Istruzione

Crepet: “Il registro elettronico viola i diritti basilari dei figli, come quello di andare a scuola impreparati assumendosene la responsabilità” – Orizzonte Scuola Notizie


Il registro elettronico? E' un “patto patto scellerato che non tiene conto in nessun modo dell'interesse dello studente”. Paolo Crepet è molto categorico sull'uso a scuola, dalla primaria alla maturità, del registro elettronico. L'applicazione digitale che negli anni ha sostituito il registro cartaceo è alla portata di tutti, non solo degli studenti interessati, ma anche dei familiari e dei parenti dell'alunno che siano in possesso delle credenziali.

“Mi sono chiesto tante volte chi ha inventato il registro elettronico”, s'interroga lo psichiatra e sociologo che tutti accorrono a vedere e ad ascoltare nei teatri per la presentazione dei suoi libri fortunati. L'ultimo, da cui è tratto il quesito provocatorio sul registro elettronico, è intitolato “Mordere il cielo. Dove sono finite le nostre emozioni”, Mondadori, 289 pag. E il responso al quesito? “Mi sembrano, quelli che lavorano nella scuola – vi si legge – che è il frutto di un compromesso tra esigenze genitoriali (voglio sapere dove è mio figlio alle 10.23) e desiderio di spogliazione da ogni possibile colpa da parte degli insegnanti, (se uno studente non viene a scuola, noi decliniamo qualsiasi responsabilità.

Per Crepet – che dedica alla scuola, agli educatori, ai genitori, ai giovani buona parte del suo libro, e che affronta temi complessi e attuali con una sofferenza genuina, palpabile, mista a una rassegnazione che non esclude mai la speranza – la vita dello studente è stata investita in modo deleterio dall'introduzione del registro elettronico. In effetti, ed è sotto gli occhi di tutti, i momenti che scandiscono l'esistenza quotidiana dell'alunno sono monitorabili, attraverso uno smartphone, dai genitori e dagli altri familiari. Non ci sono più segreti, la discrezione si fa strabenedire, il rapporto con gli insegnanti, che dovrebbe essere esclusivo, quasi mistico, diventa aperto: quella vita, riprende Crepet nel suo libro, “non ha più segreti, è sotto l'occhio digitale ”. Tutti “vogliono e devono sapere tutto, anche a costo di ignorare i diritti basilari dei figli: quello di andare a scuola impreparati assumendosene la responsabilità, di pensare che quel luogo appartiene a loro e non all'invasione familiare (che, in automatico, va In spento quando si tratta di farli uscire con gli amici alla sera). Così si accresce solo il senso di irresponsabilità dei ragazzi e delle ragazze, perché il registro elettronico serve soprattutto a questo: a non crescere, a vivere una quotidianità sempre sotto tutela, perennemente segnalati, trasformati in un bip che appare in uno schermo”. Figli monitorati minuto per minuto, da un lato ma, in piena contraddizione, ignorati quando sono fuori alle tre di notte e senza chiedersi dove siano e che cosa stanno facendo.

Quando anni orsono il registro elettronico fu introdotto, molti docenti, durante le riunioni collegiali che all'epoca erano state chiamate a deliberare su qualcosa che poi sarebbe divenuto obbligatorio, si opponeva formalmente. Le ragioni della contestazione erano varie, talvolta anche strumentali, ma non mancò chi vi vedeva proprio quel che oggi Crepet denuncia: uno strumento di deresponsabilizzazione dello studente, di invadenza, di una violazione della privacy tale da minare, secondo lui, il processo di crescita . Quello stesso processo che, mutatis mutandis, si materializza ogni volta che i ragazzi riescono ad allontanarsi dalla sfera di controllo dei genitori: un tempo si scelgono posti lontani dalla città di residenza, dove proseguire gli studi universitari proprio per affrancarsi dalla famiglia (avete mai visto fruttificare un albero da frutta se è stato piantato sotto una quercia? si chiede Crepet nel libro), per riuscire a vivere di vita propria trovando presto la propria identità esistenziale. Per vari motivi, specie per gli alti costi degli affitti e per tutti gli altri che gravano sulla famiglia, quest'esperienza è sempre meno frequente e se ne vedono i risultati sul piano personale e sociale.

