Il Canada e le accuse al delfino di Modi: è il mandante dell’omicidio del leader sikh
Martedì, nel corso di un'audizione parlamentare, la Nsa Nathalie Drouin ha riferito che nel corso del faccia a faccia sarebbero state presentate le prove che collegherebbero agenti e diplomatici indiani all'omicidio del leader separatista. Durante l'incontro, secondo la Drouin, le due parti avrebbero concordato di affrontare la questione in maniera discreta. «Invece il giorno successivo il governo indiano ha scelto di non rispettare il nostro accordo, tornando a diffondere la falsa narrazione secondo cui il Canada non avrebbe portato alcuna prova a sostegno delle sue accuse», ha detto Drouin. In risposta all'iniziativa indiana, la polizia canadese ha indetto una conferenza stampa in cui ha accusato i sei diplomatici di complicità nell'omicidio e contestualmente Ottawa ne ha decretato l'espulsione.
Un ministro potente e controverso
Il ministro dell'Interno Amit Shah è uno dei volti più noti del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito nazionalista indù al potere da oltre un decennio, e non è nuovo ad accuse gravi come quelle mosse dal governo canadese. Nel 2005, quando era un ministro dello Stato indiano del Gujarat, venne ucciso con l'accusa di essere il mandante dell'omicidio di un criminale comune (e di sua moglie) che venne spacciato come un terrorista islamico intenzionato a uccidere l'allora capo ministro dello Stato, Narendra Modi.
Shah, che ha trascorso tre mesi in carcere e per oltre due anni non ha potuto mettere piede in Gujarat, ha sempre negato ogni responsabilità e nel 2014, quando Modi è diventato primo ministro, un tribunale speciale del Central Bureau of Investigation ha chiuso il caso , giudicandolo innocente.
La diaspora dei separatisti
Il movimento separatista sikh al centro della vicenda ha la peculiarità di essere più popolare tra gli indiani della diaspora che non tra quelli che continuano a vivere in India, dove il tema del Khalistan è di fatto assente da anni dall'agenda politica. L'epoca dei confronti più drammatici tra indipendentisti sikh e governo centrale risale ad alcuni decenni fa ed è culminata nel 1984 con la sanguinosa presa, da parte dell'esercito, del Golden Temple di Amritsar, un luogo di culto che era stato trasformato in una roccaforte dei secessionisti.
L'operazione Blue Star costò la vita a centinaia, forse migliaia, di militanti e semplici pellegrini e segnò il destino del primo ministro Indira Gandhi, che pochi mesi più tardi venne assassinato dalle sue guardie del corpo sikh. L'assassinio del premier scatenò uno spaventoso pogrom in cui vennero massacrati migliaia di membri della minoranza religiosa. Le stragi – di cui si resero complici anche elementi del governo e dell'Indian National Congress, il partito dei Gandhi – si consumarono in diverse città dell'India, e in particolare a Delhi.