Valencia, ecatombe di dispersi. “Non sappiamo quanti siano”
Ad Alfafar, zona sud dell'area metropolitana di Valencia, Juliana piange. Le telecamere riprendono lacrime impietose e angoscia. La giovane baby sitter si è salvata perché abita al terzo piano di una palazzina di recente costruzione, ma ha visto l'orrore dalle finestre, senza poter fare nulla. Invita i soccorritori a fare più in fretta possibile, «perché solo tra i miei vicini non ho notizie di una ventina di persone. L'acqua se li è portati via ei morti non meritano un ulteriore strazio». Al momento le vittime accertate sono 158, ma come ha spiegato il comandante dei bombardieri Avelino Mascarell «siamo riusciti a ottenere solo quelle che affioravano dalle acque, l'inferno è in profondità».
Un inferno non ancora del sanno tutto dimensionato, perché le autorità non quanti siano i cadaveri in trappolati nelle case, nelle auto o sotto due metri di fango e detriti.
Ieri la Comunidad Valenciana si è svegliata senza di fatto diventando mai addormentata la sera prima. I lavori dei soccorritori continuano a ritmo incessante. Re Felipe VI li ha definiti héroes, e ha chiesto al premier Sanchez di inviare nell'epicentro della catastrofe ambientale oltre all'esercito già presente anche i minatori asturiani, l'èlite per quanto riguarda ricerche disperate. In sostegno sono giunti sul luogo vigili del fuoco da Francia e Portogallo. Chi si spacca la schiena per salvare il salvabile affronta l'apocalisse con l'immagine di Lourdes e della piccola Angeline (4 mesi) nel cuore. L'auto su cui viaggiavano è stata spazzata via nel quartiere di Paiporta, sotto lo sguardo impotente di papà Antonio. I corpi sono stati recuperati in serata.
È Angeline il manifesto involontario e straziante della tragedia levantina.
La macchina dei soccorsi si sta occupando di ricollocare e offrire un tetto ai circa 120mila sfollati, mentre la polizia prova in ogni modo a sedare atti di sciacallaggio nei centri commerciali (41 le persone arrestate). Qualche linea elettrica è stata ripristinata, ma strade, autostrade e ferrovie rimangono bloccate. Sabato a Valencia avrebbe dovuto giocare il Real di Ancelotti, ma la gara è stata annullata. Il ciclone Dana se ne infischia dei lutti e dei disagi che ha generato e porta venti e piogge violente anche a Castellon ea Barcellona, minacciando ancora una volta l'Andalucia fino a Ceuta, enclave iberica in Marocco.
«Ringrazio tutti i soccorritori nella ricerca dei sopravvissuti e in aiuto delle persone, ma l'emergenza Dana non è finita» ha detto il premier Sanchez, in visita nelle zone colpite.
Al momento l'esecutivo ha stanziato i primi 250 milioni di euro per le necessità impellenti, ma serviranno cifre da capogiro per rimettere in sesto una regione che, immagini satellitari alla mano, ha persino perso i tratti un tempo riconoscibili della sua fisionomia.
Nonostante il lutto, il gioco politico delle parti procede a spron battuto. Il governatore della Comunidad, Carlos Mazón, si difende dalle accuse di aver sottovalutato la portata dell'evento: «Abbiamo avvisato della situazione già domenica», e scarica le responsabilità sul 112, «le allerte sono state gestite da loro».
Il leader del PP all'opposizione,
Alberto Núñez Feijóo, non ha dubbi: «Sarà il governo a dover rispondere della strage». Intanto l'Aemet, il centro metereologico nazionale, rincara la dose: «Vi abbiamo avvisato una settimana prima su cosa sarebbe accaduto».