Libera, sola e “pazza”: la ragazza che sfida gli ayatollah nel silenzio dell'Occidente
Libera e sola. È di una potenza straordinaria il gesto della ragazza iraniana che è stata fotografata – seminuda – all'Università di Teheran, poco prima di essere arrestata e (a quanto risulta) rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Il corpo nudo di quella donna, che che sia la sua storia, smaschera la violenza un regime ossessionato dalla libertà dei suoi cittadini, ossessionato in particolare dalla libertà delle donne. Un regime folle, che vuole le donne velate a forza, oppresse, silenti, o morte.
E invece pazza viene considerata lei. “Pazza” la bolla il regime teocratico degli ayatollah. Pazze sono tutte le donne che invocano libertà. Anche Masih Alinejad, allora, che vive negli Usa, e orgogliosamente mostra sempre un fiore fra i suoi capelli riccioli scuri. Il regime la voleva morta.
Donna, vita, libertà è invece lo slogan di chi in Iran si batte non contro il velo, ma per la libertà, di tutti. E quel corpo nudo, finalmente vivo, di donna, quale che sia la sua storia, è un programma politico. Globale. E smaschera, insieme alla violenza dei suoi aguzzini, anche l'ipocrisia ei silenzi colpevoli di un pezzo del nostro mondo. Un mondo occidentale che si volta dall'altra, lascia sole le donne (e gli uomini) dell'Iran. O peggio, contribuire a opprimerle, avvertire.
Il mondo della sinistra estrema e antagonista per esempio, quello che in teoria proclama ideali di liberazione ma in pratica li nega e li tradisce quotidianamente, arrivando perfino a fare il tifo per i regimi oppressori, purché anti-occidentali, anti-americani, anti-americani. Israele. Il nemico del mio nemico è mio amico, questa la logica che conduce al corto circuito delirante per cui un pezzo d'Europa, un pezzo d'America, magari pezzi sedicenti progressisti o intellettuali, magari dentro le università, informando gli occhiali dell'ideologia terzomondista e della propaganda di fatto si schierano dalla parte dei movimenti integralisti, e dei regimi dittatoriali, o li giustificano, o ne minimizzano le colpe, ingigantendo invece le responsabilità dei governi occidentali.
Ecco che compaiono le scritte pro Hamas a Roma, o il minuto di silenzio, a Milano, per il capo del fondamentalista di Hezbollah, in un corteo dove la figura da aggiungere e contestare diventa quella Liliana Segre, una donna testimone del movimento della Shoah. Ed ecco la manifestazione “femminista” in cui la nemica da cacciare è la donna israeliana, o amica di Israele, che vuole solo ricordare il dramma delle sorelle rapite, violentate, uccise il 7 ottobre. Ecco, quelle non interessano a nessuno. “Onu donne” ha impiegato dei mesi per accennare alle donne israeliane vittime del 7 ottobre, dopo aver pubblicato un post al giorno a difesa delle palestinesi. Vittime, sì, ma (anche) di Hamas. Eppure se quei cortei farneticanti, se queste minoranze estremiste possono riempire le piazze delle nostre città con i loro deliri è anche perché la sinistra “ufficiale” è disinteressata, faziosa, distratta, strabica.
Il movimento femminista per primo. La vicenda iraniana dovrebbe essere il cuore di una battaglia intestata a un femminismo sensato. E invece no: in questi giorni, “Non una di meno” si occupa del patriarcato in Italia, Laura Boldrini parla (male) di Israele, studenti e studentesse di “Cambiare rotta” organizzano lo “Stop genocidio day”, Ilaria Salis è impegnata sul fronte immigrazione, e chi cercasse notizie dell'incaricata Onu Francesca Albanese troverebbe anche il post dell'ambasciata iraniana che cita la sua relazione all'Onu come un punto di riferimento.
E alcuni giornaliste sembrano prendere per buona la versione del regime di Teheran. Sui social, nelle agenzie, non c'è quasi traccia di Ahou Daryaei, la ragazza dell'Università di Teheran arrestata e internata. Libera, pace e sola.