Spagna, il racconto di un fotografo emiliano: “La mia notte nella devastazione a Valencia. Così mi sono salvato”
Paolo Manzi, 45 anni, fotografo naturalista, si trovava vicino all'aeroporto di Valencia martedì sera, intorno alle 20, quando l'onda della alluvione ha invaso le stradetravolgendo auto, piante, persone, arrivando a devastare negozi e abitazioni con una massa di acqua e fango dalla forza dirompente. Originario di Vernasca, borgo della Val d'Arda, Manzi, che vive per alcuni mesi all'anno in Spagna per lavoro, martedì pomeriggio era andato in aeroporto per prendere un amico in arrivo a Valencia. Atterraggio annullato per allerta meteo mentre l'allerta a chi era a terra per il pericolo imminente è stata diramata, come racconta Paolo, quando ormai era tardi. “Quando mi è arrivato il messaggio di alert sul cellulare, con l'invito urgente della Protezione civile a non muoversi in tutta la provincia, mi trovavo in un centro commerciale vicino all'aeroporto. Subito siamo stati buttati fuori dal centro commerciale ma il problema è che l'alluvione aveva già inondato le strade. L'avviso è stato inviato con almeno due ore di ritardo. Immediatamente si è formato un ingorgo di persone che tentavano di raggiungere l'autostrada. Ci ho provato anche io ma quando ho visto che la macchina iniziava a galleggiare sono tornato indietro”.
A esondare, dopo essersi riempito all'improvviso, un corso d'acqua secondario, solitamente asciutto, che scorre ai due lati dell'autostrada: “In un attimo, l'acqua ha sommerso l'autostrada, invadendo da due lati entrambi i sensi di marcia. Poi, dato che l'ingresso del centro commerciale è più basso dell'argine, l'acqua si è riversata all'interno”. Quel giorno, a parte un forte vento “che a Valencia comunque è piuttosto normale”, la situazione meteo non destava preoccupazione: “Ci arrivavano video di altre zone della provincia colpite dall'uragano, ma tutto questo accadeva a 70 km di distanza. Sono uscito di casa verso le 14, credendo che sarei rientrato nel giro di un paio d'ore e invece sono riuscito a rientrare dopo 22 ore, dopo una notte bloccata in auto nel mezzo del disastro”.
La possibilità di mettersi in salvo è offerta da un'aiuola sopraelevata che si distende tra le due strade principali e diventa un'isola su cui cercare riparo: “Le strade erano diventate due fiumi. Di fronte a questo scenario, abbiamo portato le macchine in alto, sulle aiuole. Abbiamo dovuto spingere alcune utilitarie più basse che non riuscivamo a salire. Altre si sono posizionate un po' più in basso e l'acqua entra dagli sportelli. Abbiamo passato così la notte, cercando di aiutarci, condividendo informazioni e quello che avevamo a disposizione. C'erano anche donne con bambini piccoli in auto. Da lì, vedevamo in basso un disastro minaccioso, ancora più cupo perché intanto arrivava il buio”. Insieme a altri due uomini, Paolo si accorge che una ragazza sta cercando di guadare la strada per raggiungere quella che ormai è l'altra riva: “Siamo scesi in acqua, l'abbiamo raggiunta e trascinata a riva e poi in alto, in auto , dicendole di non muoversi: era molto spaventata”.
La sensazione è quella di essere abbandonati a se stessi, privi di un coordinamento e di informazioni: “Chiamavamo la Guardia civile ma le risposte erano del tutto vaghe: nessuno ci ha detto se lì dove eravamo potevamo ritenerci al sicuro. Quando vedevamo una luce, speravamo fossero i soccorsi ma in realtà non è arrivato nessuno a tentare di liberare la strada”.
La notte trascorre osservando il livello dell'acqua, spiando il suo lento calare, sondando i rumori con la paura di una nuova possibile onda. Al mattino, lo scenario è quello di una devastazione: “I negozi erano completamente distruttivi. Le vetrine esplose, le merci galleggiavano o erano accatastate in cumuli creati dalla forza dell'acqua”. E in questo scenario, alla furia della natura si aggiunge quella dello sciacallaggio: “Molto presto, abbiamo visto arrivare alcune auto e abbiamo sperato che fossero soccorsi, che portassero generi di conforto. E invece no: scendevano orde di persone che ci ignoravano e, sotto i nostri occhi, rubavano tutto quello che galleggiava. Spaccavano anche i vetri delle macchine abbandonate per rubare quello che riuscivano a trovare: latte d'olio, tende da campeggio, abiti, scarpe…”. La solidarietà scatta però tra chi ha trascorso la notte accampato in alto, nel proprio abitacolo, e vuole mantenersi in contatto con gli altri nel momento in cui si decide di provare a rimettersi in marcia per raggiungere casa: “Al mattino ci siamo aiutati fra noi . Abbiamo liberato le auto dal fango. Ci siamo scambiati i numeri di telefono per poter condividere informazioni sulle condizioni delle strade. Chi aveva notizie le metteva in comune. I messaggi erano allarmanti: – Non passate di qui perché sembra esplosa una bomba atomica. Attenzione: l'autostrada è inagibile, con auto e camion ribaltati. I ponti sul Rio Turia sono tutti saltati, tranne uno. – E io dovevo passare dall'altra parte, per poter arrivare a casa: sono arrivato poco fa (alle 16 circa del 30 ottobre, ndr), con un viaggio di 4 ore per un percorso che di solito faccio in mezz'ora. Ma sono a casa e posso raccontartelo”.
Prima di salutarmi, un'ultima cosa: “Nel mio lavoro fotografo la bellezza degli animali mentre stanotte ho visto la rabbia della natura, il dramma che può scatenare. E poi, al mattino, lo spettacolo più desolante è stato quello dei tanti che, approfittando di un dramma, hanno scelto di rubare, hanno scelto di toccare il fondo. Ho vissuto, da bambino, la alluvione in Valtellina e mi sarei aspettato di vedere arrivare qualcuno che porta aiuti, una coperta, bottiglie d'acqua. Ma lì siamo stati abbandonati e invece che aiuti sono arrivati solo predatori. Questo mi ha molto colpito perché alla natura non si comanda ma al buon senso sì, al buon senso di dovrebbe poter comandare”.