradossale, rendendo tutto un po' 'meno dispersivo e confuso.



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