Il Sinodo è concluso, ma la sinodalità spetta a noi attuarla
Cari amici lettorisi è concluso il 26 ottobre scorso il Sinodo dei vescovi sulla sinodalitàdi cui vi diamo conto nel servizio a pag. 24 e nell'intervista con don Dario Vitali. È stato un lungo cammino che ha visto l'assise impegnata in un arco di 3 anni. Forse però questo evento importante della Chiesa – meglio: del Popolo di Diosotto la guida del Papà – ci è parso spesso lontano e poco attinente alla vita “concreto” dei fedeli.
Ma a ben vedere il Sinodo appena concluso tocca qualcosa di vitale per la Chiesa, ovvero la comunionela partecipazionela missione di tutto il Popolo di Dio. Francesco non ha voluto aggiungere altro a quanto detto dal Sinodo, affermando la sua conclusione che «nel documento ci sono già indicazioni molto concrete, che possono essere di guida per la missione delle Chiese». Ma come si può esprimere questo livello più concreto nelle esperienze più vicine a noi? Colpisce che nel Documento finale di un'assemblea universale i termini “parrocchia/e”, “parrocchiale/i” ricorrono ben 15 volte (nn. 7,9, 60, 86, 103, 105, 107, 111, 117, 144): sintomo che il Sinodo può, anzi deve, riguardare la nostra esperienza concreta di Chiesa-Popolo di Dio. Un numero è espressamente dedicato alla parrocchia (n. 117).
Alcuni punti del documento sono qualificati per plasmare concretamente la comunità in senso “sinodale”. Non si tratta di “fare più cose”ma di viverle in un orizzonte nuovo. «Gli organismi di partecipazione», si legge al n. 103, «costituiscono uno degli ambiti più promettenti su cui agire per una rapida attuazione degli orientamenti sinodali». Ci si riferisce al Consiglio pastorale e al Consiglio per gli affari economici: si tratta di “gruppi” dove spesso occorre prendere decisioni. Il documento lo ricalibra responsabilitàche sono di tutti, ognuno secondo il suo carisma e ministero (“corresponsabilità differenziata”), sottolineando che si tratta di un processo che richiede un discernimento (nn. 81-86) in vista di una decisione (87-94).
Col metodo della “conversazione spirituale” si offre una modalità concreta di vivere tale corresponsabilità tra pastori e laici. È un modo molto diverso di concepire e vivere l'autoritàin un clima di fiducia, ascolto e di corresponsabilità attiva dei laiciche vuol dire reale comunione e partecipazione alla missione (le 3 parole chiave del Sinodo).
Tutta la Parte III (“Gettate la rete”) si presta per una lettura in gruppi in parrocchia per trarne spunti per la “conversione dei processi” decisionali, che comporta anche una “conversione delle relazioni” (Parte II, “Sulla barca insieme”). Il documento dedica spazio poi ad altre realtà che sperimentiamo proprio nella Chiesa locale e che già sono o possono diventare scuola di sinodalità: l'Eucaristia domenicale (n. 142), la catechesi (n. 145), l'iniziatura cristiana (n. 24). Raccomandala formazione al discernimento (n. 86): proprio «nelle Chiese locali, a partire dalle piccole comunità ecclesiali e dalle parrocchie».
Ci sarebbe tanto altro su cui soffermarsi per attuare la sinodalità a livello anche locale – ad esempio l'esigenza, ancora non pienamente attuata ovunque, di dare spazio alle donne anche in ruoli di guida nella Chiesa, con il pieno riconoscimento del loro posto nei diversi ambiti della vita della Chiesa (n. 60) – ma siamo costretti a fermarci. Il Sinodo è concluso, ma non la sinodalità: la palla passa a noi.