“John Williams ci ha aiutato a credere che Superman potesse volare”, Francesco Zippel intervista Laurent Bouzereau – Badtaste
Sono molto felice di aver accettato l’offerta dei miei amici di Badtaste di immaginare uno spazio di interviste con professionisti del campo che sento più vicino e che frequento ormai da un po’, quello del racconto documentaristico. Ironia della sorte, la prima persona con cui ho avuto modo di parlare è Laurent Bouzerau, un regista con cui ho lavorato in passato e che rappresenta una figura molto interessante nel panorama hollywoodiano. Per lungo tempo curatore dei backstage di tutti i film di Steven Spielberg e di moltissimi altri grandi registi basati negli Stati Uniti, Laurent è un uomo che ha avuto la bravura di conquistare la fiducia di moltissime persone di grande spicco del cinema. Quella fiducia che è alla base della possibile riuscita di un buon documentario, se non di uno ottimo. Sono alcuni anni che Laurent ha deciso di dedicarsi attivamente anche a questo tipo di racconto e il film su John Williams rappresenta un punto di approdo naturale per un membro ‘onorario’ della grande famiglia di Steven Spielberg come lui. La conversazione che segue è un modo per andare alla scoperta del processo che lo ha portato alla realizzazione di questo bellissimo film su John Williams ma anche un modo per interrogarsi insieme sulle infinite possibilità di narrazione e sul significato profondo che questo lavoro ha per chi come noi lo fa ma anche per quello che può avere per chi ne fruisce la visione.
Francesco Zippel
FZ: Tu sei un collaboratore di vecchia data di Steven Spielberg, appartieni in qualche misura alla sua ‘famiglia estesa’, quando hai incontrato per la prima volta John Williams? Qual è stata la tua prima impressione su di lui?
LB: La prima volta che ho incontrato John è stato 30 anni fa, quando ho iniziato a curare retrospettive di documentari per Steven, e posso dire che ero intimorito all’idea di incontrarlo tanto quanto lo ero stato quando incontrai Steven per la prima volta. Loro due hanno un rapporto di autentica fratellanza, si completano a vicenda e tutto ciò per me era estremamente intimidatorio. Parlare di musica poi è una cosa molto difficile. Quando iniziai a intervistare un compositore come John su un argomento come la musica pensai, se non di impressionarlo, perlomeno di avere con lui una discussione molto coerente. E ciò che mi ha subito colpito di John è stata la sua umiltà. È un uomo così generoso, ha un’umanità incredibile che si riflette nella sua musica tra l’altro. Ed è così che sono iniziati trent’anni di conversazioni musicali con lui, spesso su film molto specifici, e che alla fine hanno portato a questo documentario.
FZ: Come è nato il progetto vero e proprio di questo documentario?
LB: È qualcosa che avevo in mente da anni, da quando l’ho conosciuto. Sapevo di non essere l’unico, molte persone volevano fare un film su John. Ma c’è stata un’opportunità quando ho partecipato alla celebrazione del suo novantesimo compleanno. Si trattava di un evento molto privato, a cui hanno partecipato solo i membri del Kennedy Center e poche altre persone. Durante quella cerimonia mi sono avvicinato a Steven e gli ho detto sai, ho accumulato così tanto materiale su John nel corso degli anni. Così aveva fatto anche Steven, che aveva filmato, per esempio, John che dirigeva l’orchestra durante la registrazione della colonna sonora de Lo Squalo. Quindi, gli ho detto, credo sia giunto il momento di parlare seriamente con John per realizzare un documentario su di lui. E così è iniziata la discussione.
FZ: John Williams è non solo uno dei più grandi, ma forse il più prolifico compositore di musiche per film che sia mai vissuto. Che scelte hai compiuto per cercare di ‘mettere un po’ d’ordine’ nel suo vasto oceano per cercare di creare una narrazione per il tuo film?
