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Kalambay, storia di uno che combatteva già prima di salire sul ring


Dagli incontri clandestini al professionismo, da Lubumbashi all'Italia, da Sumbu a Patrizio in onore di Oliva

Dici Zaire ea noi italiani vengono in mente due cose, entrambe risalenti a mezzo secolo fa: la prima è ovviamente Ali-Foreman a Kinshasa, rito planetario officiato da Don King sotto il patrocinio di Mobutu, come a dire che Mefistofele al confronto è la piccola fiammiferi; la seconda quello strano e incomprensibile rinvio di un difensore della nazionale zairese durante la partita contro il Brasile al Mondiale tedesco del '74, quando Rivelino stava per battere un calcio di punizione. Per anni abbiamo riso di quei fotogrammi bizzarri, da “Mai dire gol”, salvo poi scoprire la drammatica realtà che c'era dietro. Non è giusto che ci dimentichiamo di una terza cosa e di lui, ma forse dipende dal fatto che quando è nato, a Lubumbashi, il Paese si chiamava ancora Congo Belga, come gli aguzzini europei che per troppo tempo avevano insanguinato quei territori. O, anche, dal fatto che da quando aveva ventotto anni è diventato italiano. Felicemente italiano, molto più di tanti altri.



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