News

«Quel giorno ha cancellato la gioia: da allora niente è più come prima»


Noemi Di Segni.

All'alba del 7 ottobre 2023, shabbat e festività di Simchat Torah, che in ebraico significa la “gioia della Torah”, fra le più sentite dell'anno, i terroristi di Hamas piombarono nei kibbutz addormentati del sud di Israele, nelle città di confine e al festival musicale Supernova. Violentarono, torturarono e ammazzarono chiunque capitasse loro sotto mano: uccisero circa 1.400 persone e ne rapirono oltre 200. Da allora, in Israele come a Gaza ma non solo, niente è più come prima. In un anno di guerra fra Israele e Hamas, gli israeliani rimasti uccisi sono più di 1.500, più di 41.500 i palestinesi e, dopo l'escalation nel Paese dei cedri, anche i morti libanesi già si contano a centinaia. Con Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), ripartiamo da quel sabato nefasto per capire cosa, da allora, è cambiato per la comunità ebraica.

Di Segni, cosa significa oggi per gli ebrei il 7 ottobre?

«Uno shock, per il tipo di attacco totalmente inaspettato e per le modalità in cui l'orrore si è addentrato nelle case, nelle famiglie, nella gioia della festa. Prima di quel giorno la “normalità” erano razzi e missili, uno schema noto fatto di attacchi convenzionali, il 7 ottobre ha scardinato anche quella “normalità”. Pochi giorni dopo, poi, un ulteriore sconvolgimento è stato il rendere conto che in tutto il mondo c'era chi tentava di ridimensionare o addirittura negare quanto accaduto».

Valuta che sia cambiata la percezione internazionale su Israele?

«Al posto di riconoscere gli israeliani come la popolazione attaccata, si è cominciato a dire che siamo quelli che odiano e uccidono, ma non ci riconosciamo in questa descrizione: non corrisponde né alla verità né alla moralità ebraica, è antisemitismo».

Che bilancio fa degli ultimi dodici mesi?

«L'anno iniziato all'alba non ha avuto alcun tramonto. La desolazione e l'orrore crescono, l'incredulità e l'impossibilità di comprendere l'atrocità non diminuiscono. Personalmente ho il cuore pieno di dolore. Mentre la vita va avanti, una parte di me è ancorata a quel giorno: al supermercato, ad esempio, non riesco a guardare una famiglia qualsiasi senza che il pensiero vada ai nuclei trucidati. C'è chi è vocato alla distruzione della vita e chi, al contrario, è chiamato alla vita stessa e alla sua dignità».

Hamas ferma ancora cento ostaggi di cui, secondo il premier israeliano Netanyahu, la metà dovrebbe essere ancora viva.

​​​​​​«La mia preghiera quotidiana è per loro, ma serve anche realismo. È difficile dire cosa sarebbe giusto fare per liberarli, è struggente, e la trattativa non è leale. Chiediamo ancora come sia possibile che alcuni esseri umani siano stati indottrinati così tanto da commettere orrore su donne, bambini, anziani e ostaggi civili, appunto, che sono al centro di tutti i dilemmi morali di questi mesi. Mi colpisce sempre molto la dignità dei familiari​​​​​​».

E in Italia, quali sono state le conseguenze del 7 ottobre?

«È aumentato il pericolo per i luoghi di culto e anche il girare liberamente per le strade con simboli identificativi come il copricapo o la stella ebraica non è più scontato. C'è un fiume carsico di odio contro Israele che sta crescendo, mi angoscia sentire giudizi durissimi da parte di giovani che non hanno mai messo piede in Israele oa Gaza: sta crescendo l'odio verso gli ebrei. Per questo come Ucei cerchiamo di affermare il valore della convivenza facendoci forza con quanti – anche fra i cattolici – pensano che la religione migliori la vita, e non esalti certo la morte».

Come vivrete il giorno dell'anniversario?

«I terroristi hanno scelto il 7 ottobre per i 50 anni dell'inizio della guerra nel Kippur e per la concomitanza con l'ultima festa nel ciclo delle festività di avvio dell'anno ebraico. Quest'anno il 7 ottobre cade il giorno dopo il Capodanno, che per noi è il giorno dell'introspezione, in cui fare il bilancio della propria anima verso Dio, verso sé stessi e verso il prossimo. Si può capire, quindi, come il carico emotivo sia altissimo: il giorno della festa e della spiritualità è stato trasformato nel giorno dell'orrore. Per noi ebrei il comando è di gioire nelle feste, ma come si fa? La forza la troviamo solo perché sappiamo che la risposta all'orrore è l'esserci oggi, con le nostre vite e la gioia che va avanti. In Italia ci saranno commemorazioni in tutte le comunità, improntate alla sobrietà, con minuto di silenzio e il suono tipico del corno dello shofar, che invita al pentimento e invoca la misericordia divina».

Netanyahu annunciò subito: il Paese è «in guerra», «il nemico pagherà un prezzo altissimo». Si poteva rispondere in modo diverso all'attacco di Hamas?

«L'obiettivo di Israele è recuperare la propria sicurezza e far rientrare chi vive fuori casa. La guerra è dolorosa e ha risvolti difficili e drammatici che noi stessi non vogliamo negare, ma difendiamo un modello di libertà e il desiderio di vivere in una civiltà che non abusi delle religioni. Tutti comprendono se potevamo fare qualcosa di diverso, perché la guerra porta lacerazione morale, ma non riconosciamo il giudizio della Corte internazionale di giustizia: inneggiamo alla vita, non al massacro. Anche in Italia c'è una pietà spontanea di ascolto alla popolazione palestinese: occorre però capire come aiutarli, realmente, nella loro vita e non solo in questa guerra. La situazione è complessa, il punto di partenza per tutti deve essere volere davvero la pacificazione».





Source link

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *