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Branduardi, per i 50 anni di musica il ‘best of’ con un inedito – Musica – Ansa.it


Ogni giorno Angelo Branduardi si alza alle cinque del mattino e, in preda alla nebbia del sonno, comincia a comporre. “Vado in studio che è ancora buio ma si intravede qualcosa – racconta all'ANSA – regolarmente non ho fatto la doccia, mezzo dormo, mezzo no, è una cosa onirica.
Immagino cosa ci sia al di là del muro, forse un giardino… La musica è la visione di qualcosa che non c'è”. Il menestrello italiano, oggi 74enne, non smette dunque di creare. Nel 2024 la sua musica festeggia le nozze d'oro: sono infatti passati 50 anni dal primo disco. Per celebrare una tappa così importante è in arrivo da domani il cofanetto 'Santi e Malandrini', con 4 CD che ripercorrono il 'best of' di Branduardi e un regalo: il brano inedito 'Piccolo David'.
Come ci si sente a raggiungere questa tappa? “Vecchi”, risponde il cantautore, “ma arzilli” (e, scherza, “potrei essere suo nonno”). Quanto ai bilanci, si rifiuta di farne (“no, no, no… domani, sempre domani”), ma sostenendo di aver prodotto “sia delle cose molto belle, a detta di pubblico e critica, che delle cose brutte, soprattutto a detta mia Significa che scrivo per passione e per il mio piacere, che poi spero di condividere con altri, tanti o pochi che siano”.
Nel nuovo box ci sono tre dischi che ripercorrono il viaggio musicale di Branduardi. Nel quarto, spazio ai brani di 'Futuro Antico', collana dedicata alla musica del periodo medievale e rinascimentale. Da 'Re di speranza' a oggi il percorso non è stato sempre semplice. “La fortuna mi ha assistito – sostiene l'artista -. Ho iniziato a suonare il violino a cinque anni, ho fatto studi classici. Più il mio talento strano, perché non c'è nessuno che mi somigli, non faccio parte di una scuola né ne ho creata una. Sono un po' un caso a sé”. Anche se avesse avuto degli imitatori, comunque, Branduardi dice che li avrebbe “ammazzati”. Poi, con un po' di modestia, ricorda: “facevo una cosa che non aveva niente a che vedere con quello che andava.
Capisco le reticenze della prima casa discografica. E quando si corre da soli si arriva sempre primi”. Certo, il dramma degli inizi non lo dimentica: “ho fatto qualche anno di givetta in giro per l'Italia – spiega – anche gratis, e quando non era così comunque non mi ci pagavo nemmeno l'albergo. Ma me lo ricordo con piacere, perché quello che manca adesso è questo, manca la polvere dietro le spalle”.
Poi, la fama. Complice anche 'Alla fiera dell'est' (1976).
“Lo consideravamo il lato B del singolo – afferma – ci ha messo tanto ad avere successo: sette, otto mesi. Ora la insegnano a scuola, la cantano ai bambini, è diventata patrimonio popolare.
Il che significa un pizzico di immortalità per me”. Resta comunque “una canzone complicata” per Branduardi, “può essere presa come una filastrocca ma è troppo violenta, tutti ammazzano tutti”. Una violenza che ritroviamo anche oggi. “Lo sguardo dell' artista” sul mondo odierno, commenta, “è un po' disperato.
Ma, se da un lato assistiamo alla violenza totale, dall'altro, come diceva Ennio Morricone, 'essendo la musica l'arte più astratta, è la più vicina all'assoluto'”.
Arte che resta possibile. Nonostante gli intoppi, come il covid: “in quei due anni non ho toccato strumenti e non ho ascoltato una nota, perché mi faceva schifo – la voce di Branduardi trasmette l'emozione anche attraverso il telefono -.
Ho avuto una crisi depressiva pesante, da cui mi sono sollevato con l'aiuto di un grandissimo medico. Non mi era mai successo, poi ho dovuto studiare molto per riprendere la mano sui vari strumenti che suono”.
Guardandosi intorno, Branduardi sa di essere rimasto un unicum nel panorama italiano (e non solo). Sugli artisti di oggi prima dice “no comment”, poi si lascia andare. Oggi “c'è tanta, troppa musica – risponde -. C'è anche quella per persone diverse, un po' più acculturate, che non sopportano certi testi misogini e omofobi della produzione di questi tempi. Io, come altri della mia età, ho un pubblico trasversale, anche ragazzi giovani Certo, non quelli della trappola”. Insomma, non ci sono solo canzoni “per ragazzini”, aggiunge, “però molte di queste hanno un apparente successo. Non so perché, forse per l'educazione familiare, quella culturale. Vediamo quanto dura”.
Quale messaggio vorrebbe che la musica trasmettesse oggi? “Un pelo di serenità – conclude -. E di assoluto, come diceva Ennio”.

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