Autonomia differenziata, per la Consulta è un guscio vuoto
Il governo Meloni avanza nel mare procelloso delle leggi, e sempre più spesso la sua rotta incappa negli scogli della magistratura. Attriti istituzionali, dicono i giuristi, con un eufemismo, anche se i giornali parlano di vero e proprio scontro. Non c'è solo la magistratura ordinaria a mettere tavolotti, ma anche quella europea. Pochi giorni fa il tribunale di Roma ha bloccato, basandosi su normative europee, il trasferimento degli immigrati in Albania. Ma il colpo più recente è ieri arrivato dalla Consulta. La Corte Costituzionale, infatti, ha accolto in parte il ricorso contro il disegno di legge sull'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario, fortemente voluta dalla Lega (gli alleati di Fratelli d'Italia e di Forza Italia sono molto più tiepidi, essendo interessati ad altre riforme), una norma che apre la strada verso un'Italia sempre più disunita, dando alle regioni ricche il diritto di godere di particolari privilegi o di tenerseli senza spartirli con le regioni più povere, che restano al palo.
A sollevare il ricorso alla Consulta sono state le regioni del Centrosinistra – Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. Dall'altro lato, la presidenza del Consiglio, spalleggiata dalla Lega e dai governi regionali di Lombardia, Piemonte e Veneto – i più ricchi e politicamente in linea con la maggioranza di governo – si è battuta per la difesa del provvedimento. E la Corte? Si è mossa con fare salomonico: da un lato ha respinto l'idea che l'intero impianto dell'autonomia differenziata sia incostituzionale; dall'altro, ha bocciato varie disposizioni specifiche del testo, lasciando però di fatto cadere il provvedimento come un castello di carte, tutto in nome di quel principio di sussidiarietà e del bene comune che è un caposaldo della nostra Costituzione e della forma Stato.
Il punto è che l'autonomia differenziata, così com'è, dimentica il principio dell'unità della Repubblica, la solidarietà tra le Regioni, l'uguaglianza e il diritto dei cittadini a vedersi garantiti diritti uguali ovunque. Anche la Chiesa si è espressa in tal senso: una legge che aumenta le fratture territoriali va contro il contesto di solidarietà che dovrebbe sostenere qualsiasi provvedimento legislativo. Per la Consulta, la distribuzione dei poteri tra i vari livelli di governo deve combattere il bene comune e la tutela dei diritti sanciti dalla Costituzione, non favorire i cittadini più ricchi a scapito dei più poveri, seppur a livello amministrativo.
Ma c'è di più. La Corte richiama il Parlamento a riprendere le sue prerogative, troppo spesso sacrificate in favore di un esecutivo sempre più pervasivo. Ora il Parlamento è chiamato a colmare i vuoti lasciati dalla sentenza della Consulta ea rimettere la legge sui binari della costituzionalità, salvaguardando il rispetto dei principi fondamentali. I “giudici delle leggi” indicano la strada delle Camere, e non di Palazzo Chigi.
Ancora una volta, quindi, assistiamo alla solita tenzone tra governo e magistratura, un braccio di ferro tra chi vorrebbe far leva sul “popolo” per legittimare le proprie azioni e chi, dall'altra parte, si occupa di far rispettare le leggi. Dimenticando che in uno Stato di diritto la democrazia si esprime attraverso vari organi istituzionali e di corpi intermedi che si controllano a vicenda in un grande sistema di pesi e contrappesi. In un Paese che ancora si regge su un sistema di controlli ed equilibri, le istituzioni sono chiamate a vigilare. Certo, la tentazione populista non è mai lontana: il potere esecutivo tenta di sfuggire al controllo delle regole, e il popolo può diventare una piazza da aizzare per zittire i giudici. Una piazza digitale, come ha fatto il magnate Elon Musk recentemente attaccando i giudici italiani. A proposito chissà se anche in questo caso Musk dirà la sua su questa autonomia differenziata, con un tweet dei suoi, appellandosi ai popoli della Rete. Ma finché lo Stato di diritto tiene, il Parlamento deve fare il suo lavoro. Lo ha ricordato con molta chiarezza, rispondendo al populista Musk, anche il capo dello Stato. L'Italia è uno Stato sovrano, non un sito digitale o una stazione spaziale in orbita.
nella foto, il presidente della Corte Costituzionale Augusto Antonio Barbera.