La Berlino ebraica prima del diluvio – Libri – Un libro al giorno – Ansa.it
(di Massimo Lomonaco) GABRIELE TERGIT, 'BERLINO, ADDIO' (Einaudi; pp.755, 23 euro) Leggere Tergit (al secolo Elise Hirschmann, 1894-1982)è avere uno spaccato della dell'Europa della parte iniziale del Novecento. In particolare della comunità ebraica tedesca prima che venisse spazzata via dalla Shoah. Tergit è una scrittrice superba, attentissima alle persone, alle atmosfere, al quadro sociale di un'epoca, ma anche alle manie e alle illusioni di gente quasi mai consapevole di essere sull'orlo dell'abisso. E forse non potrebbe essere altrimenti. Già nel libro 'Gli Effinger', Tergit – che era giornalista del 'Berliner Tageblatt'- aveva raccontato la saga di una famiglia che dal nulla crea una grande fortuna. Un potente ritratto – da prima della Grande Guerra – di uomini determinati a costruirsi un futuro lontano dal ghetto ma destinato, anche in questo caso, ad infrangersi contro la persecuzione anti ebraica. Se per qualcuno quel romanzo-fiume richiama i Buddenbrook di Thomas Mann, per altri è più vicino ai gradi scrittori dell'Ottocento. In 'Berlino, addio' (la virgola impone un giusto spazio emotivo) è invece la volta di 5 famiglie della capitale tedesca (da est a ovest, all'alta società). Tutte alle prese con il progressivo avanzare del nazismo in uno stillicidio di fatti e notizie sempre peggiori e con quanto porterà poi il dopoguerra. Il romanzo in lingua originale è intitolato 'So war's eben' (letteralmente, 'Le cose andavano proprio così') e, secondo la sua autrice, doveva avere lo scopo di non disperdere la memoria. “Quel che mi auguro – disse in seguito, come citato nella postfazione di Nicole Henneberg – è che tutti gli ebrei tedeschi dicano: così eravamo, è così che abbiamo vissuto tra il 1878 e il 1939. E che mettono questo libro nelle mani dei figli con le parole: affinchè saperete come era”. E non è un caso che il romanzo si apra con un tè per signore della borghesia di fine Ottocento nella calma imperiale tedesca. Prima che all'orizzonte si affacci l'iceberg che travolgerà tutto, come accadde per il Titanic considerato inaffondabile. Una descrizione così precisa, e al tempo stesso sofisticata, da poter percepire quasi il tintinnio delle tazze o lo scivolare dello chiffon dei vestiti delle dame. 'Berlino, addio' è un romanzo altamente evocativo, talmente accurato da sfidare ogni possibile riproduzione cinematografica. Invece sarebbe giusto che arrivasse sul grande schermo. Tergit dopo la guerra restò legata alla Germania ma sempre con grande attenzione. Tesa, ogni volta, a scoprire nel Paese di origine – diviso oramai tra est e ovest – il possibile riprodursi di quei segni che aveva visto negli anni '30 e che nel romanzo sono riprodotti magistralmente nella narrazione della famiglia nazista dei von Rumke. “Questo romanzo – chiosa Henneberg – non andrebbe letto solo come testamento spirituale reso in forma di racconto, ma anche come una sorta di Kaddish, una preghiera per i tanti morti in nome dei quali i suoi personaggi parlano”.
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