Hamas senza capo: ostaggi in bilico
Era un mostro. La mente del 7 ottobre. Il nemico numero uno. Ma se è vero che l'uccisione di Yahya Sinwar rappresenta una svolta nella guerra di Israele contro Hamas, è altrettanto vero che l'eliminazione del leader del gruppo significa anche fornteggiare un problema: chi è adesso l'interlocutore di Tel Aviv nella Striscia di Gaza? Un tema chiave, soprattutto per quanto riguarda le trattative per la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi. La sua eliminazione ha creato infatti un vuoto di potere dentro Hamas che apre diversi possibili scenari con esiti incerti e complessi.
Una nuova leadership forte in seno al gruppo o una frammentazione. Di certo l'organizzazione militare e gerarchica che ha contraddistinto Hamas, con battaglioni, brigate e leader riconosciuti non c'è più. Un anno abbondante di guerra ha decimato i comandanti e portato Hamas a operare soprattutto in cellule localizzate che si riferivano, comunque a un leader indiscusso. Quel Sinwar che si è dimostrato intransigente nelle trattative, forte anche della sua storia personale per cui Israele era il nemico e col nemico non si tratta, ad eccezione della ricerca di un salvatocondotto quando ha capito che la situazione si faceva per lui difficile. Un nuovo capo, magari meno radicale, potrebbe invece portare a una fase di rapporti meno difficili, con la possibilità di arrivare davvero a una tregua, se non a una pace, che porti nel contemporaneo alla liberazione dei prigionieri nella mani di Hamas da oltre un anno. Di contro, se il potere di Hamas resterà in mano a gruppi vari di cani sciolti, da una parte in cambio di una pace duratura, potrebbero essere più disposti a disfarsi di quegli ostaggi oramai diventati ingombranti ma sarebbe anche più complesso trattare con più testi. E non si può escludere la voglia di aspiranti capi di accreditarsi con azioni eclatanti forti del «potere» derivato dall'avere quella che deve una merce di scambio preziosa. Come di contro, merce di scambio potrebbe essere la salma di Sinwar, ora in luogo segreto in Israele. Restituirla in cambio della liberazione di un certo numero di persone potrebbe essere un'opzione, anche se con funerali pubblici e cerimonie annesse, si contribuirebbe a esaltare la retorica di celebrare la figura del martire combattente cara ad Hamas che Israele vuole evitare.
Il momento, comunque, sembra decisivo. Non a caso ieri gli aerei israeliani hanno lanciato centinaia di volantini sulla Striscia di Gaza con il corpo del defunto capo Sinwar e un messaggio: «Hamas non governerà più Gaza. Chiunque getti l'arma e consegni gli ostaggi potrà andarsene e vivere in pace», insieme a un codice Qr che rimanda a un canale Telegram. Chiaro il tentativo di spingere il gruppo a cedere su un tema che inevitabilmente resta chiave, per le famiglie dei rapiti in primis, ma anche per la credibilità interna di Netanyahu. Anche ieri le famiglie degli ostaggi sono scesi in strada per manifestare contro il premier e chiedere un accordo, incolpando Bibi di aver affossato ogni possibile dialogo.
«Ora che il leader di Hamas Yahya Sinwar è stato eliminato non ci sono più scuse: è tempo di un accordo!», dicono i manifestanti. Da oggi potrebbe essere più facile. La cosa è drammaticamente più complicata. Il loro destino e quello dell'intero conflitto dipenderà, anche, da quel che si decideranno gli orfani di Sinwar.