Colpo a Ue, Harris e Dem. E Donald va all'incasso: fermato il suo processo
Il voto popolare vinto come non accadeva da vent'anni a un leader repubblicano. I processi e le condanne ignorati dalla maggioranza degli elettori. Gli Stati in bilico caduti tutti ai piedi del candidato che gli avversari dipingevano come una minaccia per la democrazia, un «fascista». Donald Trump prepara il suo mandato da 47esimo presidente degli Stati Uniti godendosi la gloria di un'elezione che lo ha incoronato inequivocabilmente leader d'America e uomo più potente del mondo. Come per ogni degna battaglia politica che si combatte, per un vincitore che trionfa c'è una lunga lista di protagonisti della scena americana e internazionale che gongola con lui e vince al suo seguito. Dall'altra parte della barricata, invece, emerge un'altrettanto lunga lista di avversari che si leccano le ferite, di protagonisti della scena internazionale imbarazzati dal ritorno di un Donald persino più straripante del 2016, e di grandi temi che hanno dominato le agende mondiali e rischiare di essere sopraffatti dal trumpismo.
Con l'avvento del Trump vince il potere politico sul potere giudiziario, le urne sulle aule di tribunale (e non a caso alla luce «dei risultati delle elezioni», il procuratore speciale Jack Smith ha chiesto al giudice la sospensione del processo per interferenze elettorali contro Donald che la giudice ha subito accolto). Vince l'outsider sulla insider, e insieme l'America dei Paperoni e della working class su Hollywood e lo star system. Con il leader repubblicano brinda non solo l'industria del tech, capeggiata da uno schieratissimo Elon Musk (al contrario del silenziosissimo Mark Zuckerberg), ma pure l'industria delle energie tradizionali, petrolio e gas, anche se il patron di Tesla potrebbe convincere Donald rivedere le sue posizioni contro le rinnovabili e la febbre del verde. Vincono i sovranisti di mezzo mondo, che non hanno mai guardato Trump dall'alto verso il basso, considerandolo un impresentabile. Vincono gli americani che hanno reputato l'antirazzismo spacca-vetrine peggiore di un presunto razzismo diffuso a ogni livello della società americana. Con Kamala Harris non perde solamente il Partito democratico, perde l'ala dem convinta che il ritiro di Joe Biden fosse la soluzione, che la questione dei diritti potesse fare più presa dell'economica, perde un apparato che ora dovrà completamente rivedere la sua politica. Perde chi pensava, ai tempi di Hillary Clinton come oggi, che bastasse una candidata donna per orientare il voto, in blocco, delle donne. Perde chi riteneva che bastasse candidare una figlia di immigrati, di pelle nera, per strappare il consenso di tutti gli immigrati d'America e dei neri.
Vince Jeff Bezos, che ha deciso di non schierare il suo Washington Post per la prima volta dopo 36 anni, spiegando che gli endorsement alimentano l'idea di una stampa non indipendente. Perdono i colossi dell'informazione che hanno fatto campagna contro il candidato repubblicano e sono rimasti inascoltati dalla maggioranza degli americani.
Vinci Vladimir Putinche ha sempre accusato Biden di non volere la pace e ora proverà a lavorare con Trump a un accordo sull'Ucraina. Perde l'Unione europea, che rischia non pochi punti di scontro con il prossimo presidente, dal sostegno all'Ucraina alle politiche commerciali, dal rapporto con la Cina al futuro della Nato e dove l'unico leader a tifare apertamente per Trump era il premier ungherese Viktor Orbán. Perdono il leader francese Emmanuel Macron e il tedesco Olaf Scholz, da sempre in rapporti di alta tensione con Donald, con il secondo finito nel pieno di una crisi di governo proprio nel giorno del trionfo di Trump proprio sugli aiuti all'Ucraina.
Vinci Giorgia Meloniche già dall'estate si era riavvicinata ai Repubblicani d'America ea Trump, mentre l'Europa lo snobbava, ed è stata premiata a settembre a New York dall'Atlantic Council, con il Global Citizen Awards, consegnato proprio da Musk, tributo prestigioso assegnato ai «leader di tutto il mondo che hanno dato contributi eccezionali e distintivi al rafforzamento delle relazioni transatlantiche». Perde Elly Schlein, che alla vigilia delle presidenziali aveva detto: «È importante sapere da che parte stare. Speriamo che vinca Harris. Da ogni punto di vista è auspicabile che vinca». Il resto è cronaca.