Il registro elettronico da parte sua è utilissimo sul piano burocratico, poiché semplifica molte tra le incombenze che gravano sugli insegnanti e sulla scuola ma i costi sulla crescita personale dello studente sono evidenti. “Ci avete tolto la gioia e l'emozione di poter dire alla mia mamma o al mio papà che ho preso un 8, loro lo sanno prima di me”, confessò una studentessa di seconda superiore anni orsono, subito dopo l'introduzione del registro elettronico nella sua scuola”. In quel pensiero, esplicitato con desolazione, c'era la descrizione di una svolta epocale che avrebbe inciso sull'antropologia degli anni a venire. L'introduzione del registro elettronico fa il paio in qualche modo con la decisione recente di non rendere più pubblici i risultati finali relativi al profitto degli studenti, i famosi quadri di giugno, con i voti, con i debiti da recuperare, con le promozioni e con le bocciature, se non quelli legati all'esame di Stato finale, la maturità. Nell'ottica della dematerializzazioneda un lato, e per l'esigenza di tutela della privacy degli studenti dall'altro, è caduto un altro strumento di responsabilità sociale degli studenti di fronte ai propri insuccessi: i voti, e solo i propri, sono consultabili nel segreto del proprio registro elettronico, nessuna responsabilità nei confronti della collettività, nessun confronto con la valutazione degli altri alunni, dei propri compagni. Il noi della comunità scolastica all'improvviso cede al solipsismo.

Tornando al libro di Crepet, lo psichiatra mette in relazione il registro elettronico con “l'idea di geolocalizzare i propri figli, conoscerli non perché si discute con loro, ci si interroga a vicenda, si litiga, si piange si ride insieme, ma semplicemente perché si sa dove sono, in piazza, bar, parco. A molti genitori piace sapere esattamente dove sono, un puntino lì segnala sui loro schermi digitali, ma ignorano se sono felici o se per qualche motivo hanno smesso di esserlo. Una bizzarria, un'imbarazzante contraddizione. Come se le relazioni familiari e il rapporto con la scuola si fossero materializzati in un radar acceso per poche ore al giorno, proprio quelle dove dovrebbe prevalere l'autonomia, e spenta quando invece ci si dovrebbe sentire consolati da una presenza, anche se a distanza ”. Per altri versi, si legge ancora tra le pagine di un volume che qualunque genitore dovrebbe leggere, “si sta facendo strada un inquietante antagonismo contro il diritto universale di poter trasgredire che è un modo sano di crescere sapendo che non tutto è lecito”. Come “potrebbe mai crescere una generazione se capisce troppo presto di poter muovere ogni passo nella bambagia?”

Non è tenero con i genitori, Crepet. Non con il genitore giardinierené con il servilismo genitoriale: “Se un bimbo è in un parco a giocare e il sole sta calando – ipotizza Crepet – cosa devono fare mamma o papà? I vituperati genitori pre-boomer avrebbero agito con determinazione spiegando che era ora di rientrare a casa e, se il piccolo avesse iniziato a fare le bizze, avrebbero minacciato di non farlo tornare su quel prato l'indomani”. Il genitore-giardiniere, invece, “si dovrà sedere su quella panchina e intavolare una discussione paritetica, tipo Assemblea Generale dell'Onu, con tanto di ordine del giorno…”.

Si rivolge ai genitori, Crepet. Con fermezza, con passione, con empatia Crepet, invitandoli a lascar andare i figli, a non ricattarli con i sensi di colpa. E lo fa sottolineando l'importanza dell''allontanarsi dal molo sicuro”. Molti “hanno saputo educare ed amare, ma in pochi quanto sia necessaria la giusta distanza, imparare a lasciarsi: è questo che molti genitori non sono in grado di insegnare ai propri figli. Mancarsi per un po', ovvero amarsi sul serio”.

Ma è un libro che farebbe bene anche ai docenti. “I veri maestri – si legge in Mordere il cielo – non cercano mai allievi remissivi e troppo disciplinati, tantomeno sempre plaudenti, ma vogliono la loro crescita, la loro indipendenza, la loro autonomia”



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