Cinema

Con “Jokeropolis” Francis Ford Coppola ha coniato un termine azzeccato… purtroppo di senso opposto a quello che intendeva – Badtaste


Pochi giorni dopo l'uscita al cinema di Joker: Folie a DeuxFrancis Ford Coppola aveva condiviso via social il suo apprezzamento per il dibattuto film con Joaquin Phonenixche stava ricevendo reazioni contrastanti tanto quanto il suo Megalopoliuscito negli Stati Uniti la settimana precedente. Il regista aveva inoltre suggerito che Jolly 2 e Megalopoli riusciremo a dare vita a un'antitesi del Barbenheimer, proponendo un nome apposito per il fenomeno: “Jokeropolis”. Una profezia concretizzatasi: Barbie e Oppenheimer hanno ottenuto incassi da capogiro nell'estate 2023, Megalopoli e Jolly 2 si sono rivelati due sonori flop al botteghino, con un'accoglienza tiepida (il primo) e feroce (il secondo).

Destino simile per due opere che, pur nelle evidenti differenze, condividono un medesimo approccio di fondo. Il termine “Jokeropolis” è dunque azzeccato… peccato che in un senso opposto a quello che Coppola intendeva.

Joker 2, Megalopoli ei danni della libertà creativa

La storia produttiva di Megalopoli è nota: Coppola ha inseguito il progetto da oltre 25 anni e per realizzarlo ha dovuto vendere i propri vigneti, andando contro una regola… da lui stesso stessa formulata. È riuscito così ad autofinanziarlo in maniera totalmente indipendente, mettendo di tasca propria i 120 milioni necessari, che non verranno recuperati dagli incassi della pellicola (appena 10 milioni nel momento in cui scriviamo), ma forse dalla vendita dei diritti di distribuzione internazionali. La storia per lui si ripete, amaramente: nel 1981 aveva portato a compimento Un sogno lungo un giorno, pellicola avanguardistica e inizialmente incompresa, tramite la sua casa di produzione, l'American Zoetrope. 26 milioni di budget e appena 600 mila di incasso: il regista fu costretto a vendere i suoi stessi studi per pagare i debiti.

Forte del successo del primo film, Todd Phillipsregista di Jolly 2ha potuto realizzare il sequel in piena libertà, con un controllo completo del taglio finale e su dove svolgere le riprese (qui tutta la storia). Ha potuto lavorare con un grande studio senza scendere a compromessi o senza fare passi indietro rispetto alle proprie idee: a differenza di Coppola o meglio proprio come cinquant'anni fa i registi della New Hollywood (tra cui proprio Coppola) sognavano di fare. 200 milioni di budget, 165 d'incasso ad oggi, circa 150 di probabilità perdite complessive (ma la Warner potrà cercare di recuperare negli anni tali perdite con lo sfruttamento post-cinema).

Alla luce del risultato finale (sia in termini qualitativi che d'incasso) entrambi i film non fanno che riaffermare una verità nota: a meno che tu non sia Stanley Kubrick, non avere un produttore che supervisioni il progetto, che possa dire: “Questo magari no”, è sempre dannoso. Diceva il grande regista RW Fassbinder: “Si è liberi soltanto nelle limitazioni“. Dovrebbe ricordarselo anche chi in passato, lottando contro tutti, aveva creato (almeno) un capolavoro.


Parlare di se stessi, parlare al proprio pubblico

Nel protagonista di MegalopoliCesare Catilina, un architetto visionario che vuole dare forma a un'utopia lottando contro i poteri di una città corrotta, è facile leggerci una totale identificazione di Coppola stesso, in un'ode alla libertà creativa dove la Nuova Roma del film è uno specchio della New York di oggi e della stessa Hollywood. Peccato che il film, nell'urgenza di passare il messaggio, si fermi a questo livello di lettura. Non solo: se Catilina inventa un nuovo materiale per dar forma al suo sogno, Megalolopoli non compie nessun lavoro sul linguaggio o sulla tecnica (se si esclude un accorgimento per coinvolgere il pubblico in sala irripetibile al di fuori del contesto festivaliero). Quello che invece faceva Un sogno lungo un giorno che anche per questo è oggi completamente rivalutato. Chi scrive spera che un uguale destino possa essere riservato in futuro anche a Megalopoli (in tal caso, prego eliminare il presente articolo), ma le basi non sembrano al momento esserci.

