Open Arms, Bongiorno: ‘Assolvete Salvini’, ma la politica resta fuori dall’aula
Nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo in cui si celebra il processo Open Arms a carico di Matteo Salvini, Giulia Bongiorno, che interviene in qualità di avvocato difensore, non fa nulla per buttarla in politica: la lascia tutta alla piazza, fuoridove i suoi colleghi di partito hanno fatto un presidio con le magliette “Salvini colpevole di aver difeso l'Italia”.
L'eco della manifestazione di fuori, del sostegno sgangherato di Pontida, del gridare al processo politico che si è fatto in questi mesi, in aula arriva solo perché vi arriva, per la prima volta accompagnata dalla scorta, la Pm Giorgia Righiuno dei tre magistrati che sostengono l'accusa, messa sotto protezione in seguito alle minacce ricevute nel clima teso che lo spostamento del processo in piazza e sui social ha creato.
L'avvocato Bongiorno tiene un profilo tecnico al netto dell'icastico verbo “bighellonare” riferito alla nave Open braccia, che non sarebbe secondo la sua ricostruzione stata in avaria («Il buco era in realtà una macchia») e che avrebbe avuto un porto sicuro indicato in poche ore verso la Spagna, dove non avrebbe voluto andare restando appunto a “bighellonare” per scelta, questa sì politica, ma riferita a Open Arms, non al processo.
Per gran parte dell'arringa, almeno fino alle più veementi battute finali, sceglie uno stile freddo a tratti anche noioso di norme e dati snocciolati, esperta a sufficienza per sapere che gridare al processo politico è una modalità che funziona bene in piazza e sui media , ma che attecchisce ben poco nelle aule di giustizia.
Tre sono i punti chiave del suo ragionamento. Primo: dimostrare che i lunghi tempi di sbarco tra la richiesta, la risposta e le operazioni, non siano stati un'esclusiva della Open Arms, ma fossero la regola sia ai tempi del Governo Conte 1 di cui Salvini faceva parte, sia al tempo del Governo Conte 2, di cui Salvini non faceva più parte, sia al tempo dei Governi Draghi e Meloni «per non sembrare di parte», e snocciola: navi, date e giorni a sostegno. Secondo: provare che l'interpretazione delle divergenze Salvini-Conte, – interne al Governo dell'epoca del caso Open Arms, – sostenuta dalla Pubblica accusa, che ritiene che Salvini abbia agito da solo in disaccordo con gli altri membri del Governo, sia invece un'interpretazione errata. Secondo l'arringa di Giulia Bongiorno la sequenza “prima ridistribuzione e poi sbarco” era prassi consolidata comune ai due Governi Conte, tutti d'accordo, e che la divergenza politica sarebbe stata apparente.
Sostiene che le lettere, che secondo l'accusa dimostrerebbero invece la disponibilità di Paesi pronti alla ridistribuzione molto prima dello sbarco, dal punto di vista della difesa indicherebbero invece solo l'inizio di una trattativa terminata molto dopo. Punta a smontare l'accusa di sequestro di persona, asserendo che la nave Open Arms, su cui stavano i migranti nella non breve attesa di sbarco, non avrebbe rappresentato il luogo di un sequestro, avendo, al contrario, un suo avviso – e si gioca tutto sull'interpretazione delle norme sul soccorso in mare e sulla definizione di porto sicuro (Pos) – tutte le caratteristiche di sicurezza per rappresentare nell'attesa dello sbarco un “porto sicuro temporaneo”dal quale si sarebbe potuto sbarcare, semplicemente rappresentando un disagio, dato che alcuni secondo la sua ricostruzione erano stati lasciati scendere senza particolari controlli nemmeno sulla minore età.
Opposta anche l'interpretazione dell'azione dei migranti che si sono gettati in mare: a 200 metri dalla costa, la presenza dei salvagenti e delle motovedette della Guardia di Finanza, sostiene Bongiorno, farebbe pensare più al tentativo di raggiungere la riva a nuoto che ad atti di autolesionismo.
La conclusione, come prevedibile, è diametralmente opposta rispetto a quella della Procura che aveva chiesto 6 anni per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio: l'avvocato Bongiorno chiede l'assoluzione «perché il fatto (il fatto di reato contestato, ndr.) non sussiste».
Il suo compito, salvo repliche di Pm e difese, di avvocato difensore, per il primo grado finisce qui. Può tornare al suo ruolo eminentemente politico di Presidente della Commissione giustizia. Un luogo sul cui tavolo ci sono parecchie riforme della giustizia che sta contribuendo a scrivere. Non è la prima volta nella storia della Repubblica che chi scrive riforme in Parlamento cumula contemporaneamente il ruolo di avvocato difensore di membri del Governo alle prese con quella stessa Giustizia in veste di indagati e imputati. Un doppio ruolo, che, forse, qualche conflitto di interessi potrebbe comportare – certo lo ha comportato in passato ai tempi delle leggi ad personam di berlusconiana – ma che in Italia, dove la tensione tra politica e giustizia non si è mai sopita, non sembra Sorprendentemente destare particolari preoccupazioni.