Il PEI tra burocrazia e nuove opportunità, è possibile renderlo veramente inclusivo? Ne parliamo con Ianes, Cramerotti, Fogarolo e Zagni – Orizzonte Scuola Notizie
Come rendere il PEI veramente inclusivo? Ne abbiamo parlato con Dario Ianes, Sofia Cramerotti, Flavio Fogarolo, Benedetta Zagni.
Voi avete realizzato per Erickson una guida rapida per insegnanti per costruire un PEI e una classe inclusiva. Cosa vi ha spinto a realizzare questo volume considerato che ci sono già tanti manuali prodotti anche dalla vostra casa editrice?
Ianes: Proprio per questo lo abbiamo fatto, nel senso che ormai i materiali sul PEI in Erickson seguono due grandi linee, una è quella dei manuali di tipo metodologico, dove troviamo anche le risposte che ha fatto Flavio, e dove c’è un filone più di irrobustimento metodologico del docente, dall’altra lato tutta la parte pratica, per cui come osservare, le schede, tutti i materiali e i raccoglitori. Tutto materiale che continua ad essere prodotto, però, proprio per questo, volevamo fare qualcosa di molto agile, adatto non solo al sostegno ma anche ai curricolari che devono insieme costruire non solo il PEI, ma anche la classe inclusiva. Questo era il punto di svolta che abbiamo voluto toccare con questo libro a più mani, cioè mettere insieme il PEI che diventa inclusivo e fa diventare inclusiva la classe. Questo è stato il tentativo e stiamo vedendo che finora il pubblico l’ha accolto molto bene, perché fresco e concreto, e dai primi incontri che stiamo facendo abbiamo visto che è molto utilizzato dal sostegno come ponte verso i curricolari, nel senso che insieme è possibile costruire una classe inclusiva, in pratica un buon ponticello per costruire quella collaborazione che è alla base dell’inclusione.
Non è semplice realizzare un volume a quattro mani, qual è stato il contributo di ognuno di voi?
Cramerotti: certamente può essere complesso, soprattutto se non si va d’accordo, e non è il nostro caso, ma può essere anche un punto di forza, nel senso che il nostro è un gruppo complementare che ha una comune base di visione del PEI, dell’inclusione, del sostegno e della classe, che ci aiuta ad andare nella stessa direzione, però poi con competenze diverse che si vanno ad intrecciare e riescono a dare completezza alla proposta. In particolare Flavio è la nostra figura di riferimento per quanto riguarda tutto l’ambito normativo e organizzativo, grazie al suo lavoro nel gruppo “normativa e inclusione”, che nella parte finale del volume ha selezionato una serie di temi controversi e di domande su alcuni temi caldi che riguardano il PEI e l’inclusione, e penso che sia stata una selezione difficile perché i temi controversi, quelli che di solito creano dibattito e confronto all’interno delle scuole, sono davvero molti. Il resto invece è un insieme di quindici punti che ci siamo suddivisi dove Dario ci ha dato la parte più di visione complessiva e le direzioni da prendere in questo volume, io mi sono occupata più della parte di osservazione di profilo di funzionamento e invece Benedetta, data la sua formazione rispetto a tutto quello che è l’approccio cooperativo, il gruppo, le risorse compagni e classe, si è occupata della parte relativa a come un PEI concretamente può intrecciarsi con quello che è il lavoro di classe.
Quest’ultimo aspetto è interessante, perché spesso il PEI è visto dai docenti curricolari come un qualcosa di burocratico e da dover realizzare dai colleghi del sostegno, quando invece andrebbe costruito insieme visto che sull’alunno lavorano tutti i docenti. A tal proposito vorrei chiedervi cosa significa costruire un punto di contatto tra il PEI e la classe.
