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Quei 125 miliardi di sconti fiscali che il Mef chiama “regali elettorali”


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Quello che so sui mercati finanziari e l'economia l'ho imparato lavorando per una delle principali Sim di Piazza Affari, le società che comprano e vendono i titoli in Borsa per i grandi investitori. L'ho portato con me quando sono diventato giornalista di Repubblica dove, tra le altre cose, mi sono occupato di inchieste e grandi scandali come quello di Parmalat, contribuendo a smascherare i suoi bilanci falsi. Ogni settimana parleremo di società quotate e no, di personaggi, istituzioni, di scandali e inchieste legate a questo mondo. Se volete scrivermi, la mia mail è w.galbiati@repubblica.it.

Buona lettura

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Soldi non ce ne sono. Debito, interessi e deficit, tutto si muove contro la manovra a cui il ministro Giancarlo Giorgetti cerca di mettere mano. Da qui la necessità di andare a tagliare là dove possibile. E una delle voci prese di mira si chiama Spese fiscali.

Cosa sono. In tutti i Paesi del mondo vengono definiti come “le misure che riducono o pospongono il gettito per uno specifico gruppo di contribuenti o un'attività economica rispetto a una regola di riferimento che rappresenta il benchmark”. In pratica sono una deviazione dalla norma, una specie di favore e di concessione a una particolare categoria di contributori.

La peculiarità italiana. E nelle eccezioni noi italiani siamo stati i migliori di tutti. Secondo il Rapporto annuale sulle spese fiscali che il ministero dell'Economia redige ogni anno, tra tutti i Paesi Ocse l'Italia non solo ah gli importi più elevati di spesa e gettito non riscosso grazie alle Tax spendes, ma è anche il Paese con il maggior numero di voci di spesa.

Numeri e valori. Si contano ad oggi 625 misure che si sono accumulati negli anni, di cui 555 ancora vigenti nel 2024. Per quelle di cui si è potuto calcolare l'impatto, comprendendo sia le misure erariali che quelle locali, il Mef lo ha valutato in 125,6 miliardi per il 2023 che dovrebbero salire a 152 miliardi nell'anno corrente.

Stiamo parlando di una cifra pari al 7% del Pil e che negli anni non ha fatto altro che crescere. Nel 2017 l'impatto delle fiscalità era stato di 87,3 miliardi (il 5% del Pil di allora) con una crescita di oltre il 74% rispetto alla stima prevista per il 2024.

Perché è difficile intervenire. Una enormità alla quale servire mettere mano ea cui punta la delegato fiscale. Ma andare a toccare questa ridda di voci non è facile, perché come riconoscere lo stesso ministero dell'Economia molte di queste misure sono veri e propri regali con chiari fini elettorali.

Molte e di poco valore. Di fatto, rispetto ad altri Paesi, le tasse italiane hanno un importo medio per contributore molto contenuto tanto che la metà di tutte ha un costo inferiore ai 10 milioni di euro. Il che significa che non hanno un carattere sistemicoma sono frammentate, quasi cavilli costruiti su misura, mettendo così in evidenza “l'utilizzo – scrive il rapporto del Mef – per finalità di scambio con vari gruppi di interesse”, “un beneficio ad alcuni gruppi di produttori e consumatori per fini politici”.

L'economia politica. “La politica economica delle spese fiscali nel nostro Paese – si legge nel rapporto – è molto chiara ea poco a che fare con obiettivi tributari, di efficienza o distributivi: esse sono in prevalenza un sussidio tributario – che equivale a una spesa diretta – che emerge nel processo di scambio con i gruppi di pressione”.

Per questo è difficile eliminarle ei vari governi che si sono succeduti non hanno fatto altro che rinnovare quelle introdotte dai governi precedentiper non scontentare nessuno, anzi ne hanno spesso introdotte di nuove, fino ad arrivare alla strabordante situazione attuale.

Perché le spese fiscali. Questi interventi sono più facilita da adottare rispetto a qualsiasi altra misura per la quale bisogna trovare risorse ad hoc. Qui basta concedere uno sconto su quello che già si paga. Il campionario va dall'esenzione alla deduzione dal reddito, dalla riduzione di imposta al rimborso di imposta e dalla riduzione di aliquota fino al differimento di imposta.

