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«Ripensare il territorio è l’unica via per scampare alle alluvioni»


Giulio Boccaletti, 50 anni, , direttore scientifico del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti

490 millimetri d'acqua, la pioggia di un anno, caduta in sole otto ore: negli ultimi cento anni in Spagna non si era mai vista un'alluvione come quella che ha colpito Valencia negli scorsi giorni, anche se nel nostro continente eventi di questo tipo sono sempre più frequenti: negli ultimi 30 anni – si legge in una risoluzione del Parlamento europeo dello scorso settembre – le inondazioni in Europa hanno colpito 5,5 milioni di persone, causando quasi 3.000 vittime e oltre 170 miliardi di euro di danni economici. Fenomeni estremi o ormai “ordinari”? Ne parliamo con Giulio Boccaletti, direttore scientifico del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici, che da anni si occupa di crisi climatica e sul tema ha scritto, recentemente, due libri: Siccità. Un paese alla frontiera del clima (Mondadori, 2021) e Acqua: una biografia (Mondadori, 2021).
Da Valencia a Barcellona, ​​cosa sta succedendo?
«Non è una novità, sappiamo da anni che questi fenomeni estremi si sarebbero intensificati. Quanto successo nei giorni scorsi a Valencia è sulla falsa riga di quanto già accaduto nell'ultimo anno e mezzo in altre parti nell'area mediterranea. Il Mediterraneo si sta riscaldando, siamo 3-4° al di sopra della media stagionale, e sappiamo che a ogni grado in più corrisponde un aumento dell'umidità dell'aria del 7%».
A Valencia, cosa ha causato un fenomeno meteorologico tanto violento?
«Si tratta di situazioni e fenomeni complessi, semplificando possiamo dire che tutto è nato perché c'è molta acqua nell'atmosfera. Quando le colonne di aria calda, satura di acqua, incontrano un fronte di aria fredda, come in autunno, l'umidità raggiunge il punto di condensa e si scaricano violenti temporali. A Valencia sono caduti 490 millimetri d'acqua, la pioggia di un anno, in sole otto ore. Attenzione però, la quantità di acqua in sé non indicativa, in Italia ad esempio ne cadono in media 1.000 millimetri all'anno, i danni sono stati enormi perché la zona è tipicamente arida e l'ambiente del tutto ingegnerizzato: non è la pioggia in sé a determinare l'alluvione quanto il territorio».
Può approfondire il concetto?
«A Valencia, come in tante altre città europee, il fiume era stato deviato per salvare le città, dimensionando gli argini su statistiche e rilievi oggi superate. Con piogge così intense, i fiumi hanno bisogno di aree di sfogo per non inondare l'intero tessuto urbano».
Da che parte si ricomincia, per evitare ulteriori tragedie?
«Rifletterei su tre orizzonti. Partendo dal breve termine, si consideri quanto importanza ha il sistema di allerta e, da parte della cittadinanza, la conoscenza dei rischi. Sul medio termine, teniamo presente che l'acqua è incomprimibile, non c'è garanzia totale di sicurezza: occorre pianificare aree dove far sfogare i fiumi limitando i danni. Sul lungo temine, è essenziale ripensare il territorio, reingegnerizzandolo pensando al futuro».
Nella pratica, cosa significa?
«Non dobbiamo chiederci di quanto alzare gli argini ma immaginare di cosa avrà bisogno il Paese nei prossimi decenni, come facemmo in Italia all'inizio del Novecento. L'acqua è l'espressione del clima sul territorio, i nostri trisnonni – esposti alle inondazioni – optarono per confinarla negli argini, immaginando un territorio urbanizzato. Ma sono ormai 30 anni che il sistema è superato: l'acqua bussa di nuovo alle nostre porte, la politica deve decidere “dove andare”».
L'alluvione di Derna, lo scorso anno in Libano, e poi quelle di poche settimane fa in Polonia, Repubblica Ceca ed Emilia-Romagna… Si può parlare ancora di eventi eccezionali o questa è ormai la “normalità” metereologica?
«Il cambiamento statistico è noto: eventi che nelle serie storiche furono definiti eccezionali ora non possono più essere definiti tali perché si ripetono con una frequenza maggiore. Anche nel caso di Valencia, si sapeva che sarebbe arrivato il ciclone».
Quali sono i territori più a rischio?
«Nell'area mediterranea il rischio è pervasivo. Accenderei comunque l'attenzione sui Paesi più vulnerabili: non sono le differenze geofisiche quanto le infrastrutture e la loro incuria a fare la differenza in quanto a danni e vittime. Sulle coste europee ci sono tanti corsi d'acqua a ridosso delle montagne, anche brevi, che si possono ingrossare all'improvviso».





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