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Tra guerre e migranti, la mia esperienza di cooperante a Gaza e nel mondo


Cosa spinge un ragazzo di 19 anni nato e cresciuto a Taranto, figlio di artigiani, con la disoccupazione come orizzonte probabile, a lasciare tutto e dedicarsi anima e corpo ad aiutare gli ultimi della terra? «Non è stata tanto una scelta religiosa, né solamente etica o politica, a motivare le mie scelte» dice Gennaro Giudettiche oggi di anni ne ha 33. «Finiti gli studi avvertivo una specie d'irrequietezza, di febbrile bisogno di rendermi utile, di sete di giustizia: troppo grandi per la mia giovane età, pensavo, ma anche possibili proprio grazie ad essa. È per quello che ho scelto la via del volontariato in zona di rischio», racconta.



«Nella mia vita di operatore umanitario ho visto tanti luoghi di crisi: da quelle più vicine come l'Albania di una quindicina di anni fa con l'ong dell'associazione Papa Giovanni XXIII, fino all'Afghanistan, Yemen, Siria, Libano, Colombia e Congo. Ma», sottolinea il giovane che oggi collabora con la Fao, l'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura mondiale «in nessun posto ho visto quello che un mese fa ho visto nella Striscia di Gaza. Ho visto gente raccogliere brandelli di corpi dalle macerie, persone morire di fame e di sete. Quello che succede a Gaza non ha paragoni oggi nel mondo». Gennaro Giudetti, insieme alla giornalista Angela Iantosca, ha da poco scritto un libro intitolato Con loro come loro – storie di donne e bambini in fuga (edito Paoline) in cui racconta di sé, dai conflitti con la famiglia, ai tormenti sentimentali, alla precarietà delle amicizie quando stai lontano da casa, fino ai problemi economici: tutte le tematiche che interessano i ragazzi a quell'età e chi vuole intraprendere il tipo di vita che ha scelto Gennaro. L'operatore umanitario.

Giudetti in missione in Congo

Giudetti in missione in Congo

«La mia vita non vuole essere esemplare. Sentivo il bisogno di uscire dal mio orizzonte ristretto, di trovare un senso alla vita, sostenere il prossimo. È stato allora che ho mollato la mia città e la famiglia per partire. Prima qualche anno come volontario, poi è arrivata l'assunzione come cooperante in varie ong. Nel mondo», dice il giovane pugliese «c'è troppa sofferenza per stare fermi a osservare». All'inizio, «quando partivo come volontario, qualcuno mi diceva che non si poteva vivere soltanto di buone azioni». E allora come rispondevi?: «Dicevo che la vita di una persona vale molto di più di dieci stipendi».

In missione a Raqqa in Siria

In missione a Raqqa in Siria



Gennaro è stato per alcuni mesi anche nel territorio nord-orientale della Siria dove ha coordinato varie operazioni di smminamento: «La zona è disseminata di bombe, missili, mine anti carro, mine anti uomo. Però gli abitanti di Raqqa vogliono tornare nelle loro case, anche se sono mezze distrutte, e allora le nostre squadre sminano il terreno». Operazioni rischiose e piene di pericoli, che comportano non soltanto lo sminamento ma anche l'evacuazione preventiva di interi quartieri. «Mamma la gratitudine di queste persone ripaga ogni sforzo», racconta ancora Gennaro che ha testimoniato la sua esperienza nel documentario La febbre di Gennarodove il regista Daniele Cini racconta la sua vita e le sue missioni in giro per il mondo.

Gennario Giudetti negli ospedali italiani durante la pandemia da Covid-19 insieme a Medici senza frontiere

Gennario Giudetti negli ospedali italiani durante la pandemia da Covid-19 insieme a Medici senza frontiere

A inizio 2020, torna in Italia per aiutare, insieme a Medici Senza Frontiere, negli ospedali di Lodi e Codogno, in piena emergenza coronavirus, facendo tesoro dell'esperienza di qualche anno prima con l'ebola in Congo per contenere i contagi del Covid 19.

In missione nel Mediterraneo a bordo della nave di soccorso Sea Watch 3

In missione nel Mediterraneo a bordo della nave di soccorso Sea Watch 3



Un'esperienza che prima della Siria o di Gaza, raggiunge uno dei punti drammatici più alti il ​​6 novembre del 2017, quando, partito come mediatore culturale, in una nave dell'organizzazione non governativa Sea Watch nel Mediterraneo, si trova a affrontare dover affrontare direttamente la decisione di salvare la vita di qualcuno con le proprie mani e di lasciare invece altri al proprio destino. Una scelta terribile, sproporzionata al suo compito e alla sua età. Quel giorno c'erano a bordo le telecamere della ong, che riprendono Gennaro a diventare il testimone pubblico di quel disastro umanitario.

Foto scattata nella Striscia di Gaza con gli aiuti umanitari

Foto scattata nella Striscia di Gaza con gli aiuti umanitari

«Una situazione del genere poteva farmi cambiare idea sul mio futuro, invece da quel dolore è nata la voglia di tornare a studiare per migliorare il mio servizio al prossimo. Ho scelto scienze politiche e pensa che ero a Raqqa come cooperante, quando ho sostenuto l'esame di relazioni internazionali a distanza. Un esame a dir poco surreale, svolto in una stanza dentro il composto circondato da filo spinato. Fuori una città, roccaforte dell'Isis, distrutta dalla guerra: i bambini che girano tra le macerie, le persone sfollate, la mancanza di acqua, elettricità, scuole. Dentro io che facevo, collegato, un esame scritto con la paura che poteva saltare la connessione da un momento all'altro. Raqqa è una città dove mancano molti servizi e la linea telefonica va e viene».

Foto scattata durante una missione in Afghanistan

Foto scattata durante una missione in Afghanistan



Ai giovani e cosa ti senti di dire oggi? «Che ognuno è chiamato a fare la sua parte. Non a tutti è dato di diventare operatori umanitari o di trovarsi in mezzo al Mediterraneo, ma tutti possiamo fare qualcosa: anche raccontare, alzare la voce, è importante. Credo che i giovani oggi siano molti più aperti e avanti degli adulti nel sentire il grido del mondo. A tutti loro dicono sempre: di fronte a una persona che soffre chiedetevi sempre”e se quella persona in mare, a Gaza, in un campo profughi, per strada fosse mio fratello o mia sorella, fosse mia madre o un mio amico, cosa farei? Mi comporterei come sto facendo o farei qualcosa di diverso? Tutto può cambiare se troviamo il coraggio di farci più spesso quella domanda».

Foto di Gennaro Giudetti





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