Più hanno una minore trasparenzaperché a volte è difficile, se non si mette un tetto di spesa, calcolarne i costi, come è accaduto di recente con il Superbonus.

Il peso dei bonus edilizi. Tra tutte le tasse, quelle che pesano maggiormente sui conti dello Stato sono proprio i vari bonus edilizi che da soli rappresentano circa il 40% del totale delle spese fiscali censiteper un valore di 36 miliardi.

E Giorgetti lo sa bene, tanto che allo studio c'è un piano di riordino dei benefici la cui colpa può essere tranquillamente spostata dal governo alla direttiva europea sulle Custodia verde. Al momento l'esecutivo prevede, salvo un intervento diverso, che le aliquote per le ristrutturazioni scendano dal 50 al 36% con un tetto di spesa che passa da 92mila a 46milae quelle per l'efficienza energetica dal 70 al 65%.

Non solo casa. Basta però dare una rapida scorsa alle missioni interessate dai favori concessi per capire come i beneficiari siano un po' tutti i settori: oltre la casa, ci sono agricoltura, pesca, energia, imprese di tutti i tipi, comprese banche e assicurazioni, trasporti, commercio, ricerca e innovazione, sostenibilità e ambiente, salute, cultura, scuola e università.

La Missione11. Oltre la casa un altro pacchetto su cui il governo vorrebbe intervenire e di cui si è parlato con insistenza riguarda la Missione 11: Competitività e sviluppo delle impreseche nei programmi di spesa 2024 ha un valore complessivo di 32,7 miliardi. Qui le voci più importanti sono dovute.

1) La prima è il fiscale cuneeseclassificato come “trasferimenti correnti a famiglie e istituzioni private”che il governo si è già impegnato a voler prorogare per il 2025 e che è costato alle casse dello Stato 4,3 miliardi di euro.

2) La seconda voce per importanza riguarda “i trasferimenti alle imprese” pari a 5,1 miliardi che si materializzano prevalentemente attraverso dovute misureuna a favore delle banche e l'altra degli autotrasportatori.

a) Attività fiscali anticipate. Agli istituti di credito il fisco concede di non pagare le tasse e di rinviarle nel tempo, nel caso in cui nel bilancio di quell'anno ci siano perdite dovute a svalutazioni per attività immateriali e avviamenti oa operazioni straordinarie. Nel 2024 questo giochetto ha impedito allo Stato di incassare 3,4 miliardi di tasse che sono state procrastinate nel tempo.

b) Riduzione dell'accisa. Agli autotrasportatori è stato consentito di alleggerire il prezzo del carburante grazie alla riduzione dell'accisa, un beneficio che viene restituito non alla pompa, ma quando si pagano le tasse. Questo favore costa alle casse pubbliche 1,5 miliardi.

Giorgetti potrebbe intervenire su queste due voci per recuperare qualche miliardo dei 10 che gli servirebbero per chiudere la manovrama la Lega ha già fatto sapere che non se ne farà nulla per gli autotrasportatori, mentre ForzaItalia ha preso la difesa delle banche.

“Le termiti”. Sarebbe tuttavia necessario che si inizi a mettere mano alla giungla delle Tax spendes, perché come dice lo stesso Mef sono come le termiti che logorano dall'interno il bilancio dello Stato.

“Le Tax agevolazioni – leggiamo nel rapporto – sono vere e proprie termiti che possono lentamente logorare la struttura dei sistemi tributari. Se non si interviene con misure adeguate, le termiti indeboliscono il funzionamento di qualsiasi sistema tributariolasciando come opzione ai vari governi solo quella di aggiungere ai regimi promossi dal governo precedente, altri regimi di favore per le varie circoscrizioni. Le spese fiscali creano un'elevata dipendenza da cui è complicato liberarsi. Serve un'azione seria e programmata per ripristinare trasparenza, semplicità ed efficacia ai sistemi fiscali”.

Insomma, serve coraggio, senza pensare solo alle elezioni.



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