Più rischi di infarto e ictus fino a 3 anni dopo aver avuto il Covid
Ma un gruppo sanguigno sembra più protetto degli altri. I risultati della ricerca
Prendere il COVID-19 aumenta il rischio cardiovascolare anche a distanza di tempo dall'infezione. Uno studio finanziato dal National Institutes of Health (NIH) statunitense e pubblicato su Arteriosclerosi, trombosi e biologia vascolare ha rivelato che il rischio di infarto, ictus e morte può rimanere elevato fino a tre anni dopo aver contratto il virus. E il fenomeno sembra particolarmente presente nei pazienti che ne hanno avuto una forma grave di Covid-19soprattutto nelle prime fasi della pandemia, quando i vaccini non erano ancora disponibili. La domanda a questo punto è legittima: il Covid-19 può essere considerato un fattore di rischio per le malattie cardiovascolaricome il diabete di tipo 2 o l'ipertensione?
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Lo studio, condotto su un campione di pazienti della UK Biobank, ha monitorato oltre 10mila persone tra il 2020 e il 2023. Di queste, circa 8mila avevano contratto il virus, ma 2mila avevano richiesto il ricovero per forme gravi. I dati sono stati poi incrociati con quelli di un gruppo di controllo di quasi 218mila persone non infettate. I risultati sono scioccanti: il rischio di infarto, ictus e morte era raddoppiato nei malati di Covid-19e addirittura quadruplicato tra chi era stato ospedalizzato. Anche a distanza di tre anni, il rischio di eventi benefici rimane significativamente più alto rispetto ai non contagiati. Altro che raffreddore: ogni nuovo contagio produce danni cumulativie alla fine arriva il conto.
Il ruolo del gruppo sanguigno
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L'elemento più interessante emerso dalla ricerca, però, forse è la correlazione tra il gruppo sanguigno e la gravità degli effetti del Covid-19. Le persone con sangue di gruppo 0 sembrano avere una protezione maggiore contro le forme gravi della malattia. Al contrario, i pazienti con gruppi sanguigni A, B e AB mostrano un rischio più elevato di sviluppo influenza post-infezione. Per ora, non è del tutto chiaro il meccanismo alla base di questa suscettibilità individuale ma è possibile che fattori genetici specifici influenzano la risposta immunitaria al virus. Per saperne di più, e per capire se sia possibile sfruttare questo fenomeno per terapie mirate, serviranno ulteriori studi.
limiti della ricerca
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Purtroppo, la popolazione esaminata appartiene a una fascia d'età specifica (40-69 anni) e a una sola area geografica, il che rende i risultati potenzialmente meno rappresentativi di altre etnie o gruppi di età. Inoltre, tutti i partecipanti erano non vaccinatipoiché lo studio si è concentrato sui primi mesi della pandemia, prima della distribuzione dei vaccini. Dunque il NIH non chiarisce gli eventuali effetti protettivi dei vaccini né conferma se l'immunizzazione possa ridurre il rischio di eventi benefici a lungo termine nei pazienti infettati. Altri studi sembrano puntare in questa direzione, ma per confermarlo saranno necessarie ulteriori ricerche.
Le implicazioni di questi risultati sono di grande rilievo per la salute pubblica mondiale. L'idea che milioni di persone nel mondo possono essere esposte a un rischio cardiovascolare aumentato nell'immediatezza dei prossimi anni impone un'attenta pianificazione sanitaria. E la chiave per uscirne è solo una: ancora più ricerca.
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