Anche dentro Joker: Folie a Deux la dimensione metatestuale soverchia quella narrativa. Il film nel film che non è altro che il primo Burlone, il processo a Arthur Fleck per rendere chiaro che no, gli autori non si identificano con lui né dovrebbero farlo gli spettatori. Concetti ripetuti e sottolineati più volte: tolta questa dimensione, resta un'opera affascinante ma irrisolta. Phillips ha usato le ingenti risorse a disposizione per un'autoriflessione sul mondo dello spettacolo e per parlare direttamente al pubblico del suo stesso film e in fondo di se stesso. Riprendendo gli spunti della nostra recensioneil primo Burlone compiva una rilettura di motivi scorsesiani in un cinecomic che non si professava racconto; il seguito rielabora l'estetica musicale con quella del sottogenere carcerario e processuale per cercare un linguaggio originale, che nella sostanza è solo un mix pasticciato. Le non certo rilevanti riflessioni che emergono (l'evasione di Arthur nel musical come quella del pubblico nel buio della sala) disinnesca la componente più intrigante della storia (la complessa psicologia del protagonista). Un film coraggioso nell'andare contro i suoi stessi fan, così come lo è Megalopoli nel progetto utopico del suo regista. Termini che spesso compaiono nelle recensioni positive di entrambe le opere. Ma del coraggio, in fondo, cosa ce ne facciamo, se poi quest'ultime non funzionano?


La differenza tra Phillips e Coppola (e il nostro augurio a entrambi)

Nell'ottobre 2019, l'arrivo di Burlone fu uno shock per molti anche per come dietro la macchina da presa c'era un regista che prima aveva realizzato solo commedie, tra cui la celebre trilogia di Una notte da leoni, scritta da Craig Mazin. Proprio quel Mazin che pochi mesi prima, coincidenza o meno, aveva alla stregua sorpreso tutti con un prodotto assai lontano dalle corde del demenziale: la serie HBO Chernobyl. Dopo l'uscita nelle sale di Burlonefioccano le opinioni e le recensioni sui social, fioccano arguti tentativi di rintracciare punti di contatto tra una commedia sulle disavventure di tre scapestrati e un film cupo e violento. Soprattutto si ragiona sul concetto di “Autore”, etichetta che il film sfoggia con vanto e che gli garantisce di raggiungere un pubblico che mai avrebbe visto un semplice cinecomic. Stefano Santoli propone l'interessante definizione di “film d'autore senza autore”, ricordando come “Phillips non è un nome a cui è possibile associare una poetica, in ogni caso non drammatico”. Sensazione confermata proprio da Joker: Folie a Deuxin cui il regista non si limita alla citazione di maestri ma cerca di delineare un proprio stile drammatico, fallendo. Non lo si può definire “Autore”, o semmai, lo si può fare nel recinto delle commedie, che speriamo torni presto a fare.

Autore, grande autore, invece, Francis Ford Coppola ciò che rimane sarà sempre. Non basta un'imbarazzante ospitata da Mara Vernier per cancellare lo statuto della sua figura o l'importanza delle pellicole come Apocalypse Now, Il padrino o Dracula di Bram Stoker. Non serve certo stare qui a spiegare perché queste sono dei capolavori. Una cosa però chi scrive ci tiene a suggerire: a meno che tu non sia Kubrick (o Fellini, ma comunque i nomi a cui attingere sono pochi), un inciampo può far solo bene e magari far ricordare l'importanza di avere una figura guida , dei pallet entro cui muoversi. Che però ora, purtroppo, dopo il flop del suo ultimo lavoro, per Coppola sarà ancora più difficile trovare. Ci auguriamo che questo non accada.



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