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L’Azione cattolica e le sfide del nostro tempo



Mobilità, comunicazione e democrazia. L'Azione cattolica italiana, per il prossimo triennio ha messo a fuoco alcune sfide. «Importanti per noi ma per la Chiesa tutta», sottolinea il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano. Al termine del Convegno che ha visto insieme presidenti e assistenti diocesani e delegazioni regionali, il presidente di Aci parla di «rifioritura», dopo gli anni della pandemia, e di un tempo di «grazia per l'associazione, di grande rigenerazione e di conseguente responsabilità soprattutto dentro la sfida della Chiesa sinodale. È un camminare insieme, ma nella concretezza delle situazioni».

Parlavi della sfida della mobilità. In che senso?

«Nella doppia accettazione della mobilità riferita ai migranti, ma anche della mobilità interna. Nella condizione attuale questo non è solo un limite per la proposta associativa, ma è una condizione concreta cui dobbiamo guardare in senso ampio. Sulla migrazione il Papa ci ha mandato un bel messaggio in cui ci chiede di metterci in ascolto sempre di più promuovendo una cultura dell'accoglienza e dell'integrazione. Sul piano interno la mobilità significa anche necessità di ripensare la proposta formativa in maniera flessibile in maniera tale che ci si possa prendere cura delle persone anche quando queste cambiano residenti per motivi di studio e lavoro. Questo da un lato significa avere gruppi e associazioni che sono sempre più accoglienti, cioè capaci di cogliere, di essere attenti a questi segnali. Della mobilità non dobbiamo solo avere paura, ma dobbiamo vederla come un segno dei tempi che va accolto anche come opportunità. E poi abbiamo messo a fuoco altre due sfide».

E cioè?

«La trasformazione del digitale, il tema di come mettere insieme comunicazione e cultura. Per noi questo significa anche una capacità di narrazione dell'esperienza cristiana, che passa attraverso l'esperienza associativa, che coglie le sfide. Le sfide sono anche quelle dei nuovi mezzi. Per noi questa cosa sta significando anche un po' un ripensamento anche della stampa associativa. Lanceremo una nuova versione del nostro mensile Segno insieme con Avvenire e poi stiamo elaborando una serie di strumenti che, attraverso i social, hanno l'obiettivo di far circolare un po' di più i contenuti che l'associazione propone a vari livelli. Non è solo un problema tecnico di strumenti, di linguaggio, ma c'è una riflessione su come la comunicazione sta cambiando anche la vita associativa. C'è molto bisogno ci sia di ritornare nella concretezza dei gruppi, nella cura delle relazioni che sono la nostra forza e alcuni strumenti in qualche maniera potenziano, arricchiscono, ampliano la vita».

Questo progetto con Avvenire, che è il quotidiano dei vescovi, dice anche di una maggiore collaborazione con la gerarchia?

«La collaborazione tra Azione cattolica e gerarchia è costitutiva dell'associazione. Certo c'è il desiderio di collaborare di più anche per rafforzare uno strumento di comunicazione come quello di Segno. In questo momento sentiamo che Avvenire è un quotidiano che si sta affermando nell'ambito pubblico con la sua capacità di stare su temi caldi dell'agenda pubblica. È capace di tenere insieme uno sguardo sul mondo e uno sguardo sulla Chiesa senza che queste cose siano distinte. Sentiamo questa sensibilità molto vicina. Poi non c'è dubbio che l'Azione cattolica esprima il desiderio di collaborare con i vescovi, con i pastori, a tutti i livelli, non solo sulla comunicazione. E vogliamo vivere questa collaborazione consapevole anche del compito che abbiamo in ordine alla corresponsabilità. Forse è anche quello che ci chiedono i vescovi attraverso il cammino sinodale, cioè di valorizzare particolarmente la capacità di partecipazione, di un protagonismo del laicato in termini di consapevolezza e responsabilità».

E la terza sfida?

«È quella della democrazia, dell'impegno politico e sociale. Sulla scia della Settimana sociale di Trieste e dell'impegno che per certi versi abbiamo animato con alcuni percorsi, penso a quello sugli amministratori che si sono messi in rete, continuiamo a riflettere sulla democrazia. Un tema cruciale per il nostro Paese che incrocia il tema delle riforme e quello della partecipazione. Partecipazione che va vista, in modo sinodale, come partecipazione dei laici nella vita della Chiesa e in quella del Paese. Ci sentiamo impegnati a tenere insieme le due cose che sono come faccia della stessa medaglia. Dal punto di vista organizzativo, inoltre vogliamo lavorare sempre di più sull'unitarietà e sulla formazione. Anche per questo lanceremo un percorso di formazione dei presidenti parrocchiali».

Per il prossimo triennio, e anche per entrare nel clima giubilare avete scelto la figura di Pier Giorgio Frassati. Perché?

,«La scelta di Pier Giorgio Frassati nasce per tanti motivi. Innanzitutto perché, crediamo non casualmente, la vicenda della causa di canonizzazione è arrivata a un punto di approdo proprio in questo tempo. Per noi è provvidenziale riscoprire la figura di Pier Giorgio in questo tempo giubilare in cui il Papa ci mette davanti il ​​tema della speranza di una Chiesa che, mentre al suo interno riscopre la sua natura sinodale, il suo essere chiamata continuamente all'unità, a tenere insieme la vita e la fede, a lavorare, anche sulle differenze, sul pluralismo, allo stesso tempo racconta al mondo una visione positiva, dà un messaggio di speranza che non è generico ottimismo ma è centrato su gesti di amore, di solidarietà, di impegno concreto. Questa è stata anche la vita di Pier Giorgio, un giovane che ha vissuto appieno tutte le dimensioni, dalla formazione, alla spiritualità, alla carità, allo studio, alla politica, all'amicizia, alla socialità, alla famiglia, senza separare ma cercando di tenere, insieme alla luce della fede, tutto. Pier Giorgio ha coltivato una vicinanza personale con il Signore e un'amicizia che è maturata all'interno della comunità cristiana. Un cammino fatto di accompagnamento, collaborazione con i sacerdoti, amicizie spirituali, di un continuo scambio di lettere, di aiuto reciproco nel discernimento delle cose della vita. È una figura di testimone veramente luminoso che intreccia il tema della speranza. E siamo certi che, per l'associazione, ma un po' per tutta la Chiesa, può essere un testimone, un compagno di strada per attraversare questo tempo».





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