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Mike Bongiorno, chi era davvero e che cosa ha rappresentato in Italia


 

Mike Bongiorno, nome d’arte di Michael Nicholas Salvatore, nasce a new York il 26 maggio 1924, il terzo nome, italiano, tradisce le origini della famiglia migrata dalla Sicilia all’America a metà Ottocento. Secondo quanto ricostruito dal Nobiliario di Sicilia 1912-15 «Il nonno paterno, Michelangelo Bongiorno, di origini nobili (il capostipite della famiglia, Landro Bongiorno, vissuto nel XIII secolo era alla corte del re Manfredi di Sicilia con l’appellativo di Gran Scopatore di Corte, ossia maggiordomo personale del re), era emigrato da Mezzojuso in Sicilia, dove aveva una bottega. Suo padre fu un noto avvocato che intraprese anche una positiva carriera politica arrivando a diventare presidente della potente associazione Sons of Italy in America (Figli d’Italia in America) e a candidarsi a sindaco di New York avendo come avversari Fiorello La Guardia e Generoso Pope.

La madre, ultima di dodici figli, apparteneva alla borghesia torinese, in quanto la sua famiglia era proprietaria di una fabbrica produttrice di fanali per auto, fondata nel 1876». La nascita sul suolo americano gli rende la cittadinanza statunitense, lo status della famiglia finché la crisi del 1929 non la travolgerà gli garantisce l’agiatezza, una foto d’epoca lo ritrae bambino, abbigliato come un piccolo lord: occhi chiari e caschetto biondo.


L’educazione in Italia

Mike, che ancora in famiglia tutti chiamano Mickey come Topolino, torna con la madre in Italia a Torino, mentre il padre si adopera per risollevare la situazione economica della famiglia. Ed è lì che cresce Mike, più a lungo del previsto, nel quartiere che oggi ospita la movida di San Salvario, perché nel frattempo i suoi genitori si separano: a Torino va a scuola, al Rosimini e poi all’Alfieri, all’epoca parte del D’Azeglio, fino alla maturità classica, e impara a tifare la Juventus, che non tradirà mai.

Così La Stampa di Torino ne ricorda gli esordi come “galoppino” di redazione: «Luigi Cavallero (giornalista de La Stampa che poi, nel 1949, morì sull’aereo del Toro a Superga) il quale lo convinse a intraprendere il giornalismo. Colleghi lo ricordano galoppino, trombettiere, al telefono dettava i pezzi ai giornali affiliati, lui stesso disse di aver imparato così a parlare al microfono. Polisportivo: fu abile driver di trotto a Vinovo (…), bravo sub, alpinista e sciatore in Val Susa e in Val d’Aosta». Chissà se questa sua abilità al trotto ha avuto un peso nella costruzione del cavallino Michele, personaggio animato, creato dallo studio Bruno Bozzetto, che ha costituito la sigla di Scommettiamo, il primo dei suoi celebri quiz e oggetto del desiderio dei bambini dei primi anni Settanta nella versione pupazzo.

La vita in gioco come staffetta di collegamento tra Alleati e partigiani

  

Certo le sue capacità da alpinista gli tornano utili sul Cervino, che lo ha reso celebre per lo spot di una grappa, la volta in cui il maltempo lo blocca all’improvviso in quota. L’inglese lingua madre è il lasciapassare per i suoi trascorsi di giovane partigiano, staffetta in collegamento con gli alleati, ricordati così dall’Anpi: « Sfollato con la madre sulle Alpi piemontesi, grazie alla sua conoscenza dell’inglese, fu impegnato come staffetta tra le formazioni della Resistenza e gli Alleati, che raggiungeva in Svizzera. Catturato a Cravegna (Novara) durante una di queste sue missioni, Bongiorno, che stava per essere fucilato, si salvò perché gli agenti della Gestapo gli trovarono addosso documenti americani (Sarebbe stato più utile da vivo, nello scambio di prigionieri, ndr.). Dopo sette mesi trascorsi nel carcere di San Vittore, Mike fu destinato alla deportazione in Germania. Nel settembre del 1944 passò per il campo di concentramento di Bolzano di dove, dopo essere stato tenuto in isolamento per un paio di settimane, fu deportato a Reichenau. Nell’inverno il trasferimento nel lager di Spittal, dal quale poté uscire nel gennaio del 1945, grazie a uno scambio di prigionieri. Tornato negli Stati Uniti, dove c’era suo padre, Bongiorno cominciò, a New York, a collaborare alle emissioni radiofoniche in italiano de La voce dell’America. Il lavoro, dal 1946, presso la sede radiofonica del quotidiano Il progresso italo-americano, fu una sorta di trampolino di lancio per la TV di Stato italiana».

A San Vittore incontra Indro Montanelli, compagno di cella, arrestato in clandestinità, dopo essersi messo alle spalle l’adesione al fascismo, mentre cercava di prendere contatto con Beltrami, ufficiale, comandante partigiano in val d’Ossola.