Zagni: Questo è un po’ la cosa su cui ci scontriamo di più, Flavio direbbe che bisogna guardare la realtà e la realtà è quella che, come dici nella domanda, è il sostegno quello che la maggior parte delle volte compila questo PEI in ottica burocratica. L’aggancio con la classe, secondo noi, avviene tramite l’intreccio, l’abbiamo chiamato così nella nostra prospettiva, cioè come rendiamo il PEI uno strumento che diventi un aggancio inclusivo anche per i compagni, cercando di intrecciare le quattro dimensioni su cui lavoriamo all’interno del PEI con la progettazione curricolare e viceversa. Quindi quello che proponiamo è di cercare di incastrare un po’ queste due cose in un unico lavoro, mi spiego meglio, quando noi all’interno della classe dobbiamo scegliere di fare un’attività, come può essere ad esempio il ciclo delle piante, ci poniamo un obiettivo che deve essere per tutta la classe e non soltanto per l’alunno con disabilità, obiettivo che chiaramente viene poi personalizzato per l’alunno con disabilità. Quando poi prendiamo una scelta metodologica vuol dire che scegliamo come meglio fare questo ciclo delle piante, ad esempio lo possiamo fare con un lapbook, perché il ciclo si presta bene ad essere fatto con questa metodologia, e lo facciamo in piccoli gruppi, perché dalla letteratura sappiamo che il piccolo gruppo favorisce l’apprendimento, l’inclusione, l’interazione sociale e via dicendo. In questa modalità, quando scelgo una metodologia in modo consapevole e scelgo un obiettivo in modo consapevole, sto intrecciando quelle che sono le quattro dimensioni del PEI, tra cui la dimensione della relazione, ad esempio nel cooperativo, la coordinazione oculo-manuale, le competenze più finomotorie, perché faccio il lapbook, con quello che è un obiettivo del curriculum, cioè il fatto che poi in scienze dovrò sapere qual è il ciclo della vita. Allora questo è l’intreccio, quando noi diciamo che l’insegnante di sostegno e il curriculare dovrebbero andare in tandem, così il sostegno può diventare una risorsa che attiva questo processo rispetto all’alunno che conosce bene, perché l’ha osservato in ottica bio-psicosociale e sa come funziona nel contesto, e suggerisce il tipo di approccio da adottare per sviluppare le sue competenze, a quel punto il curriculare può benissimo adottare in scienze questo approccio valutando che può essere fatto perché si presta particolarmente bene. Questo è il dialogo che noi ci aspettiamo per creare il punto di contatto con la classe.
Volevo chiedere a Fogarolo, visto ha raccolto un po’ tutte le criticità relative al PEI, quali sono, appunto, le maggiori criticità che ha incontrato e quali sono i suggerimenti per superarle?
Le criticità sono tante, in particolare questo nuovo modello di PEI ha posto un modo di lavorare assieme che non c’era prima, questo dobbiamo tenerlo presente. Se andiamo a 4-5 anni fa il PEI veniva fatto in modo completamente diverso, adesso ci lamentiamo perché è fatto prevalentemente dall’insegnante di sostegno, allora era fatto solo dall’insegnante di sostegno. Era fatto di nascosto e i genitori non erano coinvolti, altro che 3 incontri l’anno, molto spesso non se ne faceva nemmeno uno. Oggi la situazione è molto cambiata e gli effetti si vedono, ovviamente poi si vedono anche le criticità perché una volta che si sa che il PEI si dovrebbe fare in un certo modo, nelle scuole dove si fa diversamente e chiaro che ci si chieda come mai. Tra i problemi riscontrati nel libro ne abbiamo riportati una ventina che sono i più ricorrenti, tra cui il ruolo, come si convocano e cosa succede se non riusciamo ad arrivare alla decisione, perché il PEI va approvato dal GLO, non va solo letto, anche se a volte non viene neppure letto. Ma cosa vuol dire approvare un PEI, che ruolo hanno i genitori, tutte le varie persone, come coinvolgere i curriculari, però lo dobbiamo fare seriamente, non facendo finta con una firma. Tutti questi problemi che chiaramente non hanno una soluzione semplice, sono problemi complessi che però vanno risolti e in molte realtà i risultati si vedono. Si vede proprio che sta cambiando qualcosa e questo è l’aspetto positivo su cui certamente bisogna insistere, su cui bisogna lavorare, perché quella di questi anni è forse l’innovazione più grande che c’è stata nella inclusione scolastica del nostro Paese dai tempi della Legge 104/92, di 30 anni fa. Dopo ci sono tante altre difficoltà, ricordiamoci che abbiamo un terzo di insegnanti di sostegno non specializzati, abbiamo un precariato diffusissimo, abbiamo tantissimi problemi, però almeno da questa parte credo che si sta lavorando bene e ci sono effettivamente delle cose che funzionano.
il PEI nella sua storia ha avuto un’evoluzione, oggi abbiamo un PEI in chiave ICF. Allora vi chiedo come si costruisce il PEI con questa nuova metodologia?
