I consigli di Giacomo Leone per correre bene la Maratona di New York
Ultimo italiano a vincerla, ecco i suggerimenti dell'ex top runner per i 2.500 italiani al via: “Non copritevi troppo e non dimenticatevi di bere ai ristori”
Ventotto anni dalla magica vittoria, ultimo italiano (in campo maschile) e ultimo europeo ad avere vinto la maratona di New York. Giacomo Leone ci racconta la vittoria inaspettata, arrivata al culmine di uno strepitoso stato di forma, in un giorno perfetto dove “tutto sembra andarti bene”.
Una major specialissima da cui l'ex top atleta pugliese non si è più separato, visto che ogni anno vola nella Grande Mela per accompagnare un gruppo di maratoneti, per conto di un tour operator italiano. Il suo compito è, nei giorni pre maratona, portare a correre i runner a Central Parkaccompagnarli sul traguardo (già allestito da giorni), per fare assaporare un po' di quell'emozione che vivranno domenica. E naturalmente dare loro consigli per non sbagliare in questo importante giorno, alcuni dei quali ce li siamo fatti svelare.
I consigli di Giacomo Leone per la Maratona di New York
—
L'incredibile vittoria di Giacomo Leone è avvenuta nel 1996poi c'è stata quella di Franca Fiacconi al femminile nel 1998. È passato molto tempo e la domanda che sorge spontanea è se quest'anno resterà il predominio africano o tornerà al successo un europeo.
Leone, in questa edizione che cosa dobbiamo aspettare?
“Si continuerà sulla stessa scia, non cambierà nulla. È un film già visto ormai”.
Torniamo allora al '96 quando vinse, se lo aspettava?
“Assolutamente no. In quel periodo ero in grande forma, avevo fatto ottimi allenamenti, mi sentivo molto bene. Un mese prima si erano tenuti i Mondiali di Mezza Maratona, Stefano Baldini aveva vinto e io chiusi nono. A New York c'era gente fortissima e se mi fossi piazzato nei primi dieci sarebbe stato già un successo. E invece… Succede che ti alzi alla mattina e tutto ti va bene, qualsiasi cosa tu decida di fare. Avrei potuto correre anche in retro running e comunque avrei vinto”.
“Diciamo che la maratona si era risolta negli ultimi 10-15 km. Eravamo rimasti in quattro, poi si era staccato un atleta. Mi dico: “Arrivo terzo”. Alla successiva salitella a Central Park si staccò un altro maratoneta. Penso: “Che bello, sono secondo”. A quel punto mancano due chilometri e il mio ritorno solo al comando. E ho una paura immensa. Incredibile. Ricordo che si avvicinò Gianni Demadonna (manager di tanti fortissimi atleti ndr) e mi dice: “Ti rendi conto che hai vinto la maratona di New York?”. Risposi: 'Sì, e quindi?'. Come se fosse la gara della parrocchia. Ci misi del tempo a metabolizzare ea realizzare ciò che avevo fatto”.
Quel giorno era in una sorta di stato di grazia.
“Sì, avevo la consapevolezza che sarebbe stata la mia grande occasione. Mi sentivo proprio bene fisicamente quella mattina, ero rilassato e non puntavo alla vittoria”.
Non aveva quella tensione che si porta dietro chi sa di avere tutti i riflettori puntati addosso.
“Esatto, ero davvero tranquillo. Per questo poi ero incredulo, anche se bisogna ammettere che, dal '95 al 2001, corsi sempre sotto le 2 ore e 10 minuti. Una vittoria che non è stata un caso, ma è arrivata in un momento in cui allenamenti importanti stavano dando i suoi frutti”.
Ricorda che cosa aveva mangiato la sera prima della vittoria?
“All'epoca, sulla Columbus Circle, c'era un ristorante gestito da un italiano dove mangiai un ottimo piatto di spaghetti alla chitarra con il pomodoro fresco”.
“Tè e biscotti che portai dall'Italia. Gli atleti sono molto superstiziosi e dovevo replicare esattamente ciò che mangiavo in Italia. Non solista. Anche le scarpe dovevano avere un'allacciatura particolare…”.
C'è qualche aneddoto che ricorda di quel periodo d'oro?
“Come una corsa può cambiarti la vita: all'andata viaggiai in classe economica, al ritorno in business”. E il premio?
“Un piatto in argento di Tiffany con il disegno di tutto il percorso. E il mio nome e la prestazione cronometrica incisi sopra”.
Un premio che terrà ben in vista a casa.
“A casa mia non troverai mai un trofeo esposto. Ho messo tutto in una stanza un po' defilata. Per quanto riguarda i pettorali, credo di avere tenuto solo quello della maratona di New York, il numero 12”.
È vero che dopo la vittoria incontrò il sindaco di New York?
“Sì, all'epoca era Rudolf Giuliani. Andammo a colazione e poi mi consegnò, come cittadino onorario, la chiave della città. Una chiave grande, dorata, racchiusa dentro una scatola”.
Nel 1999 corse nuovamente la maratona di New York.
“Sì, arrivai quarto per 20 secondi e mi misi a piangere perché pensavo di vincere. Ma quando hai troppa sicurezza…”.
Ti piacerebbe partecipare ad un nuovo?
“Magari fra due anni, quando saranno passati 30 anni dalla mia vittoria. Mi piacerebbe. Ma senza pensare al crono, correndo in 4 ore, 4 ore e 30 minuti”.
i consigli per i maratoneti
—
Passiamo ora alle informazioni utili per chi correrà domenica.
“Domenica la temperatura dovrebbe essere più alta del solito, quindi bisognerà non coprirsi troppo e soprattutto occorrerà non dimenticarsi di bere ai ristori. E poi consiglio di essere prudenti, di ascoltarsi, di non cercare di fare il super record personale perché è un percorso abbastanza impegnativo, con tanti saliscendi. Meglio divertirsi e godersela perché è una maratona ricca di emozioni”.
Parlando di percorso, qual è il punto più critico?
“Forse il Queensboro bridge, al 24° chilometro, perché corri tre chilometri sul ponte, senza pubblico”.
Poi arrivi sulla First Avenue con tanto tifo, ma la strada si presenta ondulata.
“La First Avenue non scherza, è un continuo leggero saliscendi. Del resto Manhattan significa isola delle colline. Importante è non lasciarsi prendere dall'entusiasmo iniziale perché ciò che guadagni nei primi chilometri lo perdi moltiplicato per due, o per tre, se dovessi andare in crisi”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA