L’emozione del controtenore Carlo Vistoli alle prese col ‘sacro furore’ di Vivaldi
Carlo Vistoli, controtenore, è uno dei cantanti d'opera italiani più richiesti nel mondo. Vincitore del Premio “Abbiati” 2024 (il più alto riconoscimento da parte della critica musicale), è il pupillo di Cecilia Bartoli, la più ammirata specialista del genere barocco. Alla Scala di Milano ha riportato un vero trionfo nel ruolo di Alidoro dell'Orontea di Antonio Cesti, anche se Vistoli ama esibirsi nell'opera contemporanea.
Come si può definire il controtenore?
«Un cantante dotato di vocalità maschile, che però tramite una tecnica specifica emette suoni più acuti».
Nel suo caso si parla di contraltista…
«Sì, perché le note che io produco sono le stesse di un contralto o mezzosoprano femminile».
Lei però è il classico antidivo, tante passioni, curiosità, tanta attenzione per la recitazione…
«Certo, ai tempi i controtenori erano dei veri divi e interpretavano ruoli da eroi e condottieri, seducendo il pubblico per il loro virtuosismo. Ma avevano una enorme importanza anche nella musica sacra, nel canto in chiesa, perché in Italia le donne non potevano cantare. Non vanno confusi con i castrati il cui canto più acuto avveniva dopo il processo della castrazione, appunto per fortuna scomparsa».
Come è nata la sua carriera?
«Fin da piccolo ho amato la musica come ascoltatore, pur non provenendo da una famiglia di musicisti: mio padre aveva però qualche disco in casa. Poi dopo ho iniziato a studiare chitarra classica e pianoforte. Solo da adolescente è venuta la forte curiosità, la passione per l'opera e l'opera barocca in particolare».
I suoi autori prediletti?
«Diciamo che Händel e Monteverdi mi hanno sedotto, e restano tra i miei autori preferiti e tra gli autori che canto anche più spesso».
Perché Monteverdi è uno dei più grandi artisti della storia del nostro Paese?
«Perché ha traghettato la musica vocale verso la modernità. E i libretti che ha musicato sono i migliori esempi della poesia del '600».
E del repertorio del '700 cosa l'affascina?
«Rispetto a musiche di altri periodi c'è un grado di personalizzazione da parte del cantante ancora più evidente».
Vieni mai?
«Le arie hanno dei daccapo che personalizzo con variazioni che il pubblico non si aspetta».
Lei ha una grande passione per la recitazione, e ha lavorato con grandi registi come Robert Carsen e Damiano Michieletto che allestirà nel 2025 alla Scala la versione operistica del Nome della rosascritta da Francesco Filidei. Sono registi che spesso vengono accusati di attualizzare i soggetti delle opere.
«Noi abbiamo delle testimonianze che già nel '600 e '700, tutto è stato rivisitato secondo i costumi dell'epoca ed è ciò che avviene spesso e volentieri anche oggi».
Harmonia mundi ha pubblicato “Sacro furore” dedicato al Vivaldi sacro, inciso con l'Akademie für Alte Musik Berlin. Lei interpreta pagine celebri come lo Stabat Mater e il salmo vespertino Nisi Dominusaccostate al mottetto in stile quasi operistico In furore iustissimæ irae. Che significato hanno per lei queste pagine?
«Sono prima di tutto dei veri cavolavori tra la produzione di Vivaldi: Furore è la prima volta che viene registrata in versione contraltile, mentre nel Nisi Dominus e nello Stabat Mater ho tenuto conto della mia esperienza teatrale, valorizzando l'assunto drammatico della situazione, la potenza di quelle parole».
Un esempio?
«L'episodio dell' Eia Mater è fatto di pochissimi elementi ed i violini a me ricordano a volte il battito del cuore, a volte il martello che spinge i chiodi della croce. Cantavo con negli occhi la scena. Su questo accompagnamento le parole e il canto si trasfigurano, rappresentano la traumaticità del momento. E ricordano la vanità delle opere degli uomini se non sono sostenute dall'intervento divino».
Altri momenti?
«Il Cum dederit parla del sonno dei giusti, insomma il sonno dei diletti di Dio».
Come definirebbe lo Stabat Mater?
«Una grande rappresentazione visiva, spirituale e drammatica al tempo stesso».
Lei è legatissimo a Lugo e alla Romagna, la sua terra: al di fuori della musica quali sono le sue passioni?
«Tante, amo molto il lavoro del regista per esempio. Mi piace leggere romanzi, saggi. E direi che il Cinema ha fatto parte della mia formazione ancora prima del teatro».
E il suo sogno nel cassetto?
«La fotografia. Ora me ne diletto con lo smartphone, ma anche l'universo dell'immagine è qualcosa che mi ha sempre attratto».