LB: Ho iniziato volendo provare a catturare il pubblico con qualcosa che tutti conoscessero e in un certo senso ricordare alle persone, ehi questo è l’uomo che ha composto la colonna sonora de Lo Squalo e ha dato allo squalo un tema. Cominciare in questo modo mi ha aiutato, poi una volta che il pubblico è stato catturato, ho deciso di tornare indietro nel tempo e di lanciare nell’esplorazione di quella che era stata la sua ispirazione, in special modo raccontando il fatto che fosse cresciuto in una famiglia di musicisti. L’unica cosa che non volevo era che il film diventasse una lunga hit parade senza profondità. Quindi sono stato molto attento a selezionare partiture che fossero molto significative all’interno del suo corpus di opere e che fossero significative per il pubblico. Ho poi sempre cercato di collegare una storia a queste partiture. Quindi non mi sono limitato a dire che avesse fatto Incontri ravvicinati del terzo tipo e Star Wars nello stesso anno, ma ho voluto approfondire come sono nate quelle partiture e il loro processo creativo. E francamente, sai, quando sei guidato dalle persone che stai intervistando, ti fai anche un’idea di dove vogliono arrivare. John è un direttore d’orchestra e mi ha letteralmente guidato durante i nostri numerosi colloqui. Ed è stato davvero emozionante perché ho iniziato a vedere le cose a modo suo. Questo è ciò che, in ultima istanza, ha dato forma alla narrazione.
FZ: Credo che ci siano pochissime coppie artistiche cinematografiche che possiamo nominare nell’ambito della musica e della regia cinematografica, ci sono Hitchcock e Hermann, Leone e Morricone, Spielberg e Williams. Quando ho intervistato Spielberg per il mio documentario su Leone, un paio di anni fa, mi ha detto che Leone aveva ‘gli occhi’ e Morricone ‘le orecchie’. E’ qualcosa che possiamo applicare anche al duo Spielberg/Williams?
LB: Aggiungerei anche Fellini e Rota oppure Truffaut e Delerue. È vero, abbiamo avuto delle coppie straordinarie di compositori e registi. Steven descrive il loro rapporto come una vera e propria fratellanza e che, alla fine, John ‘scrive’ la bozza finale delle sue sceneggiature o dei suoi film con la musica. Quindi penso che nel loro caso sia molto di più dell’orecchio, è davvero un ingrediente essenziale per il successo della narrazione. E credo che John lo faccia in modo da integrare le immagini che Steven crea. In questo senso penso che siano unici.
FZ: Quindi pensi che in un certo senso che l’effettivo supporto creativo che John ha dato a tutti i fantastici registi con cui ha lavorato lo ha reso, in un certo senso, una sorta di co-sceneggiatore di quei magnifici film che hanno fatto insieme.
LB: Sì. Voglio dire, sicuramente la musica di John è parte della narrazione, è davvero un personaggio, proprio come l’esempio di Hitchcock Herrmann che hai usato. Sento davvero anche che Morricone in C’era una volta il West ha creato la storia dell’uomo con l’armonica. Allo stesso modo la musica di John ci aiuta a credere che Superman possa volare. Quando non c’era nemmeno la tecnologia per crederci, capisci? Ma lui si avvicina a Superman con il cuore. Si è innamorato di questi personaggi e ha dato loro la capacità di volare in un modo che ti fa dimenticare che non era tecnicamente perfetto come può sembrare oggi, capisci? Quindi. Quindi lui è, per molti versi, come ha detto Larry Kasdan nella sua intervista, la soluzione a molte cose che possono essere limitanti in termini di narrazione. E lo stesso vale per Star Wars, credo che sia stato in grado di creare temi che hanno dato un’identità a personaggi che non erano necessariamente scritti nel dettaglio. Quindi ha sempre aiutato noi spettatori e i registi con cui ha lavorato, ovviamente Steven in primis ma anche tutti gli altri. Penso ad esempio a George Lucas e al modo in cui parla del tema di Marion ne I predatori dell’arca perduta. Quel tema le ha dato il pathos che non c’era forse sulla pagina. Quindi questo è un aspetto molto particolare di John.
FZ: Una cosa che riguarda alcuni dei più grandi compositori di musica da film è che hanno una sorta di frustrazione per quello che chiamano il percorso musicale classico. Capitò a Morricone, perlomeno fino a quando non ha ricevuto il primo Oscar. Pensi che John Williams sia veramente felice del fatto di aver dedicato gran parte della sua vita, e di farlo ancora, alle colonne sonore dei film? O pensa che gli manchi ancora qualcosa che appartiene a un’altra area della musica?
