A Baalbek, sotto i colpi israeliani: 41 morti, bombe vicino al tempio romano
ROBERTO BONGIORNI
Dal nostro inviato BAALBEK (LIBANO)
Non c'è quasi il tempo di capire. Un boato sordo, quasi cupo, apparentemente inoffensivo, ed ecco che a poche centinaia di metri si leva, tra le palazzine a tre piani, la colonna di fumo e polvere. Ocra come la terra di questa valle. Come i pendii aridi delle colline che circondano la città. Come le antiche mura arabe proprio sotto di noi. Ci troviamo su una collinetta di macerie a Baalbek. Quel che resta di tre case colpite quattro giorni fa dai caccia israeliani, proprio sul perimetro dell'area protetta. Il cuore del sito archeologico di Baalbek, il più conservato di tutto il Medio Oriente, dista appena 200-300 metri in linea d'aria. Se ci si arrampica si scorgono le altissime colonne del Tempio di Giove.
È vicino al bombardamento. Segno che l'esercito israeliano, pur di eliminare la leadership di Hezbollah, non intende fermarsi davanti a nulla. Nemmeno davanti ai simboli della storia, patrimonio dell'UNESCO. La paura che l'onda d'urto provocata dallo spostamento d'aria, e ancora di più le vibrazioni, possono arrecare danni irreparabili a vestigia come il santuario di Bacco non è infondata. Per i vertici dell'esercito israeliano, i membri di Hezbollah da eliminare dal cielo – in gergo militare gli “obiettivi” – vengono prima. I danni collaterali – i civili uccisi in modo “incidentale” – vengono dopo. Lo testimoniano questa casa ridotta a un cumulo di blocchi di cemento da cui sbucano pantofole e vestiti in mezzo ai fili di ferro aggrovigliati. Fanno parte di un complesso di case costruito attorno al sito. «Abito qui, a 20 metri. Ricordo di aver sentito solo una pressione che mi schiacciava il torace e mi sbalzava», ci racconta Abdu Amhaz. «Questo è un posto sicuro, quattro giorni fa hanno bombardato perché qualcuno è arrivato qui. Non sapevamo chi fosse». Quel qualcuno si chiamava, Ali al Nemar. Era un comandante delle milizie di Hezbollah. Si era nascosto qui. Pensando di essere sicuro in mezzo ai civili rimasti. Confidando, soprattutto, nella protezione della storia, delle rovine archeologiche. Invano. È stato ucciso, in modo chirurgico, insieme a quattro altre persone. Qui, è zona rossa. Sotto ordine di evacuazione. Chi rimane, rischiando la vita. E ieri sotto le bombe sono rimaste 41 persone. Baalbek, 100mila abitanti prima della guerra, è la capitale della Valle della Bekaa. Il Regno di Hezbollah. Zona rossa lo è da mercoledì. Insieme ad alcuni villaggi di questa Valle lunga 120 km che a oriente guarda alla Siria. Mai in questa guerra si era assistito ad un ordine di evacuazione di queste dimensioni.
Se ne sono andati via più di 60mila. In poche ore. Che si aggiungeranno al fiume di sfollati riversatosi nelle grandi città, ma anche nei villaggi abbarbicati sulle montagne. Gli sfollati sarebbero già 1,3 milioni su circa cinque milioni di libanesi. È una guerra strana quella che viene combattuta in questa valle. Non vi sono truppe di terra, scontri a fuoco ravvicinati, carri armati o tiri guerriglieri pesanti, come sta avvenendo da un mese nelle regioni meridionali del Libano.