Cramerotti: Innanzitutto è importante tranquillizzare gli insegnanti, perché più che una tecnica, una metodologia nuova, è un approccio, una visione e ha un modello bio-psicosociale, cioè di non considerare la persona solo nell’aspetto della sua menomazione, o non funzionamento, a livello biologico, quindi di corpo, di strutture corporee, ma guardare anche quella che è la sua partecipazione sociale, i contesti nei quali si trova e nei quali può trovare facilitatori oppure barriere e ostacoli. Rassicuriamo i docenti che questo non vuol dire conoscere l’ICF e tutti i suoi codici, ma è fare propria la visione. Questo sarebbe già un primo passo fondamentale affinché l’insegnante apra un po’ lo sguardo e consideri l’alunno a 360 gradi, in tutti i suoi ambiti di funzionamento in cui si possono collocare i diversi bisogni. Questo è importante anche per andare a completare, con la propria osservazione nel contesto scolastico, che è fondamentale, quello che è il profilo di funzionamento che ci deriva dalla parte più sanitaria del PEI. Noi suggeriamo sempre che il profilo di funzionamento è in capo all’unità di valutazione, però con l’osservazione e il completamento che io posso fare osservando, con gli strumenti ovviamente propri della scuola, dei docenti, ma che ormai sono assolutamente a disposizione un po’ ovunque, riesco a completare questa visione, perché altrimenti ricadiamo nel rimanere nel bio e non considerare come questo alunno interagisce con i compagni, con le figure di riferimento, o raccogliere anche quella che è la voce delle famiglie, di com’è nel suo contesto scolastico. In ultimo, ma lo metterei al primo posto, tutte le volte in cui è possibile è importante ascoltare anche quella che è la voce dell’alunno, proprio per rendere concreto quello che è il principio di autodeterminazione, autorappresentazione e anche mettere al centro del proprio PEI quello che è il protagonista vero che è l’alunno.
Professor Ianes, con lei abbiamo parlato tante volte delle criticità legate al sostegno, come la mancanza di specializzati, e sulla crisi del sostegno come è visto oggi. Quindi le chiedo se può essere questo PEI in chiave inclusiva un punto su cui partire e costruire una nuova forma di sostegno?
Ianes: Parliamo di un sostegno diffuso e non più concentrato. A tal proposito voglio raccontare un aneddoto interessante, perché qualche giorno fa una dirigente scolastica che ha visto questo libro che abbiamo appena realizzato, mi ha detto che lo avrebbe regalato a tutti i docenti curricolari, aggiungendo che gli sarebbe bastato solamente che di ogni capitolo leggessero la parte che si intitola “Cosa non fare”. Sono rimasto stupito ed ho ribadito se effettivamente intendeva proporre il libro ai docenti curricolari, e lei ha ribadito di essere certa, perché il sostegno, l’inclusione, viene da lì. Pensate alla secondaria, sia di primo che secondo grado, dove abbiamo un sistema di docenti ampio che vengono corresponsabilizzati, giustamente, in questo nuovo modello di PEI, ecco che devono assumersi la responsabilità della loro programmazione e progettazione, costruendola in chiave inclusiva proprio perché hanno nella classe uno o più ragazzi con disabilità o altre situazioni particolari. Trovo interessante che un dirigente voglia far crescere tutti i docenti e non solo i docenti di sostegno, perché paradossalmente anche se si avessero dei docenti di sostegno molto formati e competenti, non sarebbe questa la strada per un sistema scolastico globalmente inclusivo, per cui l’idea del sostegno diffuso, della codocenza, del fare insieme, del progettare, dell’intreccio eccetera, noi crediamo che sia la strada più corretta per un discorso inclusivo.
Voi parlate del PEI non più semplicemente focalizzato sul ragazzo, ma sulla classe inclusiva. A questo punto vi chiedo come si costruisce una classe inclusiva?
Zagni: faccio solo una precisazione, ovvero di non dimenticare che però il PEI va fatto e va fatto bene, cioè che non diventi questo un modo per dire di non guardare più il PEI perché così facciamo una classe inclusiva, non è questa la prospettiva. Invece la prospettiva è quella in cui il PEI diventa per il docente uno strumento per rendere la classe più inclusiva, perché si è “costretti” a pensare ad un modo più personalizzato, a utilizzare delle metodologie precise, a definire bene degli obiettivi, mi viene da dire che quasi diventa un vantaggio avere un PEI. La classe inclusiva si fa nel momento in cui valorizziamo tutte le differenze, parlavamo ieri a Foggia con una docente che ci chiedeva come bisognava fare se si allarga la visione all’intercultura, con il rischio di focalizzarsi sull’intercultura e di perdere la visione sulla disabilità. Invece è proprio questa la classe inclusiva, quando non si guarda prima l’etichetta del bambino, ma quando si guarda al bambino sia che abbia una provenienza etnica diversa, sia che abbia una disabilità, oppure che abbia delle difficoltà temporanee a casa. È quando io riesco a vedere e valorizzare le differenze di tutti e di ciascuno che diventano un valore all’interno della classe e della progettazione didattica. Faccio un’ultima precisazione, la classe è inclusiva quando tutti stanno bene, che viene prima di tutto, prima della progettazione curriculare, prima delle quattro dimensioni. L’alunno sta bene quando si trova in un contesto e non sente la necessità di voler scappare, ma che anzi ci vuole stare e sente di voler far parte di quella classe, che sento la mancanza dei propri compagni quando non è a scuola e soprattutto sente di essere accolto dalla propria insegnante, che lo valorizza e ha un atteggiamento nei suoi confronti positivo. Questa è la classe inclusiva, tutto il resto viene dopo, la progettazione è una cosa tecnica se vogliamo.