Un’icona nata con la Rai


L’esordio in Tv di Mike avviene il 3 gennaio 1954 il personaggio nasce con la Rai: l’incarico è Arrivi e partenze, una striscia di brevi interviste a stranieri in arrivo e in partenza dalle stazioni italiane. Cominciano lì, quando stenta a riconoscere italiani famosi che gli vengono a tiro, le famose gaffe, di cui quella famosissima  a involontario doppio senso «ahi ahiai signora Longari» è stata in realtà solo una leggenda metropolitana, mai avvenuta. Ma è con i giochi a premi: Scommettiamo, ma soprattutto Rischiatutto e Lascia o raddoppia che Mike Bongiorno diventa di casa nelle case degli italiani e un’icona che va oltre la Tv. Per la prima volta, osserva Davide Tortorella, per anni “notaio” alla Ruota della fortuna, in una delle sue chiacchierate pubbliche,  l’uomo comune diventa protagonista della Tv.

Dal quiz al game show

  

I primi quiz di Mike consacrano Massimo Inardi e la signora Longari, ospiti scelti con cura, ma comuni cittadini che si presentano con materie a loro scelta di cui sanno tutto: domande difficili, di nozionismo puro e minutissimo. Qualcosa che si guarda per ammirare la memoria e l’abilità dei concorrenti, contro i quali non ci si saprebbe cimentare. Concorrente e spettatore sono fin lì pianeti diversi. Secondo Aldo Grasso, nel documentario Storia della Tv l’ora dei quiz disponibile su Raiplay, è la fine di Rischiatutto nel 1974 a segnare il punto di passaggio tra quiz e gameshow. Di lì in poi a partire della Tv commerciale, il gioco televisivo vira su una modalità più abbordabile, in cui contano o la buona sorte, dalla Ruota della fortuna ai pacchi, o una cultura generale a portata di comune mortale. La risposta diventa multipla, il gioco si semplifica, ne sono l’esempio Chi vuol esser milionario e L’eredità: chi guarda non si limita ad assistere, partecipa, compete con il concorrente.

Si capisce che la selezione non mira più solo ai bravissimi stravaganti con una passione monomaniacale che sanno tutto di una cosa, ma a chi sa qualcosa di tutto e bene niente, reclutando anche il mediocre dall’aria curiosa, dal curriculum improbabile che sa niente di tutto che si capisce subito che uscirà dal gioco al primo ostacolo: a fronte dei nuovi concorrenti lo spettatore può gareggiare alla pari con loro e talvolta provare la spocchiosa sensazione di superiorità che davanti al malcapitato che dice una sciocchezza, pensando: «Ma guarda tu, che somaro questo». Che il quiz, ossia il gioco a premi, sia ormai il simbolo del successo televisivo, è un fatto: a provarlo il successo di Indietro tutta, trasmissione cult del 1987, creata da Enzo Arbore, parodia del gioco a premi, in realtà moderno varietà, che si prende gioco della Tv com’è con il suo surreale conduttore Nino Frassica, aperta dalla sigla, intitolata, manco a dirlo: La vita è tutta un quiz.


IL PASSAGGIO ALLA TV COMMERCIALE

Nel frattempo Mike Bongiorno lascia la Rai per Mediaset, quando a fine anni Settanta Silvio Berlusconi si lanciato sul mercato della Tv commerciale il più popolare conduttore su piazza viene coperto d’oro per passare al Biscione. Come ricostruisce Aldo Grasso nella voce dedicata al presentatore sul dizionario biografico Treccani, Mike raccontò così il suo passaggio a Mediaset: “A Gian Antonio Stella sul Corriere della sera (articolo apparso il 9 settembre 2009): «Tra me e me pensavo: per correre un rischio così deve propormi una bella cifra. E mi ero anche fatto due conti: alla Rai, in un anno, mi davano più o meno 26 milioni di lire lorde. […] Mi guarda e improvvisamente mi fa: “Io avrei pensato a 600”. Chiedo io: “Seicento che?” E lui: “Milioni, ovviamente”. Ero così incredulo che gli chiedo ancora: “Oddio, per quanti anni di contratto?”. Mi fa: “Per un solo anno, ovvio. Ma poi potrai arrotondare con le televendite e con gli sponsor”».

