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Il Dirigente può negare un permesso per motivi personali e familiari? La UIL chiede all'ARAN una convocazione delle parti per ribadire il diritto – Orizzonte Scuola Notizie


Tutto parte da una sentenza della Corte d'Appello di Milano risalente al 7 marzo del 2018 che ha acceso un dibattito su una procedura che fino allo scorso settembre era data per assodata: il Dirigente non può negare il permesso.

Una prassi che è stata messa in dubbio dalla sentenza, e confermato dalla Cassazione, a seguito di un ricorso di un docente che si era visto negare un permesso retribuito, sostenendo che questo doveva essere legato ad “un motivo idoneo a giustificare l'indisponibilità a rendere la prestazione”, che doveva essere “adeguatamente specificato”. e che il dirigente al quale è rimessa la concessione abbia il potere di valutarne l'opportunità sulla base di un giudizio di bilanciamento delle contrapposte esigenze”.

La questione oggi è oggetto di ampia discussione e, scrive il sindacato UIL in una lettera inviata all'ARAN, “investe il diritto del personale docente di poter usufruire delle giornate di permesso per motivi personali o familiari ai sensi dell'art. 15 comma 2 – CCNL Scuola”.

“Sostanzialmente, – continua la UIL – viene affermato che dal sistema normativo si evince, in modo del tutto chiaro (sic!), che esiste una discrezionalità del dirigente scolastico nel concedere o meno i permessi richiesti e, quindi, di negarli laddove essi non essere ritenuti opportuni.”

Le critiche giungono anche al tema legato al contenuto delle motivazioni necessarie, “o meglio adeguatamente articolate, per esercitare il diritto previsto dalla norma” e al punto di vista della Cassazione che ritiene corretta la discrezionalità esercitata dal Dirigente Scolastico “che finisce di ridurre un “diritto ”, rivendicato dalle parti sociali all'interno della Contrattazione Collettiva, ad una mera aspettativa condizionata tanto da una specificità di motivazioni sottese, tanto da una discrezionalità (non meglio qualificata) da parte del dirigente” stesso.

“Discrezionalità che da sempre è stata esclusa – scrive il sindacato – anche in diversi pareri resi dall'Aran ove viene affermato: 'In ogni caso i motivi addotti dal lavoratore non sono soggetti alla valutazione del dirigente scolastico. Infatti, la clausola prevede genericamente che tali permessi possono essere fruiti “per motivi personali e familiari” consentendo, quindi, a ciascun dipendente, di individuare le situazioni soggettive o le esigenze di carattere personale o familiare ritenute più opportune ai fini del ricorso a tale particolare tutela contrattuale'”.

“A nostro avviso, – continua la lettera – tanto la Corte di Appello di Milano quanto la Cassazione hanno interpretato le norme contrattuali in modo difforme volontà dalla contrattuale delle parti, difatti, se è vero che alla Cassazione è riconosciuto un potere nomofilattico cioè di interpretazione delle norme di legge, in questo caso siamo in presenza di norme che attengono alla Contrattazione Collettiva, in una sfera privatistica del rapporto di lavoro anche nell'ambito del pubblico impiego”.

Il sindacato non ha dubbi, “siamo in presenza di una volontà “privata” delle parti contraenti di voler disciplinare un “diritto” contrattualmente riconosciuto che non prevede e non deve prevedere un ambito di discrezionalità in capo al datore di lavoro. È in questa direzione che va ricercata la soluzione all'intervento della Suprema Corte”.

La UIL Scuola Rua, pertanto, ha inoltrato una motivata richiesta all'ARAN affinché venga specificata e chiarita la portata della norma contrattuale stabilendo come “il diritto” disciplinato dall'art. 15 del CCNL richiamato “non venga declassato a mera aspettativa ma che venga ribadita con chiarezza la sua forza cogente e vincolante per il dirigente scolastico potendo il datore di lavoro dettare criteri e modalità di presentazione dell'istanza, ma non associarla ad un ambito di discrezionalità che , in questo caso, deve essere chiaramente escluso dall'accordo contrattuale delle parti e ribadito nella norma che regola e disciplina il rapporto di lavoro”.



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