Economia Finanza

Meloni-Netanyahu, la crisi al telefono: “Fatti inaccettabili. Ora de-escalation”




Franca, dura, con pochi giri di parole: caro Bibi, stavolta avete davvero superato il limite. Noi, dice Giorgia a Netanyahu, siamo i vostri «amici fedeli», difendiamo il vostro diritto ad esistere, vi sosteniamo nella lotta al terrorismo, «però è inaccettabile che l'Unifil venga attaccato dalle forze armate di Israele». E ti voglio ricordare «che la missione delle Nazioni Unite» non è una delle parti in causa ma «agisce su mandato del Consiglio di sicurezza». Il premier israeliano spiega le sue ragioni, parla della necessità di «evitare che i tagliagole sanguinari tornino sulla linea di confine», invita i leader europei «che esercitano pressioni sbagliate», a prendersela con «Hezbollah e l'Iran». E la Meloni gli ribatte che i caschi blu stanno lì proprio «per contribuire alla stabilità regionale». Non gli si può sparare addosso, non si possono invadere le basi con i tank.

La telefonata è piuttosto tesa, come del resto i rapporti tra i due Paesi, che si sono improvvisamente increspati dopo gli assalti ai contingenti italiani e delle altre forze di interposizione. Il ministro della Difesa Guido Crosetto li ha definiti «crimini di guerra», il ministro degli Esteri Antonio Tajani aspetta «delle scuse, perché i nostri soldati non sono terroristi, ma lavorano per la pace». Ora tocca al presidente del consiglio provare a mettere dei punti fermi. Il primo: «L'assoluta necessità che la sicurezza del personale dell'Unifil sia sempre garantita». Il secondo: «L'Italia rinnova il suo impegno, convince che attraverso la piena applicazione della risoluzione 1701 si possa contribuire alla stabilizzazione della frontiera israelo-libanese e garantire il ritorno a casa di tutti gli sfollati». Altro che ritirarsi.

Dunque, siamo pare sull'orlo della crisi diplomatica. Netanyahu infatti insiste: se non avrà campo libero, se i caschi blu non si sposteranno da quella striscia di venti chilometri, continuerà ad attaccare dove ci sono le basi. «Da parte nostra verrà profuso ogni sforzo per evitare vittime nel contingente Onu. Non stiamo minacciando l'Unifil, si tratta soltanto di errori. Ma dopo le atrocità compiute il 7 ottobre, Israele non permetterà mai più a un'organizzazione terroristica genocida di avvicinarsi ai nostri confini. Né a Gaza né in Libano». C'è di più. «Ho informato la premier italiana – racconta al termine della telefonata – dei miei numerosi appelli al segretario generale delle Nazioni Unite Guterres. È arrivato il momento che l'Unifil si ritiri dalle roccaforti di Hezbollah e dalle zone dei combattimenti».

La tesi di Netanyahu è che «i terroristi usano l'Unifil come copertura e scudo umano», quindi devono arretrare subito. Dal Palazzo di vetro la risposta è no, ma Bibi non si ferma. «Il rifiuto di evacuare temporaneamente li ha trasformati in ostaggi, mettendo a rischio sia loro che i soldati delle Idf». Insomma, le truppe dell'Onu starebbero «coprendo», e sostanzialmente sostenevano, Hezbollah. Questa è l'accusa, nemmeno troppo velata, che ha irritato l'Italia.

Ma come, raccontano a Palazzo Chigi, a Tel Aviv e Gerusalemme si sono forse già dimenticati che è grazie alla nostra discreta collaborazione, e al lavoro di intelligence italiano e degli altri contingenti in zona, che sono stati scoperti gli arsenali dei terroristi? E poi, non fa parte dell'Onu puro Israele? Non hanno forse accettato la risoluzione 1701 che prevede la forza del cuscinetto? Quindi, si va avanti. «I soldati italiani non si toccano – dice Tajani -. Sono militari di un Paese amico e lavorano per incarico dell'Onu».



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