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Mein Kampf, Stefano Massini porta in scena il delirio di Hitler


Scenografia scabra ed essenziale: solo un foglio bianco. Nessuna svastica. Nessuna pausa.

Le parole che piovono sul foglio dimostrano che ognuna di esse non è esente da conseguenze e disegnano il compiersi inesorabile di un furore: la valigia e il cappello dei deportati, i libri da bruciare in un rogo, le vetrine di sinagoghe e negozi ebraici frantumate nella “notte dei cristalli” del 1938.

In scena, il delirio di un uomo che diventa quello di un popolo intero e trascina l'Europa nella morsa delle dittature e il mondo in guerra. Quel che verrà dopo si intuisce soltanto. Quello che è alla base di ciò che verrà è un'ascesa vertiginosa e geometrica di parole e azioni ripercorse da un gigantesco Stefano Massini al Piccolo Teatro di Milano In Il mio campo (La mia battagliaa), le memorie che un giovane Adolf Hitlernon ancora trentenne, dettò cent'anni fa, nel 1924, nella cella del carcere di Landsberg dove scontava la condanna per il fallito tentativo di colpo di stato di Monaco nel 1923.

Quel libro in Germania è stato un tabù per anni fino a quando, nel 2016, è stato consentito di diffonderlo dopo anni di divieto, diventando subito un best seller, ritenendo che solo la conoscenza potesse evitare il ripetersi della catastrofe, come sostenevano anche Primo Levi e Bertolt Brecht. In Austria, invece, ancora oggi possederne una copia è reato.

«Da dove si inizia per cambiare la storia?», si chiede un giovane Hitler, frustrato, nato nel posto sbagliato e circondato «dalla composta nullità di quelle vite imbalsamate», farneticante, appassionato. È la domanda che lo martella e lo invade infondendogli il coraggio di parlare, teorizzare, fino a trascinare più persone possibili verso il baratro guidandole come un pifferaio magico.

Il primato della razza ariana, l'apoteosi del condottiero, la guerra come «selezione dei migliori», la forza della propaganda, la smania per il riscatto personale che Hitler fa coincidere in tutto e per tutto con quello della Germania uscita a pezzi dalla Prima guerra mondiale e umiliata dal fallimento della Repubblica di Weimar. Hitler, smessi i panni del ragazzo frustrato, riesce a fare una cosa inconcepibile e tragicamente grandiosa: unificare un popolo.

Un popolo grande, un popolo colto, un popolo di antica tradizione, però anche – in quel momento – un popolo profondamente afflitto, disperato e disgregato. Hitler lo unifica attorno a due idoli: la razza e il nemico esterno, gli ebrei, da annientare e togliere dalla faccia della terra per poter tornare ad essere di nuovo qualcuno, qualcosa e risplendere.

Massini, attingendo oltre che alla prima versione di Il mio campo anche ai discorsi del leader nazista, a quelli di Goebbels e Himmler, all'impressionante materiale delle Conversazioni di Hitler a tavolaripercorre parola per parola, in un crescendo inquietante ed emozionante, come Hitler sia diventato il führer adorato dalle masse, capace di muoverle, motivarle, affascinarle e spingerle ad agire.

La chiave dello spettacolo, paradossalmente, non è solo Hitler ma ognuno di noi di fronte a queste parole, l'usura della democrazia, la crisi della politica, i leader che soffiano sulle paure.

La chiave è nelle parole di Emil Erich Kästner, uno dei tanti scrittori di allora, costretti a smettere di scrivere e ad assistere ai roghi dei libri, il quale si chiede se le stesse parole venissero dette, oggi, non da Hitler, o Goebbels, o Himmler, ma da chiunque altro, prive di alcun riferimento ad Auschwitz, se ci troverebbero veramente così ostili.

Dove vederlo

Il mio campo di e con Stefano Massini, da Adolf Hitler

Fino al 27 ottobre al Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi – M2 Lanza) di Milano

Scena Paolo Di Benedetto, luci Manuel Frenda, costumi Micol Joanka Medda, ambienti sonori Andrea Baggio.

Produzione Teatro Stabile di Bolzano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana

Durata: 80 minuti senza intervallo – Informazioni e prenotazioni 02.21126116 – www.piccoloteatro.org





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