LB: No, credo che John si sia impegnato nella forma d’arte della composizione cinematografica ma questo non gli ha impedito di fare composizioni originali non per il cinema. E spero di averlo evidenziato nel film in modo avvincente e di aver fatto conoscere al pubblico un altro lato di John. Perché sono tipi di composizioni molto diverse, direi molto più impegnative e devi soffermare maggiormente la tua immaginazione su queste composizioni perché non ricorda nessun film. Penso che John sia uno che dice che la musica è il suo ossigeno. Si sveglia ogni mattina e scrive qualcosa. Quindi credo che una vita nella musica come quella che lui ha avuto l’opportunità di fare, sia che si tratti di comporre per i film, per le Olimpiadi, per la tv, per i concerti, per le partiture originali per i concerti dei suoi musicisti, sia la vita di un musicista e un artista completo.
FZ: Nel film c’è una sua bellissima citazione in cui dice che “la musica è sufficiente per tutta la vita, ma una vita intera non è sufficiente per la musica”. Cosa ne pensi?
LB: Beh, credo che tu ora mi stia facendo venire la pelle d’oca con questa citazione, perché mi ricordo che ero seduto lì quando John l’ha detto e io ho replicato dicendo al mio operatore, ok taglia, abbiamo finito. Sai, è il tipo di citazione che sogni e penso che dica tutto. Non solo parla di lui come artista, ma penso che parli della forma d’arte della musica, che, come molte forme d’arte in questo momento, è in pericolo. C’è l’intelligenza artificiale che minaccia di prendere il sopravvento. Molti artisti, che siano scrittori, attori o musicisti, lo sanno. Quindi, il fatto che lui ci ricordi che la musica è vita, parte della vita e parte del vivere, dovrebbe, si spera, stimolare le persone a prestarle attenzione.
FZ: Quanto è importante invece per te come regista, come documentarista, essere ‘responsabile’ della memoria collettiva di un artista come John Williams?
LB: Beh, questa è un’ottima domanda. Sai, non la prendo alla leggera. È stata una grande, grande responsabilità. Probabilmente il film più difficile che abbia mai fatto. Non solo per ciò che implicava, cioè per ciò che questo film significherà per John, Steven e per i loro fan, ma anche per la responsabilità di raccontare la storia in modo veritiero e stimolante. Mi ricordo che quando Steven l’ha visto per la prima volta è uscito dalla sala di proiezione con una manciata di fazzoletti e io gli ho detto: “Oh mio Dio, ho lavorato così duramente, Steven”. E lui ha risposto: “Non vedo il lavoro. Vedo solo l’amore”. Francamente questo film è stato fatto con molto amore. E credo che sia stato questo a guidarmi.
FZ: Quanto pensi invece sia importante, soprattutto nei tempi che stiamo vivendo, tempi in cui la richiesta di contenuti è spesso livellata verso il basso o verso comunque qualcosa che sembra o suona sempre uguale, essere coinvolti in questo tipo di progetti che restituiranno alle future generazioni la memoria di un artista come John Williams?
LB: Molto importante. L’industria cinematografica ha una memoria molto corta e credo che spetti a noi raccontare coloro che ci hanno ispirato e farli continuare a vivere. E l’unico modo per farlo è raccontare le loro storie. Quindi, come regista, sento il privilegio e anche la responsabilità di ricordare al pubblico giovane chi era John Williams, come chi sono state Natalie Wood e Faye Dunaway. Perciò è un vero privilegio avere la possibilità di documentare queste persone e di renderle molto vicine a noi. A Hollywood c’è stato un periodo in cui queste persone erano nascoste, tutte le loro storie di vita erano inventate. E penso che sia incredibile che nel mondo di oggi si possa invece non solo raccontare la storia di Faye Dunaway, ma anche sapere che persona sia, quali sono state le sfide che ha dovuto fronteggiare nella vita come anche quali sono state le sfide di John, di cui parliamo nel film. Non è stato facile parlare di queste cose, perché sarebbe stato più immediato concentrarsi sulla musica, sulla realizzazione artistica. Ma credo che parlare di un essere umano aiuti anche a capire cosa lo rende un genio e perché ha ottenuto un successo nella vita. Quindi spero che questi film, come hai detto tu, assicurino ai loro protagonisti la possibilità di non venire dimenticati quando non ci saranno più, e che quando non ci saremo più possa rimanere una traccia di chi fossero. Aggiungo una cosa. Cosa daremmo per avere un documentario su Mozart ai tempi di Mozart o su Beethoven ai tempi di Beethoven? Tutto ciò prima che esistessero le cineprese e il cinema. Per me la risposta è facile. So che tutti noi daremmo qualsiasi cosa per aver potuto ‘registrare’ queste persone con le loro stesse parole in maniera tale da poterle conoscere davvero.