C’è un aspetto del libro che mi ha incuriosito, quando nella parte finale mettete delle checklist di automonitoraggio. Quanto è importante l’automonitoraggio per seguire il percorso di realizzazione del PEI ed eventualmente portare anche delle correzioni?
Cramerotti: Abbiamo voluto mettere questa checklist che però mi piacerebbe di più considerarla come degli spunti di autoriflessione e autovalutazione e non come una checklist dove devo spuntare le cose da fare. Sono degli spunti che possono aiutare i docenti a riflettere su quella che è la situazione della loro scuola, la loro situazione rispetto al lavoro coi curricolari e rispetto ai processi inclusivi messi in atto. Non è nulla di giudicante, di valutativo in termini stretti, ma proprio un aiuto, una guida a riflettere su quello che è un percorso, su quella che è la fotografia attuale della situazione, su quelle che sono le direzioni da prendere, l’orizzonte da avere come riferimento e da raggiungere, e dei piccoli passi che in mezzo a questi due grandi poli opposti posso fare per andare nella direzione dell’inclusione. Il nostro suggerimento a tutti i lettori è proprio quello di utilizzarla in questa prospettiva e poi anche di un monitoraggio, augurandoci che pian piano elementi che non erano presenti nella riflessione iniziale, poi a poco a poco, grazie anche alla messa in atto di metodologie e approcci della classe inclusiva, possano essere raggiunti o comunque in parte implementati.
A volte la normativa sul PEI crea delle incertezze, i manuali sono abbastanza voluminosi e comportano un grosso impegno per i docenti nel consultarli. Può essere il vostro volume un suggerimento su come superare le criticità della normativa vigente e in particolare cosa possono fare i docenti per stare sempre attenti a non uscire fuori dallo schema del PEI?
Fogarolo: Intanto vorrei precisare che la normativa che abbiamo non è così male, però spesso non è conosciuta e viene interpretata in modo non corretto, si fa così perché si è sempre fatto in un certo modo, allora diciamo che comandano le consuetudini. Ci sono delle criticità indubbiamente, e lì si deve vedere come intervenire, ma conoscere la normativa e applicarla correttamente è una cosa che serve alla scuola, serve agli insegnanti e serve alle persone che ci operano, perché garantisce e dà forza a quello che viene fatto, anche rispetto ad esempio ai genitori che contestano, a volte a ragione e a volte a torto. Conoscere la normativa vuol dire intanto evitare di mettersi dalla parte del torto, ovviamente, e quando si è dalla parte della ragione sapere anche come effettivamente intervenire. Ritengo che questo stia aiutando moltissimo. Sono dieci anni che gestisco il gruppo Facebook “Normativa Inclusione”, a livello di volontariato, e ogni giorno arrivano decine di domande, a cui riusciamo a rispondere solo in parte, e lì emerge proprio una scuola in forte difficoltà da tanti punti di vista che però, nella grande maggioranza dei casi, ha la forza e la voglia di reagire e di funzionare. Certo che in un gruppo Facebook è più facile che arrivino le situazioni critiche, ci si va a lamentare. Dove a scuola funziona tutto bene mica lo vanno a scrivere su Facebook o lo dicono agli insegnanti, quindi c’è questo concentrato di cose che non funzionano che fa chiaramente riflettere. Però emerge una visione di scuola che effettivamente sa reagire, la mia sensazione è che oggi le cose funzionano molto meglio proprio rispetto alla qualità dell’inclusione, alla corresponsabilità, alla condivisione dei curriculari eccetera, perché la divisione prima era nettissima, adesso ci lamentiamo in certi casi che le cose non funzionano, mentre in passato era la regola. Certo bisogna andare avanti e con tutti i problemi che ci sono. Se un terzo degli insegnanti non è specializzato è difficile, ma non perché non siano bravi, perché non specializzato vuol dire precari sostanzialmente, quindi un turnover continuo che non consente di riuscire a stratificare, a far diventare pratica abituale quello che invece è semplicemente occasionale. Quello di cui abbiamo parlato oggi sono bellissime cose, ma chiaramente ci vuole un team di insegnanti convinti che questo sia utile e lo sono non perché hanno letto un libro, ma perché l’hanno provato e hanno visto che funziona. È questo è il passaggio più difficile da fare, ma sul quale chiaramente si deve continuare a insistere, perché altre strade non ce ne sono.