La prima trasmissione è I sogni nel cassetto, va la domenica sera su TeleMilano e in contemporanea e in contemporanea su una settantina di Tv locali. Mike sarà a lungo il volto dell’ammiraglia, nel 1987 Mike diventa vicepresidente della Fininvest e nel 1990 vice presidente di Canale 5, porterà al successo Teleflash, Pentathlon e La ruota della fortuna

1994 ANCHE LO SPETTACOLO SCENDE IN CAMPO

  

Il peso specifico, di pubblico, di investimento e di successo diventa peso politico nel 1994 al momento della cosiddetta “discesa in campo”: le Reti di Silvio Berlusconi entrano in campagna elettorale, lo spettacolo ne fa parte e i suoi protagonisti ci mettono la faccia per sostenere il loro impresario. Mike, cui corre voce che sia stato offerto un seggio in Senato rifiutato, darà un generoso sostegno solo di campagna elettorale via Canale 5, Iva Zanicchi più avanti, invece, si candiderà. Miguel Gotor, L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon, Torino, Einaudi, 2019, ricostruisce così quel momento: «La campagna elettorale del 1994 presentò elementi di novità rispetto al passato per l’accesa personalizzazione secondo modelli americani e un evidente squilibrio di mezzi in favore di Berlusconi che schierò a sostegno della propria candidatura il suo impero mediatico e alcuni popolarissimi personaggi televisivi, fra cui Mike Bongiorno, Raimondo Vianello, il mezzobusto Emilio Fede e l’idolo dei teenager Ambra Angiolini. La vittoria arrise al centrodestra con il 42,8 per cento dei voti».


L’ultima fase


La luna di miele Mike-Mediaset durerà fino al 2008, nel 2009, poco prima della morte a 85 anni, avvenuta l’8 settembre, Mike racconterà a Fabio Fazio di essere stato licenziato senza preavviso, scelta che ha attribuito «all’inesperienza di Pier Silvio». Nel suo lungo corso ci sono state le conduzioni ripetute di Sanremo e Miss Italia e un sodalizio ironico e autoironico negli spot e in Viva Radio 2 con Fiorello. Nella vita privata Mike Bongiorno si è sposato tre volte: nel 1948 con Rosalia Maresca (matrimonio dichiarato nullo dall’allora Sacra Rota quattro anni dopo perché lei non era disposta ad avere figli), nel 1968 con Annarita Torsello (da cui si è separato due anni più tardi) e nel 1972 con Daniela Zuccoli, la donna con cui ha condiviso il resto della vita e da cui sono nati i tre figli: Michele Pietro Filippo, Nicolò e Leonardo. Una brutta storia farà sì che Mike continui a fare notizia anche dopo la morte: il 25 gennaio 2011 si scopre che la salma e la bara di Mike sono state trafugate dal cimitero sul lago Maggiore in cui riposa, poi ritrovate 11 mesi dopo a 70 km di distanza. Due persone vengono condannate con sentenza definitiva non per il furto ma per aver tentato un’estorsione.

MIKE Nella cultura italiana

  

A certificare il fatto che Mike ha rappresentato per l’Italia un fenomeno di costume, capace di travalicare i confini dello spettacolo e della Tv, è nientemeno che Umberto Eco che nel gli dedica un saggio nel Diario minimo (1961) intitolato Fenomenologia di Mike Bongiorno. Eco giovane studioso di semiotica si occupa del personaggio (e lo chiarisce), non della persona: di come Bongiorno appare, probabilmente ad arte, non di come è, forse anche nella convinzione che il suo sia un personaggio cucito ad arte. L’esito è comunque urticante al protagonista: ne esce un ritratto caustico, in cui Mike appare come la mediocrità, per niente aurea, ma incarnata: un italiano così medio, da non mettere in imbarazzo nessuno per confronto.

«L’analisi di Eco è acuta, intelligente, spietata, e – cosa rara e difficile, quando si scrive – riesce a far sorridere. È anche un’analisi giusta?», si è chiesto in tempi recenti Claudio Giunta, ordinario di Letteratura italiana all’università di Torino nel suo blog. Ecco una parte della sua risposta: «Viene da domandarsi se un mezzo nuovo come la televisione, nell’Italia del dopoguerra, non dovesse essere adoperato precisamente come ha fatto Bongiorno, non soltanto per avere degli spettatori ma anche per fornire quella elementarissima educazione di base che molti italiani non possedevano. Insomma: sbagliava Mike Bongiorno, con le sue ovvie, banali trasmissioni per l’everyman, l’uomo qualunque; oppure sbagliava Eco, prendendo per “mediocrità” quella che era invece una suprema capacità di farsi ascoltare anche dalle persone più semplici e ignoranti, dai non-superman?». 

Giunta osserva che quasi tutti diedero ragione a Eco, negli anni Sessanta e Settanta, ma «oggi, a distanza di decenni, forse il nostro giudizio su chi aveva ragione e chi torto è meno sicuro».

E infatti non per caso sono in tempi recenti, in dibattiti pubblici, i presidenti dell’Accademia della Crusca come Francesco Sabatini e Paolo D’Achille a riconoscere a Mike, insieme con la Tv, il merito di aver contribuito a dare una lingua media comune all’Italia degli anni Cinquanta-Sessanta, ancora divisa nella vita quotidiana in tanti dialetti.





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