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Italia-Israele, quando le partite non sono solo partite di calcio



Ci sono partite che non sono solo partite, indipendentemente dai 22 che devono giocarsele in campo e dai due che si affrontano dalle rispettive panchine. Italia-Israele, valida per la Nations League, in programma alle 20.45 del 14 ottobre 2024 è una di queste.

Cade in un momento complicatissimo: anche se non è vero che «gli italiani vanno alla partita di calcio come se fosse una guerra e alla guerra come fosse una partita di calcio», battuta che si ascrive a Winston Churchill anche se l'attribuzione è controversa , è certo vero che quando ci sono di mezzo le bandiere e quando ci sono di mezzo le guerre, le zona di conflitto, le tensioni del mondo, lo sport si carica anche nolente di significati che vanno oltre.

Si respira anche questo nelle ore che precedono la sfida cui è chiamata l'Italia di Spalletti, c'è un convitato di pietra alla partita ed è il conflitto in Medioriente, nel corso del quale nei giorni scorsi sono state colpite in Libano dall'esercito israeliano alcune basi della missione Unifil, che si trovano in una zona di conflitto fra l'esercito israeliano ed Hezbollah. L'attacco ha ferito alcune persone e ha suscitato dure critiche da parte della comunità internazionale, Italia compresa, dal momento che il personale delle missioni dell'Onu non dovrebbe mai essere colpito in azioni belliche, ovunque si trovi.

Il clima si respira dalle parole del Ct: «Penso che ci siano molti israeliani che non vogliono la guerra e noi dobbiamo convincere sempre qualcuno in più che questa è una cosa che deve finire. Si va a giocare la partita con la speranza di convincere sempre qualcuno in più». Parole che hanno subito sortito tensione interna: gli è stato ricordato che la Nazionale è di tutti, che non è previsto che il calcio si schieri, che dica cose che vanno oltre le righe del campo, principio che non ha impedito 30 anni fa di scippare le parole del tifo per l'Italia del pallone al fine di nominare un partito tuttora al Governo, senza contraddizione apparente da parte di chi oggi lo enuncia.

Spalletti poche ore dopo ha aggiunto: «Voglio esprimere tutta la nostra vicinanza e solidarietà a tutti i militari che sono lì e in particolare ai nostri, che sono tanti, da molti anni a fare un lavoro difficile in questa possibilità di missione di pace, che però non sembra attaccare, fare presa».

Intanto Udine accoglie la nazionale in un clima blindato, non con la festa che sarebbe naturale, dopo 5 anni e mezzo di assenza degli azzurri dalla città: i numeri parlano di 11.500 spettatori, meno della metà della capienza dello stadio, 1.500 componenti delle forze dell 'ordine, artificieri compresi, blindati, barriere jersey in cemento armato, droni a sorvegliaresenza contare la presenza invisibile degli agenti del Mossad il servizio segreto israeliano.

Nel pomeriggio prima della partita è previsto in centro un corteo Pro-Palestina, cosa che alza ulteriormente l'attenzione all'ordine pubblico, massima. La squadra ospite ripete che per due ore, l'obiettivo è concentrato solo sul campo, ma tutti sanno che quando lo sport diventa, anche proprio malgrado, ragion di Stato le partite diventano difficili, per tutti: per chi gioca, per chi guarda, per chi deve garantire l'ordine pubblico.

Anche perché storicamente lo sport ha smesso di essere solo una festa per diventare un problema di sicurezza in un giorno preciso, il 5 settembre 1972, all'Olimpiade di Monaco, proprio sulla faglia di questo stesso conflitto, quando l'attentato di un commando palestinese sfregiò il villaggio olimpico colpendo la rappresentativa israeliana: un giorno che ha tolto per sempre spensieratezza allo sport e che come un fantasma da allora si aggira su tutte le gare che, per una qualche ragione, sono passibili di giocarsi anche con altre armi su altri fronti .





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