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Gaza, parla uno dei 130 soldati italiani che si rifiutano di combattere: «Questa guerra deve finire»


Questa guerra deve finire. A dirlo non sono dei pacifisti, ma dei soldati israeliani. Con una lettera aperta, inviata al ministro della Difesa israeliano Gallant, 130 riservisti israeliani hanno dichiarato il rifiuto di partecipare alla guerra fino a quando non ci sarà un accordo per liberare gli ostaggi ancora nella Striscia di Gaza. I soldati che hanno firmato il testo rischiando fino a un anno di carcere. Il documento, sottoscritto a settembre, è diventato pubblico pochi giorni fa. Uno di loro è Dan Eliav, riservista di Sde Nitzan, un moshav nel sud di Israele, a poco più di sette chilometri dalla Striscia di Gaza.

Perché hai deciso di scrivere questa lettera?

Perché non siamo più disposti a uccidere ea morire per scopi diversi dalla sicurezza di Israele e dal rilascio degli ostaggi. In questo momento i soldati e combattenti israeliani perseguono degli obiettivi che non sono più di sicurezza o di difesa del Paese, ma obiettivi politici. Vede, Idf, come chiamiamo il nostro esercito, è un acronimo che significa “l'esercito per la difesa di Israele”, ma abbiamo perso il significato delle ultime parole: “Difesa di Israele”. Il servizio militare in Israele è basato su un'etica morale, dura tre anni e in questo periodo di tempo impariamo a rispettare alcuni principi che sono: non lasciare nessuno indietro, avere fiducia reciproca, combattere con professionismo, essere coraggiosi, ma mai crudeli, usare la forza se necessario. Quello che sentiamo è che questi valori in cui crediamo come soldati e come israeliani non sono più rispettati. Non ci sono ragioni per continuare a combattere. È il momento di trovare un accordo diplomatico per il ritorno degli ostaggi.

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Lei è stato richiamato a combattere dopo il 7 di ottobre?

In realtà ero esonerato, perché ho 63 anni, ma ho fatto di tutto per tornare in campo e quindi ho indossato di nuovo l'uniforme come volontario. Dopo il 7 ottobre io, come molti altri riservisti, ho sentito che dovevo fare qualcosa, che era mio dovere. Tutti noi abbiamo fatto quello che serviva per difenderci. Io ero fuori dall'esercito da un po' ma mi sono subito chiesto cosa potevo fare per aiutare il mio popolo, mi sono arruolato il giorno dopo nella Guardia di sicurezza. All'inizio aveva un senso, poi mano a mano che diventava palese la distruzione massiccia della Striscia di Gaza e dopo l'accordo di novembre ho capito che lo scopo era diventato la sopravvivenza di questo governo.



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